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Documenti dalla Terra di Mezzo A cura della Eldalië Nossë Bologna |
ur senza la pretesa di rendere pubblico un prodotto editoriale con tutti i crismi, è sembrato naturale corredare Documenti dalla Terra di Mezzo di una pagina introduttiva, allo scopo di fornire alcuni ragguagli sulla struttura del sito, sulle finalità che si propone di raggiungere e sulle motivazioni che hanno portato alla sua stesura ed alla sua pubblicazione; ciò avvalendosi, una volta di più, di un testo arricchito e ideato a mo' di percorso logico, del quale vado immediatamente a render conto. Da ultimo, mi permetto di spendere un piccolo consiglio per chi non accede alla Rete mediante collegamento a larga banda o abbonamento telefonico a canone forfettario; vista la verbosità della maggior parte delle pagine qui raccolte, compresa la presente, conviene senza dubbio scaricarle a video e leggerle con la dovuta calma a connessione chiusa. ¹A Sara, giovane appassionata delle buone letture, un ringraziamento speciale per il tempo sottratto allo studio ed agli impegni quotidiani e generosamente dedicato alla ricerca di materiali da pubblicare. PERCHÈ UN ARCHIVIO DOCUMENTALE? Nel periodo in cui è maturata la risoluzione di pubblicare le presenti pagine, nel bel mezzo dell'anno 2000 d.C., la loro comparsa nel panorama degli studi tolkieniani poteva sembrare ridondante. Parecchi fra gli italiani appassionati della Terra di Mezzo, nonché di informatica e della Rete, si sono alquanto indaffarati a rendere disponibili centinaia, forse migliaia, di pagine in cui rendono accessibile svariato materiale inerente a quel meraviglioso mondo, e ai grandi romanzi che lo hanno reso celebre. Chi cerca informazioni sul mondo di Tolkien può disporre ormai di un certo numero di siti italiani dedicati alle opere del Professore. La maggior parte delle pagine in questione consiste di raccolte di immagini, gruppi di discussione, racconti ambientati negli scenari dell'Eriador e del Beleriand, note biografiche e bibliografiche sul Professore e liste più o meno lunghe di collegamenti ad altri siti (per lo più esteri, ed il motivo è presto spiegato: la maggior parte delle opere inerenti alla Terra di Mezzo cercano ancora disperatamente un volenteroso traduttore italiano - tanto per non fare nomi, il patrimonio contenuto nei dodici volumi della Storia della Terra di Mezzo, assai corposo ma di cui ad oggi non si va oltre l'edizione in lingua inglese; cosicché, riviste, circoli e pubblicazioni varie sono quasi esclusivo appannaggio del mondo anglosassone). Il presente sito si propone invece una finalità leggermente diversa: produrre, favorire lo scambio e la circolazione di documentazione in italiano sulla Terra di Mezzo, divulgando articoli e saggi originali italiani e/o traduzioni in italiano di equivalente materiale estero, auspicando di divenire un riferimento e una fonte sicura di informazioni utili per gli scrittori di racconti, o per chi semplicemente desidera approfondire taluni argomenti che nelle opere originali vengono soltanto sfiorati o accennati. Pur riconoscendo che il progetto è ambizioso, la sfida vale la pena d'essere lanciata - proprio in virtù del fatto che la documentazione tolkieniana disponibile in italiano è ancora in quantità largamente inferiore a quella prodotta e circolante in inglese. Tuttavia, l'auspicio è che estro, fantasia e dedizione tipiche degli appassionati della Penisola siano potenzialmente sufficienti per sviluppare centri di studio validissimi anche sui nostri lidi, e che in un prossimo futuro sarà possibile venire in contatto con materiale di pregevolissima fattura, recante in calce firme italiane. In fondo, nonostante l'opera di Tolkien sia scritta, concepita e fondata a partire da un substrato culturale e mitologico tipico del nord europeo, appartiene a quel genere di capolavori che per patria hanno il mondo intero, tanto universale è il messaggio che recano ed il linguaggio in cui sono vergati. Rivendicare il buon diritto di contribuire attivamente a tale fenomeno culturale, alla luce di tali premesse ed alla sua caratura mondiale, appare azione più che legittima. Chiaramente, preso atto dell'imponenza del lavoro da svolgere, resta sottinteso che il contributo di tutti è pressoché indispensabile per il suo proficuo sviluppo. Il presente sito, in quest'ottica, è aperto alla collaborazione di chiunque abbia intenzione di recare il suo apporto di suggerimenti, consigli, correzioni (ahimé, l'errore è sempre dietro l'angolo quando si tratta di opere dell'umano intelletto) e naturalmente scritti da pubblicare. Purtuttavia, nell'ottica della collaborazione con altri siti affini - quantomai necessaria ed auspicabile, se si ambisce un giorno a dar corpo ad una rete tolkieniana italiana degna di tal nome - e seguendo l'evoluzione che consegue a tale processo, a due anni dalla sua nascita il presente archivio documentale deve forzatamente rivedere le sue finalità, per adeguare il significato della sua presenza ed attività in Rete al mutare della realtà in cui opera. Nella seconda parte del 2001 si è venuta concretando la proficua collaborazione con Eldalië, dai cui fondatori è giunta la richiesta di partecipare allo sviluppo della sezione di saggistica e commentari; fatto che, e non è retorica, costituisce motivo di orgoglio e soddisfa profondamente - pur sapendo che la portata di pubblico dell'ex ITP è ben maggiore di quella del presente sito, e che quindi l'impegno che comporta aumenta di conseguenza - ma impone di evitare la creazione e l'alimentazione di due archivi documentali paralleli, per non dire speculari, il che costituirebbe uno spreco di risorse a vari livelli. Non resta che porgere a tutti voi che leggete il miglior augurio di proseguire nella coltivazione di questo meraviglioso hobby con sempre crescenti entusiasmo e soddisfazioni, a qualunque livello sia il vostro coinvolgimento, e accogliervi nella consultazione di queste pagine sperando siano di vostro gradimento: in ogni caso, il Libro degli Ospiti è a vostra disposizione per commenti, critiche e segnalazioni (quasi) d'ogni genere. AVVERTENZAIl testo dell'avvertenza è stato scorporato e inserito nella pagina delle Collaborazioni, ed è ora consultabile all'indirizzo http://ardalambion.immaginario.net/Saggi/Collaborazioni.htm#Avvertenza. § § §
di Helge Fauskanger - traduzione di Gianluca Comastri
Per i completamente ignari: c'era una volta - dal 1892 al 1973, per essere precisi - un uomo di nome John Ronald Reuel Tolkien. Nel 1937 egli pubblicò un libro per ragazzi, Lo Hobbit, che vendette piuttosto bene. La storia si svolge in un remoto passato in cui Elfi, Nani e altri favolosi esseri calpestavano ancora il mondo. Tolkien cominciò a lavorare ad un seguito, ma la storia esplose e divenne un romanzo ponderoso la cui stesura richiese ben più di quindici anni. Nel 1954-55 Tolkien finalmente pubblicò il romanzo definitivo, la trilogia Il Signore degli Anelli. In seguito alla scomparsa di Tolkien, suo figlio Christopher ne ha compilato e pubblicato il costrutto mitologico, Il Silmarillion, dai manoscritti di suo padre. Ciò fornì il "patrimonio storico" per gli altri due libri. Insieme questi libri descrivono un intero mondo immaginario, completo di geografia, demografia, storia - e linguaggi. I linguaggi sono assolutamente cruciali. Tolkien aveva inventato linguaggi fin dalla tenera infanzia. Ed egli dichiarò ripetutamente che inventò il suo mondo al solo scopo di avere un luogo dove i suoi "linguaggi elfici" potessero esistere, sebbene altri trovino che ciò sia duro da credere.
Perché studiare questi linguaggi? Nel saggio Il vizio non troppo segreto di Tolkien, reperibile in questo sito web, elenco diverse possibili ragioni: "Proprio il fatto che nessuna grammatica elfica scritte da Tolkien sia mai stata pubblicata lo rende una affascinante sfida a 'break the code'. O può essere puro romanticismo, una speciale forma di immersione letteraria: con lo studio dei linguaggi Eldarin, si tenta di farsi simili - proprio al loro livello mentale - agli immortali Elfi, saggi e giusti, i Primogeniti di Eru Ilúvatar, tutori dell'umanità ai suoi albori. O, meno romanticamente, si vogliono studiare le costruzioni di un talentuoso linguista e il processo creativo di un genio occupato nel suo amato lavoro. E a molti semplicemente piacciono i linguaggi elfici come a uno può piacere la musica, come elaborati e (secondo il gusto di molti) gloriosamente fortunati esperimenti di eufonia." L'intero umore e aroma del mondo di Tolkien è in qualche modo catturato e contenuto nei suoi linguaggi. E da tutto ciò risulta che quelle non sono "alterazioni"! Chiamare quelli "costrutti", come contrari di "linguaggi naturali" non è molto utile, perché tutti i linguaggi sono "costruiti". I linguaggi che alcuni denominano "naturali" sono semplicemente costruiti lungo molti secoli, da persone che per la maggior parte erano poco consce di quanto stavano facendo. Sebbene i linguaggi di Tolkien fossero opera di un solo uomo che sapeva definitamente cosa stava facendo, anch'essi hanno una storia di modifiche ed evoluzioni - pure in due dimensioni, entrambe le (e anche tutte le altre) revisioni effettuate da Tolkien nella sua vita e l'immaginario sviluppo all'interno del mondo inventato. È mia opinione che i costrutti linguistici di Tolkien possano ben considerarsi "linguaggi simulati". Sebbene in molti abbiano studiato i linguaggi di Tolkien piuttosto seriamente per decenni, trovo che vi siano infomazioni relativamente scarse in loro proposito sulla rete. Quel che è stato immesso risulta per lo più amatoriale, incompleto, inaccurato e antiquato, o in un caso - specificamente il lavoro di Anthony Appleyard - molto concentrato e tecnico, eccellente per quelli che hanno già approfondito tali argomenti, ma probabilmente difficile da assorbire per i principianti. Tale lacuna di buon materiale informativo in rete era quanto di più sorprendente, considerato che la Tolklang list aveva più di settecento abbonati, più della legittima Tolkien list! Così sono partito con la realizzazione di un sito dedicato alla linguistica Tolkieniana. Ho fatto un tentativo di estrarre le informazioni puramente linguistiche dagli scritti pubblicati, e di presentarle in una modo che sia sperabilmente di facile accesso. Specialmente desidero aiutare gli scrittori e fornirli di informazioni aggiornate (e plausibili teorie) concernenti Quenya e Sindarin. Nei miti di Tolkien, il Quenya era "un'antica favella di Eldamar al di là del mare, la prima ad essere messa per iscritto", mentre il Sindarin era il vernacolo degli Elfi Grigi nella Terra di Mezzo (SdA, Appendice F). Questi due erano i più importanti linguaggi nei miti, e sono anche i soli linguaggi talmente completi che è possible per noi farne uso (sebbene il gap nella conoscenza che ne abbiamo talvolta costringa a sforzi tali paragonabili a quelli di Ernest Wright, che scrisse un intero libro - Gadsby - senza mai usare una volta la lettera e). Comunque, consultare le informazioni qui riportate non ha molto senso per chi non ha familiarità coi miti di Tolkien. I linguaggi di Tolkien e il suo mondo sono intimamente connessi e fondamentalmente inseparabili. Qui sono estratte, analizzate e presentate le nude informazioni linguistiche, ma questi saggi sono intesi come supplementi integrativi e non come rimpiazzi degli scritti originali di Tolkien - incluso tutto il materiale reso disponibile dall'accurata opera di redazione di Christopher Tolkien nell'arco di diversi anni. Invero sono lieto di dedicargli queste pagine web. Posso solamente ribadire che le informazioni qui riportate hanno davvero poco senso se vengono rimosse dal contesto e dall'ambiente cui appartengono: l'incredibilmente dettagliato "mondo secondario" di Tolkien. Questo è soltanto un supplemento linguistico ai suoi scritti, che fornisce informazioni linguistiche proprio come l'eccellente Guida Completa alla Terra di Mezzo di Robert Foster fornisce dettagli storici e avvenimenti, ma chi metterebbe da parte Il signore degli Anelli per questa guida? Vedere sotto a riguardo di ciò cui dovrebbe aspirare chi studia i libri dei linguaggi di Tolkien. Then a few practicalities*.
*Lasciato intenzionalmente in lingua originale [N.d.T].
Di una moderna favella Umanica I documenti in questa pagina web sono scritti nella Favella Comune di quest'era, l'Angliano, propriamente detto Inglese [per il sito originale; per quanto concerne la presente pagina, si parlerebbe di Italico o Italiano, N.d.T.]. l'Angliano è una lingua non molto antica della Britannia al di là del Mare, in definitiva non la prima ad essere messa per iscritto, pure un tempo fu codificato, i suoi utilizzatori non ebbero mai il coraggio di rivederne l'ortografia - non importa quanto irregolare e ridicolo divenne col passare dei secoli allorché numerose modifiche foniche causarono grandi rivoluzioni nella fonologia. Più tardi, gli Angliani decisero che il resto del mondo fosse ormai al punto d'esser dominato da loro e avrebbe fatto meglio ad accondiscendere. Così la loro favella si diffuse in molti paesi e continenti. Sfortunatamente, le colonie alla fine mostrarono ingrattitudine e rigettarono il benefico, civile dominio degli Angliani. Un primo e ingombrante caso fu la grande (molto grande, davvero) isola d'America, ma più tardi un certo numero di altri stati ne seguirono l'esempio, e l'Impero si sbriciolò. Nondimeno, la favella Angliana ha raggiunto una grande diffusione. Inoltre, la grande (ancora molto grande) isola d'America assurse ad una posizione di immenso potere politico e dominanza culturale, inondando il mondo di pellicole, "soap operas" e canzoni in Angliano (le canzoni, almeno, non possono essere doppiate). Sebbene altri spesso trovino questa lingua difficile da pronunciare, non solo perché lo spelling dà solo un accenno a come le parole devono essere pronunciate, ma anche perché il linguaggio era pieno di vocali sporche e oscuri suoni aspirati e sibilanti, almeno aveva una grammatica abbastanza semplice. In particolare, il linguaggio disponeva di casi e differenti generi dei nomi. Dopotutto esso era abbastanza valido come lingua franca, come si poteva realisticamente sperare. In ogni caso, non c'eranno reali alternative, con gran rincrescimento degli Esperantisti e dei Francesi. Questa, dunque, fu la lingua che il vostro autore - essendo norvegese - ha adoperato quando preparò il materiale per questo sito, avendo in mente un uditorio di estensione mondiale. In alcuni casi, egli ha osservato che i Maestri inglesi e americani non sono d'accordo su certi punti quando veniamo alla rappresentazione della grafia in Angliano. In tali casi mi sento perfettamente libero di fare le mie proprie scelte. Scrivo colour invece di color, perché è quel che ho imparato a scuola. Nel caso dell'inglese analyse vs. l'americano analyze e vocaboli similari, come realise vs. realize, vado con gli americani: se is è sibilante nel parlato diviene Z! Per alcune stupide ragioni, gli americani e gli inglesi non sono d'accordo su quali virgolette usare, se "..." o '...'. Qui si usano "..." come virgolette primarie e '...' come virgolette dentro altre virgolette, seguendo l'usanza americana (e norvegese). Comunque, gli americani hanno introdotto un misterioso (non ho detto SBAGLIATO) ordine nel simbolismo laddove una frase fra virgole coesiste con un punto, una sospensione del periodo; essi insistono a porre le virgolette alla fine anche se le virgolette non abbracciano l'intera frase: Americano: Tolkien's linguistic constructions are best considered "simulated languages." Il sistema inglese è chiaramente il più logico; le virgolette dovrebbero essere trattate come parentesi: chi concluderebbe una frase con .) a meno che le parentesi abbraccino l'intera frase? Bene, suppongo che molti ignoranti lo farebbero. Ma in questo caso, vado con gli inglesi, eccetto che per l'uso delle virgolette all'americana. (Tolkien's linguistic constructions are best considered "simulated languages".) Il norvegese, of course, usa il sistema più gradevole, corretto, logico. Molti Maestri americani sostengono fermamente che l'abbreviazione i.e. dovrebbe essere seguita da una virgola. I Maestri inglesi tendono a discordare da tale tesi. Così faccio anch'io. Il sistema sottolinato qui è solo quello di cui faccio uso. Non voglio imporlo su articoli scritti da altre persone (specialmente di madrelingua inglese), se detti articoli siano inclusi in queste pagine.
V'è anche il problema di dare riferimenti all'opera letteraria centrale: Il Signore degli Anelli e Il Silmarillion. (Lo Hobbit ha assai poco materiale linguistico.) Ne esistono tante edizioni e traduzioni che non è possibile sempicemente riferirsi a una certa pagina. Sfortunatamente, i riferimenti non possono essere più accurati del capitolo o appendice in questione. Il Signore degli Anelli, di seguito SdA, è tipicamente pubblicato in tre volumi. Tolkien non lo concepì come una "trilogia", i volumi 1-3 narrano solo una storia e non possono essere letti indipendentemente. Nondimeno, i volumi hanno titoli specifici: La Compagnia dell'Anello, Le Due Torri e Il Ritorno del Re. Essi saranno chiamati semplicemente SdA1, SdA2 e SdA3. Ognuno di essi contiene due "libri": I e II in SdA1, III e IV in SdA2 e V e VI in SdA3. Questi "libri", diversamente dai volumi, rappresentano la logica divisione della storia. Ognuno di essi ha suoi propri capitoli 1, 2, 3 etc. Così un riferimento come "SdA3/VI cap. 5" significa che bisogna cercare Il Ritorno del Re, trovare il Libro Sesto che è in questo volume, cercare il capitolo 5 e iniziare a girare le pagine freneticamente finché o si trova il riferimento o si ha un collasso nervoso. Alle Appendici di SdA si fa semplicemente riferimento come Appendice A, B etc. Nel caso de Il Silmarillion, il riferimento è semplicemente al capitolo in questione dal suo numero (e per l'Ainulindalë, il Valaquenta e l'Akallabêth dal nome). Fortunatamente, molti degli altri libri esistono in una edizione soltanto, così possiamo dare il riferimento alla pagina esatta. Queste sono le abbreviazioni usate**: RGEO: The Road Goes Ever On (Seconda Edizione 1978, ISBN 0-04-784011-0) **I codici ISBN si riferiscono esclusivamente alle edizioni in lingua inglese. Per pura comodità alcuni titoli sono stati comunque tradotti in italiano, ma nel seguito le abbreviazioni utilizzate continueranno ad essere quelle originali. Purtroppo, della Storia della Terra di Mezzo manca tuttora una versione italiana [N.d.T.].
Da un punto di vista linguistico, i più importanti libri in HoME sono The Lost Road e The War of the Jewels. LR è assolutamente indispensabile per chi vuole studiare seriamente i linguaggi di Tolkien, in quanto questo libro riporta le importantissime Etimologie, nostra prima sorgente del vocabolario Elfico. The War of the Jewels contiene il saggio Quendi and Eldar, che dispensa i nomi Elfici dei vari incarnati e incidentalmente dà molte informazioni sui linguaggi in questione. Questi due libri dovrebbero - leggi devono - essere nella biblioteca di ogni serio studente di Elfico. Quali altri libri acquistare dipende dallo specifico interesse. Se si vuole studiare l'Adûnaic (Númenóreano) il libro da prendere è Sauron Defeated. Qui si trova un estesa e dettagliata, sebbene incompleta trattazione di tale linguaggio. SD include anche alcune complete iscrizioni Tengwar, sia in inglese, sia in Sindarin e inglese antico. Il più lungo testo Sindarin che sia mai stato pubblicato, The King's Letter, si trova pure in SD. Per chi è interessato all'Ovestron, The Peoples of Middle-earth dà molte forme più "originali" dei nomi anglicizzati da Tolkien di quante ne menzioni nelle appendices del SdA. Chi preferisce studiare le primeve forme dei linguaggi che infine divennero Quenya e Sindarin (sc. "Qenya" e "Gnomico"), dovrebbe prendere i due volumi del Libro dei Racconti Perduti, dove Christopher Tolkien cita molti vocaboli e forme dal primissimo vocabolario Elfico ideato da suo padre, che data da prima del 1915. Fuori da HoME, i libri più interessanti sono The Monsters and the Critics and Other Essays, The Road Goes Ever On e Le Lettere di J. R. R. Tolkien. MC contiene il saggio di Tolkien Il vizio segreto, con pensieri e teorie di Tolkien sulla creazione dei linguaggi, più un poema "Gnomico" e alcuni antichi poemi "Qenya" - uno di essi con la traduzione in Quenya vero e proprio, offrendo un'unica opportunità di confrontare le due versioni direttamente. The Road Goes Ever On contiene la calligrafia Tengwar dei poemi Namárië e A Elbereth Gilthoniel come traduzioni in interlinea di essi, seguiti dalle note di Tolkien. Molte preziose informazioni sui linguaggi elfici si trovano anche in ordine sparso nelle Lettere di J.R.R. Tolkien; vedere per esempio le lettere n° 211, 297 e 347.
Perché sobbarcarsi l'onere di rendere l'intero sito in lingua italiana, quando magari sarebbe stato più che sufficiente limitarsi a tradurre quei saggi, nei confronti dei quali si può ipotizzare il maggior interesse da parte degli appassionati italiani?
Il motivo è semplice e, anche se ciò non denota un'estrema raffinatezza di stile, lo illustrerò rispondendo alla domanda con un'altra domanda: perché privare quella parte di appassionati italiani, che putacaso non masticano la lingua inglese con sufficiente padronanza, di quel materiale che (con un criterio di squisita discrezionalità da parte dello staff dell'allora "Pagina Tolkien Italiana", cui allora afferiva per gentile concessione la presente versione italiana di "Ardalambion" e che si è poi evoluta nel nuovo sito Eldalië) sarebbe giocoforza rimasto inutilizzabile, da parte dei suddetti appassionati?
In realtà, vi sono almeno un altro paio di motivi che mi hanno spinto a dar corpo all'opera, e che vanno ad aggiungersi a quanto elencato qui sopra dall'autore del sito, che sottoscrivo pienamente a mia volta. Uno, dato da un pizzico di orgoglio nazionale, da cui scaturisce il naturale impulso di arricchire il materiale pubblicato in rete nella lingua di Dante (siamo pur sempre il Paese che, per svariati secoli, ha rappresentato l'apice della cultura planetaria!); l'altro, dato da un pizzico di bonaria invidia per lo splendido lavoro dell'amico Helge, il quale, consapevole delle qualità del suo materiale, non ha esitato e non esita a concedere il permesso di esportarlo in tutto il mondo, come testimoniano i link in fondo alla pagina principale. In ossequio a tali due impulsi, non mi potevo esimere dal partecipare alla costruzione di un'opera che, a mio parere, dovrebbe servire da buona base di partenza per tutti gli irriducibili Tolkieniani nostrani: tanto di più, nell'imminenza dell'uscita dell'attesissima trilogia cinematografica, che speriamo contribuisca massicciamente a diffondere vieppiù il fascino della Terra di Mezzo ad un numero sempre maggiore di nuovi adepti.
Alcuni appassionati della Terra di Mezzo, consapevolmente o meno, hanno dato un considerevole impulso alla messa in opera del presente sito. Innanzi tutto Giuseppe Truono, fautore dell'indimenticata ITP e del relativo questionario, i due siti da cui è scaturito l'odierno Eldalië (un solo appunto: considerato che sono siti italiani, perché mai si decise di intitolarli in inglese?), il quale ha creduto nel mio progetto e lo ha sostenuto concretamente - e qui cito un aneddoto: per una bizzarra catena di eventi, dalla primavera del 2000 le due fonti citate non vennero più aggiornate: l'Ardalambion italiano è stato pubblicato nell'estate di quello stesso anno, ragione per cui i due siti in questione non portano collegamenti al mio, quantunque io abbia avuto l'autorizzazione ad usare il loro simbolo. Tramite la Pagina Tolkien sono poi stato posto in contatto con Piermaria Maraziti, il quale ha offerto generosamente e con grande entusiasmo uno spazio su Immaginario per la pubblicazione del presente materiale: di questo va dato il giusto merito anche a Lorelail, che cura detto miniportale assieme a Kiki, e che ha dimostrato particolare gentilezza ed ospitalità. Uno speciale e particolarissimo ringraziamento va poi ad Alberto Ladavas, che dall'ultima Casa Accogliente di Imladris ha supportato molto concretamente ed efficacemente lo sviluppo dell'opera, sia fornendo materiale da pubblicare - che riporto nella mia pagina riepilogativa sul materiale linguistico - che svolgendo un prezioso ed insostituibile contributo alla correzione di parte degli errori che costellano le pagine di Ardalambion. Grazie anche a quanti hanno apposto il collegamento dalle loro pagine a queste. Come tradurre testi tecnici? La trasposizione di una raccolta di saggi linguistici, più o meno estesi, pone alcuni problemi di natura pratica, che non sempre è facile affrontare. Nel caso dei documenti presenti in questo sito, la traduzione deve tener conto di due caratteri contingenti: l'uso di espressioni idiomatiche in un'altra lingua e, più ostico, l'uso di terminologia tecnica da linguisti di mestiere. La traduzione deve comunque rendere, il più possibile, il senso di ciò che l'autore intende comunicare alla platea dei lettori. Se, da un lato, la provenienza scandinava di Helge sottopone il visitatore alla presenza di un inglese scolastico, seppure ottimo - quindi sgravato da tutte le frasi fatte e i modi di dire, spesso intraducibili, dell'inglese madrelingua - dall'altro lato vi sono comunque numerosi richiami a terminologie linguistiche che, se diminuiscono il grado di accessibilità dei testi a chi non sia quantomeno infarinato della disciplina, non possono essere omessi, pena la perdita di fedeltà della traduzione, e probabilmente anche del senso del ragionamento. Di conseguenza, ho scelto di rendere comunque una versione italiana quanto più possibile ricalcata sull'originale, spesso traducendo interi periodi parola per parola. Quindi, non sarà infrequente imbattersi in proposizioni inusuali nell'italiano corrente, proprio in virtù del fatto che di talune espressioni non è stata inserita una possibile corrispondenza in italiano, ma solo una traduzione passo passo. Laddove poi certi termini, sostituiti in italiano, avrebbero tolto espressività al discorso, costringendo a perifrasi fuori luogo, la voce inglese originale è stata lasciata sul posto così com'era. Questo sicuramente non è indice di una traduzione di buon livello, ma l'obiettivo, ripeto, è quello di rendere accessibile Ardalambion al pubblico italiano (e fare in modo che ad esserne messi in risalto siano espressamente i contenuti originali), non certo di dare sfoggio di una personale padronanza dell'inglese - che, realisticamente, non posso vantare. § § § IL VIZIO NON TROPPO SEGRETO DI TOLKIEN di Helge Fauskanger - traduzione di Gianluca ComastriNel 1931, Tolkien scrisse un saggio sull'alquanto singolare hobby di inventare nuovi linguaggi. Lo intitolò A Secret Vice ["Il vizio segreto" nelle versioni italiane, N.d.T.]. Ma nel caso di Tolkien, il "vizio" difficilmente può più dirsi segreto.
Cosa, realmente, accade nella mente di un uomo che per tutta la sua vita si diletta con enormi costruzioni linguistiche, interi linguaggi mai esistiti al di fuori dei suoi appunti? Una cosa dev'essere perfettamente chiara: egli forgiò molti più linguaggi di quelli qui trattati, di quanti potesse mai sperare di includere nelle sue storie. Veramente, vi sono alcuni poemi in Elfico e uno sciame di nomi esotici negli annali della Terra di Mezzo ma, in realtà, questo è nulla a cofronto di tutto ciò che Tolkien produsse. In Tyalië Tyelelliéva # 6, Lisa Star ci informa che la sua lista di vocaboli pubblicati conta dodicimila voci. Stiamo parlando di un enorme costrutto linguistico. Come ebbe inizio? In che modo fu fatto? E perché?
Il giovane John Ronald Reuel nel mondo degli adepti del Nevbosh Un bel giorno, quando il ventesimo secolo era tanto giovane quanto oggi è vecchio, l'adolescente Tolkien rimase sorpreso nell'ascoltare un paio di altri ragazzi comunicare fra loro in Animalico. Esso era un primitivo linguaggio-gioco che consisteva principalmente di nomi inglesi di animali. Gli inventori dell'Animalico non tentarono di mantenerlo segreto, e il giovane Tolkien presto ne imparò qualcosa. Nel suo saggio Il vizio segreto (pubblicato in The Monsters and the Critics pagg. 198-219) egli dà un esempio di Animalico [in molte versioni italiane detto «animalese», N.d.T.]: Cane usignolo picchio quaranta, che traduce in "tu sei un asino". (Per intenderci: "asino" qui significa somaro e nient'altro. In Animalico, quaranta significa somaro, mentre somaro, ovviamente, significa quaranta...) Dar fys ma vel gom co palt 'hocLe rime possono peraltro essere preservate nella traduzione [inglese, N.d.T.]: "There was an old man who said 'how / can I possibly carry my cow? / For if I was to ask it / to get in my pocket / it would make such a fearful row!' " [C'era una volta un vecchio che disse: "come / posso possibilmente condurre la mia vacca? / Se le chiedessi / di mettersi nella mia tasca / farebbe un tale tumulto!", possibile - ma opinabile - versione italiana, N.d.T.]. Ma per Tolkien, la semplice distorsione di vocaboli esistenti (come woc = "cow", mucca!) a lungo andare non fu sufficiente. Già fra i ragazzi Nevbosh era emerso qualcosa di più sofisticato: parole di cui non poteva esser rintracciata alcuna specifica fonte, ma scaturite semplicemente dal fatto che sembravano assumere un significato adeguato - poiché la combinazione di suoni e significati rendeva i ragazzi compiaciuti. Tolkien menziona la parola lint "svelto, abile". Il giovane John Ronald Reuel non dimenticò mai questo vocabolo: quarant'anni dopo dama Galadriel cantava di come gli anni nella Terra di Mezzo siano trascorsi ve lintë yuldar lissë-miruvóreva, come rapidi sorsi del dolce idromele... Tempo passò, e il Nevbosh si unì al latino e al gotico nel lungo novero delle lingue morte. Ma Tolkien, ancora fanciullo, stava già ideando uno dei suoi primi linguaggi creati totalmente da sé: il Naffarin. Egli cita una frase Naffarin per illustrarlo, ma non la sua traduzione: O Naffarínos cutá vu navru cangor luttos ca vúna tiéranar, dana maga tíer ce vru encá vún' farta once ya merúta vúna maxt' amámen. Benché si suppone che il Naffarin incorpori alcune delle ultime evoluzioni del Nevbosh, si percepisce già lo spostamento verso forme "Elfiche" . Il Naffarin fu ispirato dal latino e dallo spagnolo, ma Tolkien fu colto da due ben più potenti ispirazioni.
Dalla porta della cantina gallese all'enoteca finlandese Una cosa era importante per Tolkien. I linguaggi dovevano essere belli. I loro suoni dovevano essere piacevoli. Tolkien assaporava i linguaggi, ed il suo gusto era ben affinato. Latino, spagnolo e gotico erano piacevoli. Il greco era grandioso. L'italiano era meraviglioso. Ma il francese, spesso additato come bel linguaggio, gli dava poco piacere. Dal primissimo inizio, c'erano due linguaggi principali nella sua miytologia: uno che suonava molto come il finlandese, e uno che era simile al gallese. Diversamente dalle loro ispirazioni, essi erano correlati ed erano derivati da un comune primitivo linguaggio. Il linguaggio simil-finnico fu chiamato "Qenya" fin dall'inizio; una piccola riforma ortografica è tutto ciò che è rimasto tra esso ed il suo nome finale. L'altro linguaggio fu originariamente chiamato Golgodrin o "Gnomico", esso era i-Lam na-Ngoldathon o "la favella degli Gnomi". (la sua forma posteriore, così pesantemente riveduta che esso non era più realmente lo "stesso" linguaggio, fu a lungo chiamata Noldorin; solo quando Tolkien ebbe completato SdA realizzò che il suo vero nome fosse Sindarin. Vedere sotto.) Il primo lessico Gnomico fu pubblicato pochi anni fa e passa per essere molto comprensibile, probabilmente il più completo "dizionario" che Tolkien abbia mai fatto per alcun linguaggio Elfico. Il dizionario "Qenya" fu finalmente pubblicato nel 1998 e passa per essere un altro documento molto comprensibile, come si può vedere dagli indici presentati in queste pagine (dalle glosse inglesi o vocaboli Qenya).
MBUD- project. *mbundu: Q mundo muso, naso, capo; N bund, bunn. Cf. *andambundâ dal lungo muso, Q andamunda elefante, N andabon, annabon.Qui abbiamo diverse forme arcaiche (debitamente asteriscate come "inattestate") oltre le discendenze di queste forme in Q (Quenya) e N ("Noldorin", leggi: Sindarin). Ciò conduce alle tecniche usate da Tolkien nella concezione delle sue creazioni linguistiche. In che modo fu fatto?
Christopher Tolkien descrive la strategia di suo padre come creatore di linguaggi in una frase formidabile: "Egli, dopotutto, non 'inventò' nuovi termini e nomi arbitrariamente: in principio, li concepì entro la struttura storica, procedendo dalle 'basi' o radici primitive, aggiungendo suffissi o prefissi o formando combinazioni, decidendo (o, come avrebbe detto, 'trovando') quando il vocabolo entrò nel linguaggio, seguendolo attraverso le modifiche regolari nelle forme cui sarebbe stato sottoposto, e osservando le possibilità di influenze formali o semantiche da altri vocaboli nel corso della sua storia." Risultato: "Una tale parola allora esisterebbe per lui, e la conoscerebbe." (LR:342) 1: MINI: Q minë, S min(C'erano anche radici per 11 e 12, poiché gli Elfi apparentemente usavano un sistema di conteggio duodecimale quasi dal momento in cui vennero ad esistere, ma queste sono sufficienti per il nostro scopo.) Si può osservare come Tolkien cambiò le radici originali secondo le regole fissate e computò quelle forme nelle successive lingue Elfiche. Per esempio, una regola è che in Sindarin p, t, k afone divengono b, d, g foniche quando seguono una vocale: così otteniamo leben dalla radice LEPEN, eneg da ÉNEK e neder de NÉTER. In Quenya, la regola è che le esplosive afone sono solitamente invariate, così in Alto Elfico abbiamo le forme lempë (dalla radice LEPEN- via *lepne e *lenpe?), enquë (i.e. enkwe) e nertë. D'altro canto, il Quenya ha una regola per cui la i corta finale diviene e alla fine delle parole, così abbiamo minë da MINI. Il Sindarin fa cadere la vocale per produrre min. Queste ed altre regole per variazioni sonore furono così disegnate in modo che i linguaggi risultanti ebbero il genere di musicalità che Tolkien cercava: uno prossimo alla fonologia "finnica", mentre l'altro venne a suonare molto simile al gallese. Christopher Tolkien nota come suo padre prese in considerazione "la possibilità di influenze formali o semantiche da altri vocaboli nel corso della loro storia". I numerali ci forniscono un esempio di ciò. Secondo le Etimologie, il termine Sindarin per "albero" era originariamente neledh come nell'elenco precedente. Ma più tardi divenne neled poiché esso fu "influenzato" da canad "quattro". (Si immagini un Elfo che conta min, tad, neledh, canad; un giorno invece egli dice già neled, canad!) Ma non importa quanto Tolkien giocasse con variazioni foniche e non solo inventando nuovi termini e nomi arbitrariamente, le parole devono comunque provenire da qualche parte. Erano, dopotutto, effettivamente arbitrarie? Spesso no. Quando Tolkien fu intervistato dal Daily Telegraph nel 1968 e ottenne di leggere una versione preliminare dell'intervista prima che fosse stampata, egli fu inorridito nello scoprire di aver detto: "Quando si inventa un linguaggio, più o meno lo si acchiappa nell'aria. Si dice boo-hoo e ciò significa qualcosa." Non era propriamente ciò che intendeva realmente; non era sicuro d'aver detto quello. Egli spiegò attentamente d'aver ideato parole basate su predilezioni personali, guidato dal pensiero che fossero foneticamente adatte (Letters:375). Si può discutere su quanto "personali" fossero tali associazioni. Molti saranno probabilmente d'accordo sul fatto che alcune parole Elfiche in uno strano modo sembrano affatto adattarsi al loro significato: elen "stella", menel "cielo", vanya "bello", wen o wendë "principessa", lótë "fiore", masta "pane". (Ovviamente si puè essere in disaccordo: il sottoscritto pensa che MOR, la ben nota radice per "nero", suoni invece come bruno - e come Tolkien potè pensare che carnë significhi "rosso"? Per me, la parola suona verde!)
La discutibile domanda sulla stabilità Comunque, i linguaggi di Tolkien cambiarono in modo diverso che non le simulate modifiche entro la storia immaginata. In The Monsters and the Critics p. 218-19, Tolkien osserva che "se si costruisce un linguaggio artefatto secondo principi scelti", si possono scrivere poesie in quel linguaggio - "così come sono fissati, e nel coraggioso rispetto delle proprie regole, resistendo alla tentazione del supremo despota di alterarle". Man kiluva lómi sangane,"Chi vedrà radunarsi le nuvole, i cieli curvarsi su colline che si sgretolano, il mare ingrossarsi, l'abisso spalancarsi, l'antica tenebra oltre le stelle cadere su torri cadute?" Fu scritto nel 1931. Molto più tardi, probabilmente negli anni Sessanta o anche (necessariamente) nei primi anni Settanta, Tolkien riscrisse questo poema. Lo tradusse letteralmente dal primitivo "Qenya" in un maturo "Quenya", Quenya essendo il linguaggio com'era divenuto dopo trent'anni di revisioni. Ora queste righe si presentano così (MC:222), benché il loro significato sia sempre lo stesso: Man kenuva lumbor ahostaCome si vedrà, la sola parola immutata in ambedue i testi è man "chi"; così anche la desinenza futura -uva in kiluva > kenuva "vedrà". È una questione aperta se un Elfo che parla il "Qenya" degli anni Venti e dei primi anni Trenta possa essere in grado di seguire una conversazione in buon Quenya. Non solo i vocaboli, ma del pari le strutture grammaticali furono soggette a revisione. Nelle Etimologie, ci sono piuttosto scarsi esempi in "Qenya" aventi un genitivo in -n, p.e. Ar Manwen "giorno di Manwë" (LR:368). Ma nel SdA pubblicato, -n è divenuto il suffisso dativo, mentre il genitivo ora termina in -o. Forse che il suffisso -o suona più "genitivale" che non -n ? Un giorno, Tolkien deve aver deciso così. Alcuni vocaboli hanno completamente invertito il loro significato. Abbiamo studiato che gli Avari sono gli Elfi che rifiutarono di lasciare Cuiviénen e andare a Valinor. Ma le Etimologie mostrano che Tolkien originariamente intendeva Avari come il nome degli Elfi che andarono a Valinor! Il nome Fëanor esisteva in uno stadio molto antico, ma non significò sempre "Spirito di Fuoco", come è tradotto nel Silmarillion. Nelle Etimologie è interpretato come "Sole raggiante", dall'antico *Phay-anâro (LR:381). Prima di ciò, nel vocabolario primario, significava "fabbro" (The Book of Lost Tales I, p. 253). Anche quando qualcosa fosse già apparso in stampa, Tolkien non potè sempre resistere alla tentazione di manometterlo. Nella prima edizione di SdA, il saluto di Frodo a Gildor era elen síla lúmenn' omentielmo. Più tardi Tolkien decise che l'ultima parola doveva invece essere omentielvo , e questa forma fu usata nelle successive edizioni. (Uno dei pionieri nello studio dell'Elfico, Dick Plotz, fu choccato nel vedere la nuova forma. Egli pensò che l'editore americano, Ballantine, avesse commesso un errore e fece pressione per farlo correggere. Nell'edizione seguente l'editore - necessariamente incompentente in tale materia - introdusse la variante omentilmo, che non significa nulla: a volte nobili sforzi possono sortire tristi conseguenze!) Nondimeno: le maggiori modifiche e revisione indubitabilmente avvennero nella prima metà degli anni Trenta. Riguardo all'originale linguaggio "Gnomico" del 1915 o suppergiù, l'anziano Tolkien lo considerò meramente un "linguaggio che in ultimo divenne quello di tipo chiamato Sindarin", e il suo primigenio "Qenya" è ora ritenuto "molto primitivo" (The Peoples of Middle-earth p. 379). Ma con l'apparizione delle Etimologie a metà degli anni Trenta, la forma quasi definitiva di Q(u)enya e "Noldorin" = Sindarin fu messa in campo, e i rimanenti quarant'anni della vita di Tolkien trascorsero in pignolerie sui dettagli.
Studenti, imitatori, satirici e scrittori Quale, allora, il prezzo dei linguaggi di Tolkien oggi, quando un quarto di secolo è passato da quando il loro autore si recò nelle aule di Mandos? Alcuni di noi si sono sobbarcati lo studio dell'Elfico, forse un po' con la stessa attitudine con cui la gente si diverte con un cruciverba ben fatto: proprio il fatto che nessuna grammatica elfica scritta da Tolkien sia mai stata pubblicata lo rende un'affascinante sfida a "break the code". O può essere puro romanticismo, una speciale forma di immersione letteraria: con lo studio dei linguaggi Eldarin, si tenta di farsi simili - proprio al loro livello mentale - agli immortali Elfi, saggi e giusti, i Primogeniti di Eru Ilúvatar, tutori dell'umanità ai suoi albori. O, meno romanticamente, si vogliono studiare le costruzioni di un talentuoso linguista e il processo creativo di un genio occupato nel suo amato lavoro. E a molti semplicemente piacciono i linguaggi elfici come a uno può piacere la musica, come elaborati e (secondo il gusto di molti) gloriosamente fortunati esperimenti di eufonia. Qualunque sia la motivazione dello studente, lo studio è indubitabilmente istruttivo: per descrivere propriamente i linguaggi di Tolkien, si devono acquisire informazoni ricche di terminologia linguistica. (Il sottoscritto ha avuto appena intima familiarità con tali termini e concetti come allativo, ablativo, locativo, svarabhakti, assimilazione, lenizione e molto più di quanto non abbia avuto bisogno, nei miei studi di Elfico. Una volta ho impressionato uno dei miei lettori con la mia conoscenza dei modelli di lenizione gallese. Come poteva sapere che i miei esempi erano invero basati sul Sindarin?) È anche stato suggerito che qualcosa dell'acume di Tolkien come linguista sia sepolto nei suoi linguaggi, in attesa di essere dissotterrato. Il Modern Language Association International Bibliography ha ritenuto che lo studio dell'Elfico fosse sufficientemente serio per loro da registrare Vinyar Tengwar, la news letter dell'Elvish Linguistic Fellowship, nel suo indice. di Sara Guerzi J.R.R. TOLKIEN |
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