J. R. R. Tolkien: “Il Signore degli Anelli“ -
Mitologia, Filosofia, Allegoria
“Facharbeit“ – Saggio di Manuel
Steiner, scritto nel ´00 p.r.i.
Indice
Introduzione 2
I.
Compendio de Il Signore degli Anelli 2
II. Struttura e composizione 5
III. Linguaggio
e stile 6
IV. L’importanza
della filologia 8
V. La mitologia della Terra di Mezzo 11
VI. Filosofia
e cosmo 15
VII. La
questione dell’allegoria ne Il Signore
degli Anelli 23
Epilogo 29
Appendice A: Profilo biografico
di J. R. R. Tolkien 30
Appendice B: Opere di J. R. R.
Tolkien in ordine di pubblicazione 31
Appendice C: Mappa della Terra
di Mezzo durante la Terza Era 32
Abbreviazioni e bibliografia
delle opere consultate 32
V |
i sono attualmente
molte dicerie in giro sul film che Peter Jackson ha girato ormai un po’ di
tempo fa in Nuova Zelanda: sarà un nuovo adattamento, in stile epico della più
nota novella fantasy: "Il Signore
degli Anelli" di Tolkien.
Laddove alle persone "normali" verosimilmente non importa dell’opera
finché giungerà nei cinema nel 2001, i fanatici di Tolkien sono stati
ossessionati da ogni esile frammento di informazione spiata-rosicata che
potessero ottenere per mesi.
Mentre
il progetto stesso fu accolto da entusiastiche opinioni, qualche cosa le fece
disapprovare dalla comunità Tolkieniana. Il cast degli attori, che, per
esempio, include stelle come Christopher Lee nella parte di Saruman ed Elijah
Woods in quella di Frodo, più che un punto di dibattito è scrittura di pieces
ed una lista di personaggi per gli interpreti che gli ammiratori scoprirono. A
quanto pare, il regista progetta di riscrivere la trama del libro allo scopo di
adattarlo al gusto moderno, includendo modifiche all’apparenza esteriore dei
personaggi, il ruolo che giocano e specialmente il loro comportamento.
L’importanza dei personaggi femminili è da sottolineare, mentre ruoli minori
sono da omettere in conformità col copione. Tali modifiche pianificate hanno
acceso un’accalorata discussione sul significato del libro, ed il modo in cui i
personaggi sono intesi. Un sito Internet sta persino raccogliendo una petizione
che sarà spedita a Peter Jackson non appena vi siano abbastanza sottoscrizioni;
esigendo che il film rimanga totalmente fedele al romanzo. Lievi differenze
d’interpretazione devono assumersi con cura, siccome vi è il pericolo che il
libro possa essere facilmente frainteso, come lo è già stato una volta e più da
quando fu per la prima volta pubblicato nel 1954/55; con diverse fuorvianti allegorie
e ostinati critici a sottovalutarlo.
In
questo saggio, tento di fornire le informazioni necessarie per una comprensione
del romanzo, della sua mitologia e significato, e mostrerò allegorie ed
interpretazioni comuni e come verosimilmente esse sono fedeli al contenuto del
libro.
I.
Compendio de Il Signore degli Anelli
Il
compendio dei contenuti che vado a fornire col presente documento è una
necessaria base per una comprensione di questo saggio, sebbene non possa né
coprire l’intero libro dettagliatamente, né formare una base per critica seria.
Per quest’ultima, la completa ed attenta lettura del romanzo è inevitabile.
La Compagnia dell’Anello
La
storia inizia nella Contea, un’area rurale, idilliaca, nella quale a Frodo, un
hobbit – il loro proprio vocabolo nativo per halfling -, erede di suo zio
Bilbo, è rivelato da Gandalf, lo stregone,dei poteri celati dell’anello
ereditato. È un anello di estrema potenza, forgiato dal signore di tutti i
mali, Sauron, ed un gingillo capace di concedergli, lui che si era appena
schiodato nuovamente dal confino, il potere di conquistare il mondo e ridurlo
in cenere. Tre anelli benigni e nove maligni possono essere controllati
dall’unico Anello dominante, ma siccome l’Anello corrompe e seduce coloro che
gli sono appresso, e siccome esso tende al suo padrone, l’Oscuro Signore, la
sola possibilità è di distruggerlo laddove fu creato, nel Monte Fato, nel
profondo di Mordor, la terra d’ombra del nemico. Frodo viaggia, per tutto il
tempo perseguitato e ricercato dai neri cavalieri del nemico, assieme ai suoi compagni hobbit Samvise, Peregrino e
Meriadoc, cui più tardi si congiunge il misterioso ramingo Aragorn, chiamato
Grampasso, alla volta di Gran Burrone.
Ivi,
durante il concilio di Elrond Mezzelfo, Frodo accetta il compito di viaggiare
fino a Mordor; e la compagnia formata da Gandalf, Frodo, Sam, Pipino, Merry,
Aragorn, Legolas l’elfo, Gimli il nano e Boromir di Gondor, la terra più
prossima a Mordor, parte. Sul loro cammino verso l’incantato bosco Elfico di
Lórien, essi perdono Gandalf in un combattimento contro un demone nelle miniere
di Moria nel cuore delle Montagne Nebbiose. Aragorn agisce come loro leader
d’ora innanzi e la compagnia si ristora in Lórien e si sposta lungo il fiume
Anduin in barca. Su di un’isola nel fiume, Boromir tenta di convincere Frodo a
dargli l’anello, e quando egli lo assale, Frodo fugge dalla compagnia, seguito
da Sam. Boromir è ucciso immediatamente in seguito dagli orchi nel difendere i
rimanenti due hobbit, che sono catturati e portati via.
Le Due Torri
Durante una zuffa fra Orchi, Merry e Pipino fuggono nella foresta di Fangorn, ove con l’aiuto dell’Ent -una creatura-albero- Barbalbero, essi sono in grado di provocare il levarsi della foresta e l’attacco a Isengard, la fortezza dell’infido stregone Saruman. A tutta prima, Aragorn, Legolas e Gimli incontrano cavalieri di Rohan, e più tardi il redivivo Gandalf in nuovo splendore. In Edoras, essi scuotono il Re del Mark, Théoden, dall’influenza di Gríma Vermilinguo ed a combattere contro Saruman. Essi prendono posizione al Fosso di Helm che difendono con successo. In Isengard, essi incontrano nuovamente gli hobbit e gli Ent che ne stanno facendo a pezzi le mura, rovesciando Saruman.
Frodo e
Sam, nel loro cammino alla volta di Mordor, catturano Gollum, il primo
possessore dell’Anello, che li segue segretamente per riguadagnare il suo
prezioso gingillo. Con lui alla guida, essi aggirano il cancello chiuso di
Mordor e conducono a sud. Gollum, contorcendosi tra la lealtà a Frodo dovuta al
voto che ebbe a giurare sull’Anello, e bramando per il suo possesso, infine li
guida, dopo un periodo che essi trascorsero con le sentinelle di Gondor, in una
trappola al passo di Cirith Ungol. Ivi, Shelob, il ragno gigante, avvelena
Frodo, che è portato via dagli orchi, lasciando Sam con l’Anello.
Il Ritorno del Re
Mentre
Gandalf e Pipino dirigono verso Minas Tirith, Aragorn, che si è appena rivelato
come il legittimo erede del trono a lungo deserto di Gondor, prende il Sentiero
dei Morti verso sud, assieme al suo seguito di Raminghi e Gimli e Legolas.
Théoden cavalca con Merry verso Dunclivo per adunare l’esercito di Rohan. I
cavalieri compaiono giusto in tempo siccome Minas Tirith è già assediata dalle
forze di Sauron. Nella battaglia dei campi del Pelennor Théoden Re è ucciso,
ma, a sua volta, sua nipote Éowyn abbatte il condottiero dell’esercito nemico,
il Signore degli Spettri dell’Anello. Assieme al Re Aragorn, che compare
spalleggiato dai non morti a lui vincolati da un antico voto, il corso degli eventi
muta in favore dei difensori di Minas Tirith. Nella città, ove Denethor il
Sovrintendente si era precedentemente arso, Aragorn risana I feriti e quindi
chiama a raccolta un esercito per marciare verso il Cancello Nero di Mordor. Su
di un colle, essi stabiliscono il loro campo nella decisiva battaglia finale.
Nella
torre di Cirith Ungol, Sam è abile nell’aiutare Frodo a scappare, ed essi
continuano il loro tragitto attraverso la landa desolata di Mordor a Monte
Fato, dove incontrano Gollum di nuovo. Frodo rifiuta di sacrificare l’Anello
alle fiamme nelle sale di fuoco al di sotto della montagna, ma Gollum stacca
con un morso il suo dito, e, nella sua scomposta gioia, cade nell’abisso. Con
la distruzione dell’Anello, la Torre Oscura di Sauron crolla ed il suo padrone
svanisce. Dopo essere stati onorati al Campo di Cormallen, gli hobbit ritornano
alla Contea, solamente per vederla controllata da Saruman, il quale, ora che è
privo di poteri, devono dapprima respingere, eche poi è assassinato dal suo
seguace. L’ultima azione di Frodo vista nella Terra di Mezzo è il suo salpare
all’ovest con gli altri portatori dell’Anello, lasciandosi indietro, fra gli
altri, un Sam maritato e padre ed un Aragorn insediato sul trono.
II.
Struttura e composizione
Vi sono
diversi punti peculiari sulla foggia de Il
Signore degli Anelli. Per prima cosa, Tolkien non lo scrisse con un fermo
"piano generale", ma lo lasciò evolvere e sviluppare col procedere
della storia, agendo per ispirazione da ciò che egli stesso Aveva scritto. Egli
ammette che alcuni riporti narrativi apparvero soltanto più tardi, ed è citato
che non sapesse dove porre Grampasso,
oppure come continuare la storia, quando l’azione raggiunse Brea (comp. Moseley,30). Un altro aspetto delle
opere di Tolkien in generale, e de Il
Signore degli Anelli in particolare è il modo in cui asserisce di
presentare i testi. Essi non sono inventati da Tolkien, ma di fatto scritti
dagli hobbit nel "Libro Rosso dei Confini Occidentali" e meramente
tradotti ed editi da Tolkien. Come spiega nell’appendice F, egli tradusse ciò
che era in lingua comune, ed anglicizzò i nomi (comp. LOTR, 1107ff.). Ciò può essere ricapitolato dalla tesi per
cui "la storia stessa è tratta come attiva, lo scrittore come
passivo" (Moseley,30). Il
narratore in terza persona, onnisciente e non importuno, ben più di una volta
marcia dietro la narrazione in prima persona fornita dai personaggi, o dalle
loro retrospezioni.
Per l’effettiva
struttura del romanzo, Tolkien adoperò metodi più comuni nella letteratura
antica o medievale. Uno è la composizione ad anello di Omero, ma anche di altri
scrittori e poeti nei secoli successivi, come Wagner. Una narrazione generale,
principale è sospesa per focalizzarsi su di una singola persona o articolo,
come l’Anello. Come l’azione circola attorno all’Anello, anche l’intero
sviluppo della trama è circolare: scomparsa e ricomparsa di personaggi
(Gandalf), e scostamento del focus da Sam e Frodo agli altri. Prestando
attenzione all’esposizione cartografica del libro, lo schema tipo “andata e
ritorno” è altrettanto evidente: il punto di partenza, la Contea, è il luogo
conclusivo, Gran Burrone è visitato in entrambi I viaggi – di andata e di ritorno
-, ed il punto più estremo (in ambedue i sensi), Monte Fato, è anche il punto
di svolta geografico. Lo sviluppo di trama e tensione s’adatta pure a tale
schema, con azione crescente nei primi quattro libri, una posticipazione nel
libro cinque, che non menziona affatto Frodo, ed una risoluzione nel libro sei,
con l’arrivo delle aquile e la partenza per i Porti Grigi.
Un
motivo del Romanzo cavalleresco medievale e delle Antiche Saghe Norrene sono
gli entrelacements della narrazione
nel romanzo. Con l’inizio del libro tre, l’unica sponda dell’azione differisce
in diverse, seguendo il disgregarsi della compagnia. Questi sono tenuti
assieme, però, da una mappa ed una cronologia giornaliera. La complessità
fornisce anche alcune connessioni incrociate solo in seguito ovvie: la voce che
Frodo ode su Amon Hen è di Gandalf; ciò non può essere noto al lettore a tutta
prima. Un altro esempio è il cadavere di Boromir alla deriva lungo l’Anduin,
visto da Faramir, ma ignoto a Sam e Frodo (comp.
Shippey, 146f.).
La combinazione
di tutti questi metodi di strutturazione crea una tensione la quale per altri
versi potrebbe andare un poco perduta se vi fosse minor complessità, ma in tal
modo l’attenzione del lettore è sempre trainata avanti e indietro, con
concatenazioni e balzi batracoidi dell’azione.
III.
Linguaggio e stile
Per un
certo numero di differenti ragioni, Il
Signore degli Anelli contiene vari livelli di retorica e stile. Un punto è
che doveva essere stampato in parecchie copie a raggiungere un pubblico esteso
ed anonimo, non un circolo privato di amici cui Tolkien potesse leggere il
libro ad alta voce. Il punto di vista della critica per cui "la
disunifornità di tono, l’occasionale sciatteria delle metafore e simili, (...)
può essere dovuta in parte a tale incertezza
circa la risposta dell’uditorio." (Moseley,
43; mio corsivo) è edificato su questo fatto. A causa di ciò, Tolkien ebbe
a tralasciare un certo ammontare di narrazione dallo stile elevato che usò in
opere precedenti; ed il livello del linguaggio si eleva con quello dell’azione
soltanto dalla conclusione del libro uno. Prima di essa, specialmente quando
l’azione stessa è ancora nella Contea, Il
Signore degli Anelli era congegnato come un diretto seguito a Lo Hobbit, usando quegli espedienti
stilistici atti a creare un libro per bambini.
Più
tardi, l’autore è ancora a confrontarsi con il compito di allineare la parlata
dei personaggi al loro sottofondo culturale, siccome ha di che sviscerare
"differenti mondi di parole" (Moseley,
44). Invero, è chiaramente visibile che Tolkien non fece null’altro che
collegare espressione e scelta dei vocaboli al modo di pensare del personaggio;
con orchi e vagabondi usando discorsi semplici e crudi, gli alti elfi parlando
solennemente e con tono elegiaco, ed i Rohirrim rassomigliando agli antichi
Anglosassoni nei loro toni melodicamente rimati, eroici.
Toni
medi ed una certa letizia sono presenti negli hobbit, per quanto il loro stile
colloquiale e le parole ci sono familiari. Lo stile elevato è conseguito dalle
proposizioni di Tolkien che spesso si ritrovano solenni, parallelistiche e
polisindetiche, come la descrizione dell’arrivo dei Rohirrim a Minas Tirith (comp. LOTR, 820) oppure il passaggio in
cui lo splendido Re Aragorn Elessar è ammirato entrare nella città (comp. LOTR, 947).
Ad un
tale stratagemma linguistico se ne accompagna un altro, il "levare il
registro linguistico e [l’uso di] deliberati arcaismi" (Moseley, 51). Di questi ultimi Tolkien
ne fornisce molti: antiche forme per vocaboli comuni, scrivendo "hither",
"thither" e "whither" oppure "nigh",
"naught" and "aught", ed attraverso arcaiche espressioni
non più, almeno non frequentemente, usate: il solenne "tidings" per
il modernistico "news", oppure la frase "to be loath to"
invece di "reluctant". Per quanto formali ed elegiache esse possano
essere, sono anche talvolta in contrasto con altre frasi, ed a causa della
complessità della narrazione, una unità di stile e linguaggio non è mai
conseguita; solamente un relazione isomorfica fra espressione e personaggio la
quale equipara l’impressione che "Tolkien non sembra mai risolvere appieno
i problema del livello retorico" (Moseley,
42).
I poemi
che Tolkien intercala per lo più si adattano alla rispettiva retorica e pure al
sottofondo culturale del personaggio. Gli Hobbit hanno versi ridanciani,
talvolta sconvenientemente umoristici, "filastrocche", come sono
definite frequentemente da Shippey. I
poemi Elfici esprimono la dignità e solennità della loro razza con il loro
ritmo melodico, che è, in quei versi conservati solamente in Sindarin, anche il solo aspetto che il lettore
realizza. Speciale attenzione è posta sulle rime e canti dei Rohirrim, e più di
una volta essi rassomigliano ai loro modelli, l’antica poesia Anglosassone ed
eminentemente l’Antica Norrena più che nella mera struttura. Questi sono poemi
in rima melodica, con gli eroici ideali e la furia del loro popolo espressa nei
loro canti, ma ve ne sono di paralleli alla Edda Poetica in un grado imitativo,
per giunta: quindi il grido di battaglia di Théoden mentre carica rammenta
chiaramente un rigo nel Voluspá. Ivi
la fine del mondo è descritta con le parole "axe-age, sword-age / sundered
are shields / wind-age, wolf-age / ere the world crumbles"[1] (Moynihan,330; citato da Lee M. Hollander, The Poetic Edda, 9);
il grido di Théoden imita questo sia nel ritmo che nel sighificato, ed utilizza
anche parole simili: "Saran scosse le lance, frantumati gli scudi, / e
rosso il giorno prima dell’alba!"[2] (SdA, 1006). Similmente, la Lunga
Lista degli Ent alle pagine 568 e 711 appare come un poema di sapienza tal
quale al Grímnismál, dal momento che
ambedue raccontano dei nomi di oggetti e creature viventi. Ma come mostra il
primo esempio, tale parallelo è appena formale, con differente contesto, e non
una allegoria, il che proverò più oltre. Con l’amore di Tolkien per la poesia,
vi sono tuttora molti poemi i quali non apportano migliorie all’insieme del
romanzo, ed è vero che i "poemi
funzionano realmente soltanto quando saldamente collegati al loro contesto
narrativo, ad innalzare quel momento." (Moseley, 51).
IV.
L’importanza della filologia
Soggiacente
a tutte le opere di Tolkien è la filologia, sia dal lato professionale che per
il puro amore per linguaggio e parole. Suono e tono di certi linguaggi ed opere
presero il cuore di Tolkien letteralmente d’assalto. Fu il caso del Gotico; fu
tale col Finnico, al quale il suo inventato linguaggio elfico Quenya
rassomiglia, e fu tale col Gallese, il quale ispirò il suo linguaggio Sindarin.
Linguaggi,
e non di rado singoli vocaboli da soli lo ispirarono grandemente per la sua
narrativa; invero, "egli pensava che le idee gli pervenissero [...]
attraverso le ascose risonanze di
nomi e linguaggi" (Shippey, 263;
mio corsivo). Questo è il luogo in cui la filologia entra in gioco. Tolkien era
grandemente interessato alle parole ed alla loro storia – si legga la loro
etimologia – e ciò espresse nella narrativa. In tal modo, egli tentò di
introdurre il mondo delle parole che apprezzava tanto sia entro un contesto
mitologico che entro un’ambientazione storica che presentò come fatto. Per
citare egli stesso: "Mi piace la storia, e sono commosso da essa, ma i
suoi migliori momenti per me sono quelli in cui si fa luce su parole e
nomi" (Shippey, 62). Siccome non
era questo il caso che si desse così di sovente, egli tentò di correggersi,
dando nomi e vocaboli a storie che naturalmente egli dapprima aveva inventato,
dal momento che alcunché d’altro sarebbe andato contro i suoi propri principi
se avesse assunto che un linguaggio fosse esistito prima dei nostri tempi - ma
che effettivamente non lo fu mai. Per tali linguaggi inventati, la storia nella
sua narrativa è secondaria, minore in importanza che non nel processo di
creazione in cui i linguaggi erano primari; la sua narrativa fu sviluppata come
un metodo per presentarli. Come egli stesso ammise, "Le ´storie´ furono
piuttosto ideate a fornire un mondo per i linguaggi che non l’inverso!" (Shippey, 22; citato da Letters of J.R.R. Tolkien, ed. Humphrey
Carpenter, 219).
Assieme
a ciò la credenza di Tolkien in un "intimo valore" dei linguaggi; era
convinto che "le persone possano avvertire la storia nelle parole, possano
riconoscere gli stili dei linguaggi, possano estrarre senso dal suono
soltanto" (Shippey, 104). Qui
Tolkien potrebbe trarre conclusioni da sé su quello che altri pensino, ma per
lui probabilmente esistette un linguaggio nel quale ogni cosa aveva il suo
proprio, rispettivo e vero nome, perfettamente adatto e intelligibile ad
ognuno. Tali assunti sono espressi nel personaggio di Tom Bombadil, che fu,
simil-Adamo, il primo a dare ad ogni cosa il suo confacente nome, isomorfo con
la realtà.
Tutto
questo insieme spiega l’opinione di Tolkien che la sua opera fosse "in
larga misura un saggio in estetica linguistica." (Shippey, 104; citato da Letters of J.R.R. Tolkien, ed. Humphrey
Carpenter, 220). All’apparenza Tolkien gradiva realmente usare
"nomi parlanti". Ossia, tutti i predecessori di Éomer erano chiamati
con qualche termine Anglosassone per "re", oppure il nome di Gandalf
"nel Sud" era Incanus,
Latino per canuto. Un altro esempio, trascurato nelle varie opere di seri
autori e critici, è il nome del Vecchio Tuc, il più anziano hobbit di sempre: Gerontius non significa altro che
"alla maniera di un uomo molto anziano"[3].
In ogni caso, il significato descrive chi è nominato, e "metter nome è
conoscere" (Moseley, 54).
La
profondità, qualità che Tolkien valutò per la maggior parte in ogni opera, è, a
parte i suoi linguaggi inventati, principalmente conseguita dai nomi che danno
contributo a persone ed oggetti. A formare un contrasto con la letteratura –
che Tolkien vedeva come opposto dell’antico spirito contenuto nell’anticaa
letteratura inglese, non da meno il suo assai adorato poema epico Beowulf - sua mira fu di utilizzare la
filologia – quel che chiamò "lo speciale fardello delle lingue Nordiche,
[...] lo speciale vantaggio che possiedono quanto a disciplina" (Shippey, 8) – allo scopo di ridestare
tale spirito. Così, non sorprendentemente, l’intera sua narrativa è edificata
sulle parole, sull’etimologia, la filologia. Egli derivò una gran quantità del
suo cosmo solamente dalle tradizioni, gli antichi racconti di Elfi, Nani, Ent e
Dragoni che volle presentare; e siccome erano fatti filologici, è
comprensibile che, nonostante la sua mescolanza di poesia con filologia,
l’esito narrativo regga un certo grado di realismo. Altri nomi, per esempio i
nomi di luogo nella Contea, hanno controparti esistenti, principalmente nella
regione sulla quale la Contea fu più o meno esattamente modellata, i.e. i
dintorni del Worcestershire. In tal proposito, vi sono due divergenti tipi di
nomi nella Terra di Mezzo: nomi sui quali fu inventata una storia, un
personaggio oppure un luogo ("I nomi generano sempre una storia nella mia
mente" (Shippey,60), disse
Tolkien); e quelli che recano un nome dato
dopo la loro invenzione; quantunque nell’ultimo caso sia possibile che
l’autore avesse tale idea, tale nome, in mente fin dal principio.
Il Signore degli Anelli agisce
esattamente in conformità con il principio di Tolkien per cui "la parola
narra la storia" (Shippey,15),
come egli ammise in una delle sue lettere (comp.
Shippey, 15); il principio per cui un’etichetta dice molto a chi la sa
lunga. Un filologo – tale come Tolkien medesimo - dovrebbe riconoscere il
significato nascosto di persone e luoghi rivelato nei loro nomi, e l’importanza
di tale nome-significato non è da
sottostimarsi. Se il nome, "etichetta", e la percezione divergono,
entrambi dovrebbero essere tenuti in conto. È probabile che Tolkien abbia dato
alla prima la priorità; come è con Aragorn, in realtà Elessar, la "Elfica-stella"
[4],
che appare cupo e probabilmente malevolo al primo incontro. Ma qui le linee del
poema sono provvidenziali per scoprirne l’indole: "Non tutto quell ch’è
oro brilla / Né gli erranti sono perduti.". Qui, come T. A. Shippey faceva
notare: "la credenza di Tolkien era ´che la parola autentica l’oggetto´" (Shippey,51; mio corsivo).
In
conclusione, per come stanno le cose effettivamente l’intero Signore degli
Anelli fu fondato sulla base della filologia, e l’ispirazione che Tolkien
trasse dalle parole, ed è logico che non si possa seguire il modo di pensare di
Tolkien senza tener conto di ciò come uno dei più fondanti fattori per lui e le
sue opere. Virtualmente, "non v’è divisione tra la filologia di Tolkien e
la sua narrativa." (Moseley, 1).
La creazione della mitologia
Quel che
risulta evidente dai capitoli precedenti, è che Tolkien non sarebbe mai stato soddisfatto
dallo scrivere normale letteratura seguendo il filone dominante. Voleva
risvegliare le antiche tradizioni attraverso un canale differente, coinvolgendo
i miti ed affrontando le critiche per esser andato contro le comuni leggi non
scritte della scrittura. Infatti, "Tolkien non era partito per scrivere ´letteratura´, [...]
ma poteva, con crescente certezza, esser partito per scrivere mitologia." (Moseley, 52; mio corsivo). Questo includeva il fatto di spostare
l'attenzione lontano dai personaggi, poiché nei miti cosmici gli esseri umani
devono stare un passo indietro, lasciando la scena agli aspetti universali. E'
come disse W.H.Auden di Tolkien: che Shakespeare creava personaggi e trame
narrative, là dove Tolkien creava mondi e miti (comp. Murray, A. : Das Tolkien Quizbuch, 67. Klett-Cotta, o.J.,o.O.)
C'erano
tre ragioni principali che muovevano Tolkien a fare ciò: i suoi interessi
filologici che lo indirizzavano verso il mito, il desiderio di esprimere la
propria poesia in un canale appropriato e, non per ultima, l'intenzione di dare
all'Inghilterra, "il paese più demitologizzato d'Europa" (Shippey, 268), una mitologia che non
aveva mai avuto nei secoli precedenti, risultato questo dell'invasione normanna
del 1066 e della Rivoluzione Industriale.
Un
aspetto de Il Signore degli Anelli è
che oggigiorno può essere semplicemente denominato Fantasy, la finzione narrativa di persone, luoghi e circostanze
inesistenti nel mondo normale. Gran parte della sua cosmologia si basa sul
folklore e le fiabe dei tempi più antichi, oltre che su quella che è la forma
più alta della tradizione popolare: saghe, ballate e canti epici. Alcune di
tali fonti che ispirarono Tolkien furono indubitabilmente il poema Pearl and Sir Orfeo, sommamente Beowulf, l’Islandese Antica Edda, ed anche il Nibelungenlied (sebbene non nella
versione di Wagner). In essi, come nelle antiche ballate popolari, veniva
riflessa la credenza della gente in creature come draghi, elfi e nani e poiché
Tolkien era un maestro in tale campo, "le incongruenze di tali tradizioni
non potevano che dare a Tolkien una grande voglia di creare una Zusammenhang" (Shippey, 211).
Risonanze Mitologiche
Egli
seppe combinare insieme aspetti delle varie creature e fenomeni per creare gli
abitanti e le condizioni della Terra-di-Mezzo, a volte sviluppando qualcosa
"da un frammento", da una singola parola o idea - come far menzione
degli orchi nel Beowulf, un Bosco
Atro nel Lokasenna e nel Hlodhskvidha dell’Edda Poetica, oppure l’idea di una foresta che prende vita ed
attacca nel MacBeth di Shakespeare;
che Tolkien portò a reale movimento, letteralmente parlando, quasi non
apprezzasse l'idea che la foresta del dramma non caricasse realmente. Gli elfi
sono una mescolanza di fonti differenti, togliendo magari qualcosa da una, ad
esempio l' idea del ´changeling´[5],
ed aggiungendo una
porzione dall’altra, come le caratteristiche degli abitanti Celtici dell’altro
mondo, i Tuatha Dé Danaan. Similmente
i nani, ispirati quasi completamente dall'Edda,
sebbene trasmettano la loro peculiarità di mutarsi in pietra al sole, che ivi è
loro tratto centrale, ai Vagabondi, e a loro volta prendano l’aspetto
Rumpelstiltskiniano di non dire ad alcuno i loro veri nomi, il che può trovarsi
nelle fiabe dei Grimm. (comp. Shippey,
106).
Anche gli
esseri umani vengono creati ispirandosi alle leggende: essi però mostrano anche
- e dopotutto sono uomini - tratti comuni, ritrovabili nella realtà e nella
storia. I Rohirrim, ad esempio, che Tolkien afferma assomigliassero agli
antichi inglesi soltanto nel linguaggio e nelle circostanze in cui erano stati
introdotti, sono effettivamente molto simili agli Anglosassoni delle leggende e
poesie (comp. Shippey, 112). Un loro
aspetto caratteristico è l'innata ferocia, tale da far dichiarare a Shippey
"Si comportano come pellirosse in cotta di maglia" (Shippey, 115). Una spiegazione di questo,
come lo stesso Shippey indica, può risiedere nella maniera in cui una terra
plasma i propri abitanti: i reali Anglosassoni, infatti, come quelli della
leggenda, erano tipicamente germanici nel non essere un popolo di cavalieri
(Cesare già menziona la loro abitudine di smontare dai loro cavalli in
battaglia nel suo De Bello Gallico).
D'altro canto, Gondor può essere correlata all'Antica Roma - più potente, più
civilizzata e sviluppata, ma anche dai costumi più decadenti.
Anche
il ruolo mitologico di Gandalf risulta composto da aspetti differenti, anche
se, ovviamente, preso da altri punti di vista: la sua resurrezione nello
splendore sulla collina nella foresta di Fangorn ricorda tanto quella di Gesù[6],
quanto quella di Balder, dio germanico della Giustizia, Pietà e Luce, la cui
morte segna l'inizio della fine del mondo e la cui rinascita coincide con
l'inizio d'una nuova era. Similmente ambivalente è il sacrificio di Gandalf a
Moria: come Gesù, che morì per la sua gente, ma anche come Odino, che s'impiccò
sulla cima dell'albero del mondo, Yggidrasil[7],
ottenendo in cambio la conoscenza delle rune e che sacrificò un occhio per
avere il dono della visione profetica, così come Gandalf, tornato dalla morte
con rigenerato potere. L'oggetto centrale del romanzo, l'Anello, può trovare il
proprio riferimento in Draupnir,
l’Anello del Potere di Odino; sebbene ciò verrebbe ad includere un contributivo
personaggio allegorico a Il Signore degli
Anelli; ed anche se ci sono, sicuramente, molti altri anelli magici nei
miti e nei racconti.
La
Terra di Mezzo stessa ha una mitologia, per giunta, la quale principalmente
appare nei vari canti; tali come la Caduta di Gil-Galad, un personaggio prometeico
simile ad un elfico Icaro, oppure la Storia di Beren e Luthien[8].
Un'altra
mescolanza tra culture reali e loro miti si può ritrovare nel campo spesso
trascurato del simbolismo numerico. Molte figure, articoli importanti o piccoli
dettagli, sono composte da uno
dei due più comuni numeri "sacri": il 7, nella tradizione biblica
Giudaico-Cristiana ed il 3 ed i suoi prodotti, cifra importante nella
tradizione Norrena ed in quella cristiana. Come Tolkien spiegò, gli elfi
preferivano contare in sestine e dozzine, che altro non sono che 2x3 e 4 X 3 (comp. LOTR, 1080). Nel romanzo, sono
frequenti numeri simbolici, così come ci si dovrebbe aspettare in un racconto
mitologico: vi sono tre anelli elfici, nove (tre volte tre) anelli dei mortali,
e, per riflesso, nove Spettri dell'Anello; nove membri della Compagnia dell'Anello in partenza da Gran Burrone; 27
(nove volte tre, ovvero tre volte tre volte tre) gradini per salire alla torre
di Orthanc; e Denethor è il ventisettesimo reggente di Gondor. Per quanto
riguarda il numero sette, ci sono sette anelli dei nani, sette Palantíri, le
antiche pietre della visione; sette stelle di Elendil, che si possono ritrovare
anche nello stendardo di Aragorn; e sette le mura e le torri di Minas Tirith. Una combinazione di tre e sette è il numero di
orchi ucciso da Gimli nella battaglia del Fosso di Helm: 42, due per tre per
sette o sei volte sette. Ci sono sicuramente molti esempi di questo tipo, ma
nessun numero o insieme di essi può effettivamente essere associato ad una
specifica cultura della Terra-di-Mezzo.
Spero
di aver già chiarito il fatto che esistono alcuni topoi ricorrenti sugli aspetti mitologici in mezzo a percezioni
differenti, così come tra il punto di vista cattolico di Tolkien e quelli degli
altri; che ci sono "elementi narrativi nel Vangelo che hanno analogie con
altri miti ed altre culture" (Moseley,
27) cosa di cui Tolkien si era reso conto e che viene ammesso attraverso la
sua convinzione per cui "il mito e le strutture narrative [...] sono fondamentalmente vere,
radicate in una più profonda Verità" (Moseley,27).
Tolkien
affermò che "L'importanza di un mito non può esser facilmente messa per
iscritto tramite ragionamenti analitici" (Moseley, 25). E' certo infatti che la mitologia de Il Signore
degli Anelli non può mai esser afferrata per intero, poiché e' piuttosto lontana da noi e perché,
semplicemente, noi non vivremo mai nella Terra di Mezzo. Ciò che il romanzo
contiene sul mito e la mitologia, non è che
"l'incertezza e le visioni di un mondo alieno che va oltre la
comprensione" (Shippey, 100; mio
corsivo). Quello che si crede di comprendere è legato a ciò che sembra
essere più familiare: molti lettori vedono similitudini con i miti che
conoscono (comp. Shippey, 102). E' anche la
percezione del lettore a decidere il livello e lo stile del mito, o se qualcosa
possiede un significato mitologico e quale esso sia. Per alcune scene ed
ambientazioni, sono possibili differenti livelli di interpretazione, a partire
dal mito, dietro cui si immagina un significato più profondo; profonda mimesi,
quando vi sia una flebile aria d’un più alto, ancorché irraggiungibile
concetto; e ironia, se le cose dall’antefatto incerto vengono prese cum grano salis, con un pizzico di
intelligenza (comp. Shippey, 198).
In
quale maniera, dunque, Il Signore degli Anelli è un mito, posto che ha
di certo una sua mitologia? Se si prende la definizione di Northrop Frye per
cui "l'eroe è un essere divino e la sua storia sarà un mito" (Shippey, 190), allora si può giustificare il rango mitico del
romanzo prendendo in considerazione l'aspetto divino di Gandalf, come Maia, una
specie di divinità minore; gli elfi, che sono immortali e Frodo, che possiede
tratti modellati su quelli di Gesù Cristo: pietà e compassione. Un altro
criterio dato da Shippey è Il Signore degli Anelli visto come "una
storia comprendente i più profondi sentimenti di una particolare società in un
certo periodo" (Shippey, 184);
e, per definire il romanzo in una sola espressione, dovrebbe essere "un
mito contro lo scoraggiamento" o "un mito di Deconversione" (Shippey, 184).
VI.
Filosofia e cosmo
Religione e retroscena religiosi
La
maggior parte, se non tutta, la filosofia ne Il Signore degli Anelli è
basata sulla visione cattolica della vita propria di Tolkien. In questo, come
in molti campi della sua narrativa, Tolkien ebbe una peculiare opinione con
senso e comprensione dell’arcaico, dal quale ponderò, per quanto addietro
fossero, i principi dei primissimi fondatori della chiesa. Il compito affidato
da Dio di creare nel nome del Signore soggiace
all’atteggiamento di Tolkien di essere meramente un curatore, un
sub-creatore. Il sottomondo che egli creò è radicato nella nostra realtà, che a
sua volta ha radici in Dio stesso. Eziandio, lo spirito trascendentale può
dirsi soggiacente a tutto il libro, così come le sue "vedute [Cristiane]
sono alla base di tutta la narrativa di Tolkien" (Moseley, 11). Tale allineamento della sua narrativa in un certo
modo alla volta della metafisica è dovuto alla credenza nell’aldilà migliore se
comparato alla terra, il quale è centrale nella Cristianità; come
sant’Agostino, un padre della chiesa che scrisse il De Civitate Dei - La Città di
Dio - indicò, "qui non v’è città eterna, qui non v’è che
perduri." (Moseley, 13). L’uomo
fu insignito da Dio della responsabilità di creare, e così è logico che nella
creazione di un fedele Cristiano, "si può leggere il volere di Dio"
(Moseley, 20). In Tolkien stesso,
l’uomo era un essere caduco, bisognoso del perdono e della grazia del Signore,
che ama il suo creato e lo conduce a nuova gloria dopo una grande fine; dopo un
grande conflitto tra i fondamentalmente scissi Bene e Male. Tali forze, fa
notare Moseley, volgono l’universo in "un luogo di scontro" (Moseley, 60). La Terra di Mezzo certamente è un tal luogo, è un "campo
di battaglia del costante conflitto morale" (Moseley, 63), e l’ideologica presa di posizione rende il conflitto
più terribile che non se fosse uno scontro materiale, poiché il male trae
diletto nei suoi atti per suo proprio gusto, non a causa dei benefici della
malignità. In tale cosmologia, il male ha sempre l’iniziativa, ed un iniziale
vantaggio. A causa di ciò, appare a tutta prima come un disperato scontro dei
piccoli contro l’incessante potere dell’oscurità, ma alla fine, non da ultimo
in seguito ad intervento celeste, le potenze del bene sono sempre trionfanti.
Tale
presa di posizione deriva da due differenti vedute del male che Shippey spiega
nel suo "Road to Middle-earth": quella di Boezio e la Manichea. Nella
visuale di Boezio, uno dei primi filosofi Cristiani, il male è effettivamente
nulla, meramente l’assenza del bene; pertanto non può creare ed esso stesso non
è creato. Siccome non può esistere dove vi sia il bene, è alfine destinato a
perdere. La visuale Manichea è quella in cui il male è reale e pone
un’immediata minaccia. Il bilico fra bene e male causa un eterno scontro fra
entrambe le forze (comp. Shippey, 128f.).
Per farla breve, per Boezio il male è il difetto del bene, ove il male Manicheo
esiste di per sé come una
controparte del bene. Tale contrasto si riflette nella natura dell’Anello: è
incerto se esso sia un essere senziente di suo, il quale corrompe i suoi
portatori per sua propria malignità, oppure se sia solo un gingillo che amplifica
pensieri ed intenzioni già esistenti negli animi dei portatori. La questione
del male in tal modo è se esso sia "un’intima tentazione oppure un potere
esterno" (Shippey, 131). Tolkien
mostra una combinazione di ambedue le visuali nel suo romanzo, ma una tendenza
verso quella di Boezio può leggersi dalla sua atteggiamento nei confronti di
una epitome del male nella Terra di Mezzo, le ombre: "Le ombre sono
assenza di luce e così non esistono in sé stesse, ma sono visibili e palpabili
proprio come se lo fossero. Quella è
esattamente la visuale di Tolkien del male." (Shippey, 133; mio corsivo).
L’approccio
che il bene deve avere nei confronti del male è, a parte la coraggiosa lotta
(la quale sarà argomentata più avanti), trattare il male col bene. Rispondergli
con pietà e misericordia, come Frodo fece con Gollum, è la più alta mira nel
conflitto da ambo i lati. Ne Il Signore
degli Anelli, è come Gesù disse: "Perdonate e vi sarà
perdonato.". In contrapposizione, si dà sovente il caso in cui "le
male azioni promuovono la causa del bene." (Jacobsen, l. 528f.). Ne è
esempio l’assalto di Boromir a Frodo, il quale indusse Frodo a lasciare la
Compagnia e trovare la propria via per Mordor – il che egli fece con successo
-, oppure il morso di Gollum che costò a Frodo il suo dito anulare,
distruggendo l’Anello per sempre.
L’influenza
che il male ha sul bene è principalmente quella della tentazione, di
distogliere il bene dalle sue rette intenzioni. Esso operò con i Nani che
andarono a Moria ed infine stanarono il demone Balrog per la loro cupidigia,
operò anche con Saruman che fu tentato e corrotto dalla sua brama di potere e
conoscenza. Nel suo caso, il male, nella forma della corruzione, volse il più
possente dei giusti in un alleato del loro peggior nemico: corruptio optimi pessima, come recita il proverbio Latino. Di
sicuro, il tralignamento è un soggetto importante de Il Signore degli Anelli.
La filosofia de Il Signore degli Anelli
La
filosofia di vita che appare ne Il
Signore degli Anelli si sviluppa interamente attorno al conflitto centrale
del bene contro il male, e l’Anello, quale oggetto maligno, ma nelle mani del
bene, è, nella sua natura, sia uno specchio dell’intera costellazione, che
oggetto per il quale è effettivamente combattuta la guerra. La responsabilità
che ognuno ha di lottare contro il male è fra le conseguenze che il conflitto
avrà in ogni modo: sconfitta e cambiamento sono inevitabili, ed ogni abitante
della Terra di Mezzo è forzato a scegliere la sua posizione e, se dalla parte
dei giusti, difendere le minacciate quotidianità; poiché tutti i rifugi
verrebbero estinti dall’Oscuro Signore se la resistenza mancasse di decisione:
La Contea, Lórien, Gran Burrone perirebbero tutti. Siccome Tolkien certamente
era più interessato al complesso di moralità e valori, è anche conseguente che
volgesse verso la "grande scala", essendo "interessato meno allo
specifico sociale che non al generico essere umano." (Moseley, 65). L’inevitabilità della scelta morale con cui gli
uomini sono confrontati fa il punto sul frangente dell’umanità nel romanzo. Ciò
è per certo pessimistico, ma non disperante; Tolkien non avrebbe ammesso una
tale attitudine da parte dei giusti nella Terra di Mezzo. I personaggi nel
romanzo non hanno la possibilità di realizzarlo, ma l’esito sarà, che alfine il
male darà prova d’esser troppo
perverso per essere vittorioso; ciò che i personaggi vedono è soltanto la loro
situazione nella quale la lotta contro il male è inevitabile, e dove il loro
discernimento ha ancora di che rimanere ugualmente retto. Il fato d’una persona
è segnato una volta che si prenda partito.
Ancora,
Tolkien prova le sue doti di scrittore nel raffigurare finanche l’altro lato:
quello di coloro che non fanno una scelta o compiono quella errata sia pure con
buone intenzioni, e dà anche esempi di personaggi che scelgono di non scegliere: questi sono personaggi
virtualmente neutri. Leif Jacobsen lo spiega in
dettaglio nel suo saggio "The
Undefinable Shadowland - A study of the complex question of dualism in The Lord
of the Rings". Boromir, Gollum e Tom Bombadil sono tutte
eccezioni allo schema bianco-nero per cui Tolkien è spesso accusato. Boromir
compie la scelta moralmente errata, ma mai con alcuna intenzione malefica,
solamente influenzato dall’Anello. Tom Bombadil, d’altra parte, che sceglie di
non prendere affatto parte al conflitto, che, in tal campo, trascura il suo
dovere morale, è visto ancora più positivamente di Boromir da molti[9].
Gollum è differente da entrambi nel modo in cui non si cura d’alcun altro che
non se stesso, e la smania per l’Anello da cui è affetto. Egli schiva il lato
malefico di Sauron tanto quanto sarebbe riluttante ad atti malevoli se non vi
fosse incitato, sia dalla brama per l’Anello, o sia per lo sprezzante
trattamento di Sam.
L’Anello,
a parte la sua influenza come un tentatore, è anche articolo di un’importante
valenza filosofica: "Il potere corrompe, ed il potere assoluto corrompe
assolutamente". (Shippey, 124).
Qui Tolkien varca la soglia dalla mitologia alla filosofia, ed il pensiero
espresso è effettivamente affatto moderno. Non solo la cupidigia per il potere
causa l’agire delle persone in un modo ingiusto ed egoistico, ma anche il suo
possesso influenza una persona negativamente, pure volgendo il bene in male.
Proprio come l’Anello espone il suo portatore ad amplificare le sue emozioni,
il potere rivela il reale carattere di una persona una volta che sia in una
posizione in cui possa permettersi di ignorare precauzioni. Un altro, pure più
moderno pensiero è la dipendenza che l’Anello causa; e ciò è assai prossimo al
vero, i.e. la tossicodipendenza: essa controlla mente e corpo, le azioni, e
ancora può essere raffrenata, come lo possono le droghe. Ecco perché Gollum,
povero di forza d’animo e ignaro della nequizia dell’Anello, gli soccombe
interamente, e perché altri sono in grado di sorreggerla: coloro fra i più
nobili d’animo, come Gandalf e Galadriel, e coloro fra i più puri di cuore,
tali come Sam, provano l’errore di quei critici di Tolkien che asserivano vi
fosse qualcosa come una irrealistica tentazione dell’Anello; essa afferra
solamente una forza d’animo solida abbastanza, che taluni non hanno e che
ancora non necessita d’essere perversa al postutto. Tale intera percezione del
potere come corruttore, che espone e dà assuefazione è contrasto a molte ed
antiche opinioni, in cui non era tanto una preoccupazione l’abuso di potere
quanto l’impotenza; ed in cui esso era inteso come il traguardo dell’umano
desiderio, ed era tristemente noto come una virtù – come disse Henry Kissinger,
"Il potere è l’ultimo afrodisiaco".
Le
forze trascendentali sono il fattore neutrale sia per bene che per il male, ed
il loro ruolo ne Il Signore degli Anelli
è principalmente di cooperare con le azioni terrestri e risponder loro.
Quantunque tali poteri del fato, sorte e fortuna siano incostanti, ponendo un
"basilare diniego della sicurezza per tutto Il Signore degli Anelli" (Shippey,
138), sembrano ancora essere affette in qualche modo dagli eventi nella
guerra. Le decisioni che i personaggi prendono sono quindi una miscelatura, una
"continua interazione di provvidenza e libero arbitrio" (Shippey, 137). Nel romanzo, non v’è cosa
che sia totale dipendenza dalla fortuna, e per lo più non v’è possibilità di
scelta totalmente libera. Coraggio, ottimismo e tenacia sembrano dare
un’impronta alle forze del fato: fortuna
fortes adiuvat, "La fortuna aiuta gli audaci", è l’antico
proverbio per tale circostanza. Non è una "fortuna pregiudiziale",
che alcuni critici credevano d’aver visto nel romanzo, ma che aiuta coloro che
si aiutano da sé. Tolkien mostrò una
certa tenerezza di cuore, per esempio nella sopravvivenza del pony di Sam Bill,
ma quando la sorte aiuta gli hobbit in Mordor, è per il loro spirito di non
rinunciare mai, non solo l’autore che dirige gli eventi in un modo non
realistico. Anche la provvidenza è un argomento centrale, specialmente la
provvidenza che condusse Aragorn alla corona. I popoli nella Terra di Mezzo
sono talvolta vincolati ad azioni dettate molto prima dalle potenze del fato, non
soltanto Elessar, ma anche la caduta
del Signore dei Nazgûl è profetizzata. Il finale, un lieto fine, è pure
predicato; ma tutto ciò non guasta né s’infiltra nel corso degli eventi e sulla
loro verosimiglianza, poiché le cose potrebbero aver preso una via differente
se non fosse per i gloriosi atti delle libere genti, ed in quanto vi sono vittime: Lórien perisce, insieme
con gli Elfi nella Terra di Mezzo; i Nani sono in procinto di diminuiree; vi
sono caduti in battaglia, come Théoden e Boromir, e, non da meno per Tolkien,
molte bellezze sono perdute assieme a tutto ciò.
Valori e virtù della Terra di Mezzo
È da
quanto si spiega qui sopra - religiosità e filosofia - che i valori che
appaiono ne Il Signore degli Anelli derivano.
Tali valori ed etica, che erano comuni al tempo di J. R. R. Tolkien e dintorni
si trovano almeno parzialmente nel romanzo. La concentrazione sul WASP[10], è
tanto visibile quanto lo è l’organizzazione patriarcale della vita. Nella Terra
di Mezzo, certamente vi è dominanza maschile, e i Paesi sono guidati da
archetipi di re guerrieri. Essi, la loro legittima regalità, ed il loro
sviluppo in essa sono soggetti principi dell’intero romanzo, con i caratteri di
Aragorn, Théoden, Éomer, Faramir, Denethor quali esempi di regnanti in stile medievale.
I paradigmi per il legittimo re che Tolkien dipinge, in parte con l’eccezione
di Denethor, possono essere presi dalle primissime fonti: I Re d’Israele,
Davide e Salomone, l’Imperatore Romano Augusto, e, più in alto di tutti, Gesù
Cristo, rex iudaeorum – Re dei
Giudei, come lo chiamarono i Romani - come ideale del giusto e nobile sovrano e
re, il rex iustus. L’eurocentrismo del romanzo, come si
potrebbe denominare, conduce a quelli che possono esser visti come stereotipi
razziali, con gli scuri e gretti Sudroni; però tali paralleli non hanno una
origine razzista in Tolkien, sono solamente a spiegare la visione dei popoli
del nord e dell’ovest, e di come essi vedessero i forestieri - tenere a mente
che la storia è narrata dai vincitori.
L’amore
fra i sessi non è la maggior caratteristica del romanzo. Ciò è in parte dovuto
ai ruoli dei sessi nel mondo della Terra di Mezzo, ove le donne sono
distaccate, se belle, e preservate dagli affari di guerra e politica. Le donne
Elfiche sono un po’ un’eccezione, come Galadriel, ma l’altra eccezione, Éowyn,
che tenta di evadere dal suo ruolo preconcetto, può trovare libertà solamente
nell’arcaica immagine della fanciulla in arme d’antico stile. I valori centrali
sono quindi cameratismo fra gli uomini, fratellanza, mutuo supporto e lealtà.
Si potrebbe azzardare, che questi siano i valori positivi dell’etica del Terzo
Reich, con la Kameradschaft come cuore, un termine che include tutti quelli
sopra, a provare le critiche erronee a Tolkien che lo definiscono un romanziere
WWII. L’amore è un soggetto nei casi dell’amore per gli oggetti, i luoghi, la
famiglia e gli amici. Riguardo all’amore nel romanzo, esso ancora una volta non
è la disamina di un’esperienza che importi; quel "che importa è la forma e
la forza della storia, il mito"
(Moseley, 64).
Tale
vaghezza in certi campi accentua solamente l’importanza dell’ultimo interesse
di Tolkien: la moralità. La parte moralmente malata è naturalmente quella del
male, ma la sua manifestazione è rimarchevolmente quella della modernità:
Saruman ne è il primo esempio. La sua intrusione nel mondo della Terra di Mezzo
con politica, modernità e progresso, presuppone la distruzione delle cose
antiche ed amate, come il mulino della Contea. Denethor è inoltre un esempio
delle debolesse delle culture civilizzate: il suo "esagerare nelle
sottigliezze, egoismo, abbandono della ´teoria del coraggio´" (Shippey, 118) (quest’ultima spiegata in
dettaglio in basso) sono tutti marchi della decadenza moderna.
La
controparte a ciò che Tolkien fornì fu tipicamente la "´Teoria del
coraggio´ Settentrionale [...] il cui elemento centrale è che pure l’ultima
sconfitta non è del tutto negativa." (Shippey,
109). Il modello di comportamento è dato qui dall’apocalisse Nordica, il Ragnarokr, nella quale gli dei, gli Aesir ed i Vanya, sono inevitabilmente sonfitti, ciascuno essendo a conoscenza
della propria morte - Odino essendo ucciso da Fenrir il lupo, Thor morendo
nell’abbattere il serpente Midgard -, ma non rifiutandola. Gli dei erano al
corrente dell’esito della battaglia finale contro i giganti, ma il loro
coraggio che non soccombette al male, alla tentazione e all’oppugnazione fece
una grande impressione a Tolkien. Parzialmente, tale nordica virtù è dovuta
alla Teutonica convinzione sull’aldilà, dove i guerrieri uccisi sul campo di
battaglia sono risuscitati e congiunti alla legione di Odino nel Valhalla per
combattere nel giorno del Giudizio Universale: l’Einherjer. Théoden, probabilmente il più nordico di tutti i
caratteri ne Il Signore degli Anelli,
accenna esattamente a tale credenza nel momento della sua agonia, dacché le sue
ultime parole sono "Torno dai miei padri"; egli parla della
"loro compagnia[11]"
e di "un tramonto dorato" (SdA,
1012).
Ma, Cristiano
com’è, Tolkien dà anche la prospettiva di un nuovo, seppur più mite, concetto
di "ultima" prodezza: "risa, allegrezza, rifiuto di look
indagare affatto sul futuro " (Shippey,
142). Ciò è dimostrato dagli hobbit, specialmente Sam, con la sua abitudine
di non conoscere ciò che si trova dinanzi ma insistere, non curandosi di ciò
che segue. Come già spiega dopo l’incontro con gli elfi sulla via per la Terra
di Buck nella Contea, "So che percorreremo una strada lunghissima verso
l’oscurità; ma so che non posso tornare indietro. [...] ma ho qualcosa da fare
prima della fine, qualcosa che si trova avanti a me, e non nella Contea. Devo
arrivare fino in fondo [...]." (SdA,
127). Sam e Frodo mantennero tale atteggiamento nel loro percorso verso
Monte Fato costantemente.
Gli
hobbit, quantunque non incarnassero certamente l’ideale del coraggio e della
prodezza, sono ciononostante importanti per la presentazione di Tolkien delle
virtù raccomandate. Come spiega T. A. Shippey, " ne Il Signore degli
Anelli egli aveva appreso - mischiando gli hobbit con gli eroi - a presentarle
[le virtù che Shippey elenca nella pagina precedente, ´stoicismo, disincoltura,
pietà, fedeltà´] in modo relativamente non provocatorio." (Shippey, 240). A tale riguardo, egli scese a compromessi coi tempi moderni ed
assaggiò come tali virtù, per quanto in alto siano tenute nel romanzo, siano
distanti dal lettore medio al giorno d’oggi.
Il
contrasto fra virtù le Pagane (coraggio) e Cristiane (pietà, misericordia) è
risolto da Tolkien mediando tra paganesimo e Cristianesimo; narrando "una
storia di virtuosi pagani nella cupezza dell’oscuro passato, prima delle
pressoché flebili premonizioni di luce e salvezza" (Shippey, 180). Tolkien fornisce una prospettiva di salvezza per gli
eroici pagani nel romanzo, e quelli di altre pubblicazioni, come Beowulf, e dà un modello di
"elementare virtù che esiste senza il supporto della religione" (Shippey, 184), siccome naturalmente non
vi era ancora alcuna religione Cristiana. Librandosi fra paganesimo e Cristianesimo,
fatalismo e salvezza, si può dire che Tolkien traduca "la saggezza
dell’antica epica [...] in una sequenza interamente nuova di dubbi, decisioni,
detti, rituali" (Shippey, 113).
Non è esattamente questo il minore degli ambiti che rendono Il Signore degli Anelli un mito di
dimensioni cosmiche e filosofiche.
Mito contro filosofia
Definire
sia il mito che la filosofia naturalmente addita le differenze tra i due.
Ancora, entrambi possono trovarsi ne Il
Signore degli Anelli, ed entrambi sembrano essere maneggiati con la
medesima cura dall’autore, non preferendo uno in contrasto con l’altra,
quantunque i livelli siano differenti. La resurrezione della scrittura del
mito, alla quale Tolkien soggiacque, è certamente dovuta ad una fondamentale
necessità che non è soddisfatta esaurientemente abbastanza nel nostro mondo
scientifico, tecnico dove la magia dell’immaginazione e finzione è pressoché
soppressa (comp. v. Müffling, 11). La filosofia, a sua
volta, trova sempre più persone interessate, talvolta volgendo nella bassa
filosofia popolare. Dove il mito generalmente s’appella alla religiosità ed
alle emozioni, la filosofia s’appella all’intelletto, alla mente (comp. v. Müffling, 12). La vividezza e
ricchezza d’immaginazione che il mito possiede in contrasto con la filosofy (comp. v. Müffling, 11), è perché esso
divenne popolare con Il Signore degli
Anelli; è la filosofia di vita del romanzo che lo lascia nella superba
compagnia di altre grandi opere nella storia della letteratura.
VII. La
questione dell’allegoria ne Il Signore
degli Anelli
Le origini delle allegorie
Esistono
differenti ragioni sul perché molte persone trovino allegorico Il Signore degli Anelli e la storia
recente può essere quella più immediata. Non può certo esser negato che
fenomeni non culturali e legati alla letteratura abbiano portato, con un certo
accordo, ad un crescente interesse per il romanzo, alimentando il suo successo.
Ci sono indubitabilmente numerose cose che possono essere viste come paralleli
di eventi storici o con una certa visione della vita, sebbene Tolkien chiarisca
che l’allegoria, che userebbe personaggi ed eventi del romanzo soltanto per
portare il proprio messaggio e non per il bene della storia, non fu mai sua
intenzione. Vedendo la maniera in cui molte persone abusavano del suo libro per
le loro interpretazioni, nella prefazione alla seconda edizione de Il Signore degli Anelli, egli scrisse:
“Per quanto riguarda ogni significato nascosto o ‘messaggio’, nessuno di loro è
nelle intenzioni dell’autore. Esso [il romanzo, N.d.T.] non è ne’ allegorico né
d’attualità.” (SdA, xvi). Tolkien
porta come argomento contro la spesso sentita allegoria della II Guerra
Mondiale, che l’abbozzo della storia prese la sua via prima del 1939. Per
quanto riguarda l’allegoria, egli nota, “Cordialmente non amo l’allegoria in
nessuna delle sue manifestazioni. […] molti confondono ‘applicabilità’ con
‘allegoria’; sebbene una risieda nella libertà del lettore, l’altra nel
proposito di dominio dell’autore.” (SdA, xvii). Altrove, Tolkien prende
un’altra posizione a riguardo di questo trattamento del suo lavoro: “Una descrizione
allegorica di un evento non fa questo elemento allegorico di per sé.” (Moseley, 76; citato da “Pearl and
Sir Orfeo”).
Può darsi
che “questo rifiuto dell’allegoria si possa vedere come un invito a vedere se
essa possa andare bene” (Moseley, 76); principalmente, però, era la
visione della storia di Tolkien a negare un significato allegorico. “La storia,
pensava Tolkien, è variabile nella sua applicabilità. Ma se si comprende a
fondo, la si può vedere ripetersi da sé.”
(Shippey, 152; mio corsivo). Proprio
questa ripetizione della storia può leggersi da Il Signore degli Anelli;
non il modello di una storia specifica, ma il ritratto di un comune pezzo di
storia umana di cui la guerra è un principale fattore formativo. In questo
modo, il romanzo è allegorico, ma non per una certa e singola circostanza,
bensì per il flusso e gli eventi della storia umana per intero. Ridurre il romanzo ad un interesse singolo è differente dal fare applicazioni con eventi
simbolici, nella maniera in cui “il simbolico permette al lettore ed alla sua
cognizione di prender parte alla creazione del
significato, l’allegorico nega questa possibilità” (Moseley, 72). Poiché la storia si ripete nello stesso modo, il
ricorso è naturalmente possibile, così come lo è per molti eventi nella vita
reale; una nuova guerra può sempre esser comparata con e vista come un
parallelismo di una prima di essa.
Ma le istanze
non possono essere escluse leggendo Il
Signore degli Anelli: " Il vero punto sta nel fatto che le teorie di
Tolkien sulla natura, il male, la fortuna e sulla nostra percezione del mondo
generano una sorta di sottoprodotti di istanze moderne e politiche." (Shippey, 155). Qualsiasi allegoria o
ricorso deve in ogni caso esser trattata con
cautela, e molte allegorie possono, nel senso indicato dall’autore, esser
rifiutate così pienamente che rimarrebbero soltanto sfocati parallelismi, come
sono in procinto di dimostrare.
Allegorie storiche
Il tipo
di allegoria più comune per Il Signore degli Anelli è quella di chiamare
Tolkien uno scrittore di guerra ed il libro una riflessione su di una guerra
storica, a scelta la Prima o la Seconda Guerra Mondiale, oppure la Guerra
Fredda. La I Guerra Mondiale è qui principalmente vista
semplicemente come un’influenza su Tolkien, dettandogli, con la sua
esperienza nella Somme, la descrizione del paesaggio e dell’ambiente di Mordor
e provocando la sua demonizzazione del progresso e della tecnologia. Tolkien
ammise che Sam Gamgee fosse modellato su differenti soldati della guerra del
1914, i soldati semplici e gli attendenti (comp.
Kessler, 1f.). Come in entrambe le guerre, il nemico ne Il Signore degli
Anelli non è visto come una massa di individui e uomini, ma come un’entità
collettiva. Questi, però, sono soltanto meri parallelismi, e di sicuro non
comprendono l’intero complesso del romanzo. Ciò che più conta, si può dire di
sicuro che Tolkien sarebbe partito schivando la tradizione Germanica, essendo
stata profondissima l’influenza della I Guerra Mondiale.
E’
frequente l’utilizzo del romanzo come allegoria della Seconda Guerra Mondiale,
ed e’ vero che stretti parallelismi possono esser tracciati in numerose cose.
Denethor e Saruman ricordano al lettore attento i governi-fantoccio, Vichy e
collaborazioni come quella di Quisling. Visto come un’allegoria, Warren Lewis
disse: “Una gran parte di esso può esser letto in senso attuale – la Contea al posto dell’Inghilterra, Rohan come la
Francia, Gondor al posto della Germania del futuro, Sauron come Stalin…” (Kessler,
3). Una miscela di Seconda Guerra Mondiale e Guerra Fredda si ritrova
spesso in questo campo dell’allegoria, e alcuni studenti in “Inghilterra e USA
estraggono dai libri di Tolkien una mitologia politica per questo tempo di una
Guerra Fredda che potrebbe facilmente trasformarsi in una combattuta” (Moseley, 72); mentre altri adottano il
disprezzo di Tolkien verso il progresso per i propri movimenti Verdi.
Differenti eventi e condizioni nel romanzo portano verso molteplici
interpretazioni riguardanti la II Guerra Mondiale: principalmente comparando
Sauron ad Hitler e l’Anello con la bomba atomica. Il paragone per cui gli orchi
sono un prodotto d’incroci genetici, va in questa direzione, ricordando gli
esperimenti condotti dal Dr. Mengele sugli Ebrei di Auschwitz.
Ma
tutte queste allegorie in cui Sauron sarebbe Hitler, alleato con Saruman che
starebbe per l’URSS ed in guerra contro l’alleanza occidentale di Gondor e Rohan
sono destinate a sgretolarsi, non per ultimo a causa degli errori e deficit
storici dei rispettivi autori. La personificazione di Hitler che incarnerebbe
tutto il male della Germania nazista non è altro che il più trascurabile
sbaglio. Skeparnides, per esempio, prova soltanto quanto tempo sia passato
dall’ultima volta in cui e’ stato a scuola ed ha imparato qualcosa a proposito
della Seconda Guerra Mondiale, datando l’invasione tedesca della Russia, l’Operazione Barbarossa, al 1943, quando
questa era avvenuta nel 1941 (comp. Skeparnides,
l. 101). Michael Tagge non fa di meglio, né risulta storicamente più
corretto, quando afferma che "Hitler [sic!] tentò una varietà di
esperimenti genetici al fine di produrre
la razza Ariana." (Tagge, l.
57f.; mia enfasi). Né Hitler di per sé prese parte ad un solo esperimento,
né il nazismo voleva “creare la razza Ariana” - niente potrebbe esser più
lontano dalla verità, poiché il nazista sicuro di sé credeva fermamente che i
tedeschi fossero l’ultima incarnazione della suprema razza Ariana: perché quindi avrebbero dovuto
provare a riprodurla? I terribili esperimenti del Dr. Mengele avevano
differenti "mire". Un altro grave errore di
questo autore è stato dichiarare che, "
In Europa, gran parte delle lingue sono romanze, tranne che quella
tedesca. Il tedesco e’ molto differente da qualsiasi altro linguaggio
europeo." (Tagge, l. 151 f.).
Tolkien, come filologo, dovrebbe rivoltarsi nella tomba. Tagge qui ignora
completamente le relazioni dei linguaggi Germanici (!) Tedesco, Inglese,
Norvegese, Svedese, Islandese ed altri, tra cui l’Yiddish.
Le
stesse differenti allegorie possono, indipendentemente dal resto, esser
rifiutate, come quella menzionata ne The
Road to Middle-earth: l’Anello che starebbe per la bomba atomica, essendo
stato preso ed usato contro Sauron, messo in
schiavitù e Barad-dûr occupata. Saruman è in grado di ottenere la conoscenza
per costruire per suo conto un Grande Anello a Mordor. Qualcuno potrebbe dire
che i parallelismi sono corretti, essendo Sauron i poteri dell’Asse, le genti
libere l’alleanza occidentale e Saruman l’URSS (comp. Shippey, 316). Tuttavia, questo non risulta evidente ne Il
Signore degli Anelli: è solo che, avendo dato al romanzo il significato
d’una allegoria della Seconda Guerra Mondiale, questo è come lo sviluppo
avrebbe dovuto essere; il fatto che non prenda questa strada, prova come errata
tale allegoria. Non doveva essere in alcun modo un romanzo di guerra, e
certamente non un romanzo contro la guerra. Inoltre, quando Tagge scrive che
"La battaglia di Mordor, la distruzione dell’Anello e la conseguente fine
della guerra mi ricordano gli ultimi atti della II Guerra Mondiale, quando gli
USA gettarono la bomba atomica su Hiroshima" (Tagge, l. 97 ff.), trascura due cose importanti. In primo luogo, la
bomba su Hiroshima fu solo la prima, seguita da quella su Nagasaki; in questo
modo, il parallelismo non puo’ esser mantenuto. Più importante, il fatto di
gettare l’Anello nel fuoco sottoscrive un atto di vite salvate, la riduzione
del potenziale di distruzione, mentre il bombardamento del Giappone fu l’esatto
opposto. Skeparnides senza volerlo dice precisamente qual’è la
quintessenza di tutto ciò: che la Guerra dell’Anello è "un parallelismo diretto tanto delle guerre mondiali quanto
della storia umana." (Skeparnides, l. 96 f.). Il Signore degli Anelli, come un parallelo
della storia umana in generale, non può naturalmente esser ridotto ad essere un
parallelo d’un singolo evento, ed in alcun modo si può presumere che Tolkien lo
abbia fatto.
Allegorie ideologiche
Tolkien
è stato spesso anche accusato di, o ammirato per, convogliare un’istanza
ideologica o filosofica attraverso il suo presunto romanzo allegorico. Rosemary
Jackson definì l’elevata fantasy tolkieniana "un veicolo conservatore per
la repressione istintuale e sociale" (Moseley,
72) ed una omologazione di una borghesia
bancarottiera. Qualsiasi cosa il ritratto di genere e classe ne Il Signore degli Anelli possa aver
causato in alcuni lettori, non può esser negato che il romanzo sia talmente
vicino allo stile medievale ed antico che queste non possono essere
argomentazioni contro Tolkien - e neppure si possono accusare per questo i
poeti medievali. Lo stesso vale per Skeparnides, che chiama Tolkien, e
Shakespeare insieme a lui (!), un "sovrintendente […]
del suo sistema di valori morali maschili" (Skeparnides, l. 31 f.).
Un’istanza
del tutto diversa arriva dal musicista ed attivista pagano norvegese Varg
Vikernes, attualmente ancora incarcerato per omicidio. Egli proclama che Tolkien
dipinse il lato malvagio come uno specchio del paganesimo, e paragona Barad-dûr
con il trono di Odino Hlidhskjalf,
l’Anello con Draupnir e
l’occhio-che-tutto-vede di Sauron con l’unico occhio di Odino (comp. Moynihan, 150). Laddove i
Vagabondi sembrano a lui come i Berserker Norreni, egli Uruk-Hai come gli Ulfhethnar – lupi mannari -, gli Elfi
gli appaiono "tipicamente Giudaici", "arroganti, che dicono ´Noi
siamo gli eletti´" (Moynihan, 150).
Questo deriva dalla peculiare visione di bene e male di Vikernes, differente
dalla normale, occidentale, filosofia Cristiana: " Sebbene Burzum [il nome
del suo gruppo musicale – l’autore] significa tenebre, in realtà è la luce di
Odino. Le tenebre sono la luce." (Moynihan,
151). E’ vero che l’elemento lupino che appare nella fazione di Sauron è
tipicamente pagano e che i lupi erano sacri ad
Odino; e qualcuno potrebbe anche seguir oltre la
visione radicale di Vikernes paragonando lo struggimento degli Elfi per Valinor
a quello del popolo Ebraico per Sion.
Ma ciò
che anche Vikernes deve notare è la "paganità" presente anche nel
lato del bene: Gandalf, simile ad un Odino girovago, i Nani con le loro rune ed
i Rohirrim con la loro immagine Anglosassone, e proprio per questo, Germanica.
Ancor più prominente contro la tesi di Vikernes è il credo attuale di Tolkien:
"egli aveva poca tolleranza verso i reali miti pagani o per i mitizzatori
ingenui" (Shippey, 178); e
Tolkien, come Cristiano, fu di certo non meno opposto al paganesimo a causa dei
suoi interessi nel nord: "Egli non aveva dubbi che il paganesimo fosse
debole e crudele" (Shippey, 179),
negando l’immagine frequente di “nobile pagano”.
Elementi allegorici nel romanzo
Una
visione più moderata e comprensibile è quella per cui Tolkien non scrisse
intenzionalmente un’allegoria, ma potrebbe, come essere umano, non aver tenuto
completamente fuori elementi allegorici. Per Skeparnides, il risultato del
conflitto “porta un potente messaggio allegorico” (Skeparnides, l. 90 f.), ed asserisce che un mondo fittizio come
quello della Terra di Mezzo può esser costruito soltanto in base alle
caratteristiche del mondo reale. Ancora una volta, il punto debole di tale
discorso è che, in contrasto con l’affermazione di Tolkien, cerca di provare
l’esistenza di allegorie all’interno del romanzo come intenzionali ed
inevitabili. Questo è sbagliato, come l’autore dovrebbe affermare, mentre il
punto per cui questi parallelismi potrebbero essere qui involontariamente,
inseriti inconsciamente da Tolkien, è un argomento che non si ritrova nei saggi
discussi più sopra.
Michael
Tagge cerca di provare la sua affermazione: “Se la ‘fantasy si basa su fatti
concreti’ (Ready, 177), allora Il Signore
degli Anelli poggia completamente su eventi storici, terre, religione,
governi e altre opere di autori differenti” (Tagge, l. 151 f.) presentando l’esempio della gente di Forodwaith,
creata in base al modello degli Eschimesi.
Come
spero di aver chiarito più sopra, questi parallelismi non sono modellati sulla
realtà, ma semplicemente appaiono sempre là dove vengono descritti esseri
umani; nel caso specifico, chiunque vivesse in un deserto di ghiaccio, si
comporterebbe come gli Eschimesi e la gente di Forodwaith.
Alcune risposte sulla questione dell’allegoria
Appare
da tutti questi assunti, interpretazioni ed allegorie principalmente una cosa:
che “il senso di un significato nascosto nel libro guida i lettori imponendo
molte interpretazioni allegoriche su di esso, le quali ci parlano però più dei
loro bisogni e valori che del libro in sé” (Moseley,
76). Questa è attualmente la quintessenza di ciò che sta dietro
all’inventare allegorie: ognuno le rende pronte alla propria filosofia. Questo
e’ certamente riduttivo, poiché una buona allegoria dovrebbe chieder di
assorbire " ogni singolo dettaglio […] nello schema di significati
paralleli di una singola notazione e questo non
può esser fatto con la sua [i.e. di Tolkien] opera" (Moseley, 77). Come Mordor ed il suo male, il concetto è
"cosmico nel significato più che contemporaneo " (Moseley, 77). È come Tolkien disse in Beowulf, " un vasto simbolismo è
vicino alla superficie, ma [...]
non fa breccia né diviene allegoria" (Shippey, 152). Questo si adatta allo stesso modo a Il Signore degli Anelli dove l’allegoria avrebbe inevitabilmente
significato che il romanzo dovesse avere un solo significato; questo da solo
prova quanto tutte le allegorie siano errate - e seppur Tolkien avesse avuto
un’intenzione allegorica, tutti questi assunti risulterebbero comunque
sbagliati, tranne quell’unico a cui Tolkien aveva realmente voluto dare
significato.
Per quanto riguarda l’applicabilità della storia umana e della mitologia umana, è precisamente “un affare pericoloso tracciare in modo definitivo un ‘significato profondo’ Tolkieniano da queste varie ´applicabilità´" (Shippey, 155).
Gli
argomenti del romanzo sono fin troppo cosmici per essere allegorici – il bene
contro il male si trova fin troppo sovente -, ciononostante l’ampio spettro
lascia al lettore abbondanza d’occasioni per la sua applicabilità, soltanto non
potrebbe assumerli come il singolare significato intimo di esso. Paralleli
possono ben adattarsene, ma è altro il caso se siano conformi alle intenzioni
di Tolkien – la maggior parte di essi non lo sono. In ogni conflitto, se ne può
allineare uno o un altro lato al Il
Signore degli Anelli; pure di più se non si concorda con la Tolkieniana
concezione di bene e male. È probabilmente soltanto l’incredulità del popolo
nella grandezza d’immaginazione di Tolkien che conduce ad accusarlo di
scrittura allegorica, pregiudiziale, oppure copiata dalla realtà.
A mio
modesto parere, dare al romanzo tali significati allegorici come quelli
descritti sopra, mi ricorda una abitudine degli antichi Romani che pensavano
che gli dei forestieri non fossero altro che i loro propri dei, soltanto sotto
differenti nomi. Quindi essi li ridenominavano alla maniera delle loro
divinità, distruggendo ciò che degli dei forestieri non s’adattava ai loro
schemi. V’è una espressione adeguata per ambedue le abitudini: evidente
riduzionismo.
Epilogo
È ovvio
che questo saggio può soltanto gettare un’occhiata sul vasto reame delle opere
di Tolkien e dell’illustre mondo della Terra di Mezzo. Finora, ciò che tenta
d’essere in breve, è un punto di partenza per un serio dibattere, col massimo
d’imparzialità ed obiettività nella lettura ed interpretazione. Alcunché
d’altro sarebbe indegno del lascito di un grande autore quale J. R. R. Tolkien
fu. La popolarità del romanzo – le librerie Britanniche lo elessero a libro del
secolo, come pure molti sondaggi su Internet - inevitabilmente abbraccia un
ampio numero di lettori che prendono il libro come propaganda, quale non è.
Dovremmo essere ben più riconoscenti per un pezzo mitologico che suscita in noi
spiritualità ed emozione nel mondo
freddo e dominato dalla ratio della moderna tecnica e letteratura.
Per chiudere il cerchio, e, quindi, formare – quanto mai appropriato – un
anello, dalla pellicola ci si può soltanto aspettare con ansia che tutte le
allegorie siano tenute al di fuori e le visioni di Tolkien conservate - per esempio, non v’è
necessità di Orchi in uniformi Naziste; ma qualsivoglia d’altro che non sia
"cinematografia preconcetta" è benvenuto.
Appendice A: profilo biografico
di John Ronald Reuel Tolkien
(secondo: Moseley, viii-x)
1892 J.R.R. Tolkien nasce a Bloemfontein, RSA.
1895 La famiglia ritorna in Inghilterra senza il padre.
1896 Il padre muore; essi prendono residenza a Birmingham.
1900 Tolkien visita le di scuole Birmingham.
1904 Mrs Tolkien muore.
1909 Tolkien non giunge a vincere una borsa di studio ad
Oxford.
1910 Tolkien conquista l’Exhibition al College di Exeter.
1911 Tolkien sale ad Oxford.
1913 Inizia lo studio della Lingua e Letteratura Inglese.
1914 Si impegna con Edith Bratt dopo che ella si converte
al Cattolicesimo.
1915 First Class Honours all’università; reclutato nei
Fucilieri del Lancashire.
1916 Matrimonio con Edith; prende parte alla Battaglia
della Somme nella
Prima
Guerra Mondiale, ma è rispedito a casa a causa della febbre delle trincee.
1917 Incomincia a
scrivere sul materiale del Silmarillion;
nasce il figlio maggiore John.
1918 La famiglia muove verso Oxford.
1924 Diviene Professore di Lingua Inglese; nasce il figlio
Christopher;
viene eletto alla Cattedra di Anglosassone di
Oxford.
1926 Si forma il gruppo di letterati “Coalbiters”.
1930 Inizia a lavorare su The Hobbit; si forma il gruppo letterario Inklings.
1937 Allen & Unwin pubblicano The Hobbit, or There and Back Again;
Tolkien
inizia a lavorare sul suo seguito, The
Lord of the Rings.
1945 Tolkien è eletto Professore all’Università di Oxford.
1949 Completa The Lord of the Rings.
1959 Tolkien si ritira dal suo professorato.
1965 Una versione pirata di The Lord of the Rings appare negli USA, dove
il libro è immensamente popolare nelle università e nei colleges.
1968 La famiglia Tolkien trasloca a Poole.
1971 Edith Tolkien muore.
1972 Tolkien ritorna ad Oxford a ricevere onoranze.
1973 John Ronald Reuel Tolkien muore
a Bournemouth.
Appendice B: Opere di J.R.R.
Tolkien in ordine di pubblicazione
(secondo: Moseley, ix-x)
(n.b.: le opere posteriori al
1973 sono pubblicazioni postume)
1925 Sir Gawain and the Green Knight (assieme a E. V. Gordon)
1936 Lezione su ´Beowulf: The Monster and the Critics´
1937 The Hobbit , or There and Back Again
1949 Farmer Giles of Ham
1953 The Homecoming of Beorhtnoth, Beorhthelm´s Son
1954 The Fellowship of the Ring, The
Two Towers (libri uno e due de
The Lord of the Rings)
1955 The Return of the King (terzo ed ultimo libro de The Lord of the Ring)
1962 The Adventures of Tom Bombadil
1964 Tree and Leaf
1967 Smith of Wootton Major
1975 Translation of Sir Gawain and the Green Knight, Pearl and Sir Orfeo, ed. con
prefazione di Christopher Tolkien
1977 The Silmarillion, ed. Christopher Tolkien
1980 Unfinished Tales of Númenor and Middle Earth, ed. Christopher
Tolkien
1981 Letters of JRRT, ed. Humphrey Carpenter
1982 Mr Bliss; Finn and Hengest:
The Fragment and the Episode, ed. Alan
Bliss
1983 The Book of Lost Tales I, ed. C. Tolkien
1984 The Book of Lost Tales II, ed. C. Tolkien
1985 The Lays of Beleriand, ed. C. Tolkien
1986 The Shaping of Middle Earth, ed. C. Tolkien
1987 The Lost Road and Other Writings: Language and Legend before
"The Lord of the
Rings", ed. C. Tolkien
1988 The Return of the Shadow, ed. C. Tolkien
1989 The Treason of Isengard, ed. C. Tolkien
1990 The War of the Ring, ed. C. Tolkien
1992 Sauron Defeated, ed. C. Tolkien
Appendice C: Mappa della Terra di Mezzo durante la Terza Era
(da <http://scroll.to/Summoning>)
Abbreviazioni e bibliografia
delle opere consultate
Fonti
primarie
n SDA Tolkien, J. R. R. : Il Signore degli Anelli, edizione in un volume.
HarperCollinsPublishers, Londra,
1995
Fonti
secondarie
n Genzmer,
F. (traduzione): Die Edda. Eugen Diederichs
Verlag Munich, 1997
n
Jacobsen Jacobsen, L.: The Undefinable Shadowlands.
<http://www.tolkien-archives.com>;
o.O., o.J.
n
Kessler Kessler, B.: Tolkien and the Wars.
<http://www.tolkien-archives.com>;
o.O., o.J.
n
Moseley Moseley, C.: Writers and Their Work - J.R.R. Tolkien.
Northcote
House, Plymouth, 1997.
n
Moynihan Moynihan, M. and
Soederlind, D.: Lords of Chaos.
Feral House,
Venice CA, 1998
n
Murray, A.: Das
Tolkien Quizbuch. Klett-Cotta; o.O, o.J.
n
Shippey Shippey, T.A.: The Road to Middle-earth.
HarperCollinsPublishers, Londra 1992
n
Skeparnides Skeparnides, M.: A Reflection on Tolkien´s World &
Gender,
Race &
Interpreted Political, Economic, Social & Cultural
Allegories. <http://www.thelordoftherings.com>; o.O., o.J.
n
Tagge Tagge, M.: The Lord of the Rings - Fact or Fantasy?
<http://www.tolkien-archives.com>;
o.O, o.J.
n
v.
Müffling v.
Müffling, M.: Amor Sapientiae.
Verlag Ludwig
Auer, Donauwörth, o.J.
L’articolo può essere scaricato
in formato Word al seguente indirizzo:
http://www.eldalie.it/saggi/SDAMFA.doc
L’originale si trova al
seguente indirizzo:
http://www.barrowdowns.com/Articles_Sharku1_contents.asp?Size=
[1] “Era dell’ascia, era della spada / disgiunti sono
gli scudi / era del vento, era del lupo / prima che il mondo si sgretoli”
(N.d.T.)
[2] Nell’edizione inglese il secondo verso inizia con
le parole sword-day “giorno della spada” (N.d.T.)
[3] Va detto che, agli occhi di un lettore italiano,
tale caratteristica dei nomi latini dovrebbe risultare tanto più intuibile
quanto il senso di Baggins rende l’idea, per il lettore anglofono,
dell’opulenza della stirpe di Bilbo: si veda la nota introduttiva di Quirino
Principe nell’edizione pubblicata di SdA.
[4] “Gemma elfica” nell’edizione italiana.
[5] Qui sta per la vicenda del fanciullo scambiato con
un altro di stirpe Umana, laddove nella tradizione nordica lo scambio sarebbe
operato da spiriti maligni ai danni di fanciulli nati da poco.
[6] L’autore qui usa il termine ‘resurrezione’ in
modo improprio: quella di Cristo agli Apostoli può dirsi a buon diritto
‘apparizione’, ma il ritorno alla vita vero e proprio avvenne nel sepolcro,
senza testimoni.
[7] Il frassino su cui poggiano tutti i mondi nella
tradizione nordica.
[8] Il passaggio non è intuitivo: in primo luogo
certi accostamenti alla figura di Gil-Galad possono sembrare un tantino
azzardati, e inoltre i personaggi citati hanno una preponderante valenza
storica, piuttosto che solo leggendaria, nel corso delle vicende di Arda.
[9] Che Bombadil sia tacciato d’ignavia è affatto opinabile,
non sapendosi abbastanza della sua natura.
[10] Sta per White Anglo-Saxon Person, «persona
Anglosassone bianca».
[11] Nella versione originale “their mighty company”.