Il poema Markirya

di Helge Fauskanger - traduzione di Gianluca Comastri

Questo poema è descritto da Christopher Tolkien come "una delle maggiori composizioni in Quenya" (MC:4); invero è il più lungo testo in Quenya maturo che sia mai stato pubblicato. La versione finale del poema è in effetti una traduzione. Le più antiche versioni che ne diede Tolkien furono scritte nei primi anni Trenta, mentre egli stava ancora facendo esperimenti sulla precisa struttura del "Qenya" (com'era allora detto) ed evidentemente rivide le desinenze grammaticali pressoché di settimana in settimana. Questi primi testi "Qenya", pubblicati in MC:213-214 e 220-221, non devono essere stati di molto aiuto alle persone interessate al Quenya nello stile SdA. Fortunatamente, Tolkien molto più tardi scrisse una versione del poema in Quenya maturo e aggiunse pure un commentario in glosse (MC:221-223). In effetti, questa è una traduzione dal "Qenya" sperimentale dei primi anni Trenta in Quenya maturo, il Quenya cui il pensiero di Tolkien pervenne come linguaggio dopo aver speso una vita nel raffinarlo - la versione finale del poema sembra datare dall'ultimo decennio della sua vita. Questa è una fonte molto importante; in particolare ci fornisce molti buoni esempi del participio.

La prima versione del poema ha un titolo: Oilima Markirya, "L'ultima Arca" (MC:213, 214). La versione posteriore, riveduta non ha titolo. Oilima "ultimo" potrebbe non essere una parola valida in Quenya maturo (laddove essa ricorreva nel testo della prima versione, la versione finale ha métima), ma Markirya "Arca" è certamente valida. Letteralmente, dovrebbe significare "nave-uomo" (cf. Eldamar "Casa degli Elfi"). Io uso riferirmi a tale testo come al poema Markirya.

Ne ho regolarizzato l'ortografia col sistema usato in SdA (Le modifiche ammontano soltanto al cambio della k in c e all'aggiunta di una dieresi a tutte le efinali in vocaboli polisillabici, eccetto se è parte di un - ove la dieresi è già usata nel testo in MC). Ho numerato le righe per rendere più facile riferirvisi dopo la discussione del testo originale.

MARKIRYA stanza per stanza, con la traduzione di Tolkien's interposta (la traduzione è data in MC:214-215; si osservi la nota 8 in MC:220 riguardo una modifica minore): [Ho preferito fornire una mia versione originale della traduzione italiana del testo inglese, avendo notato grosse licenze interpretative, rispetto ad essa, in quella fornita nel testo reperibile nell'"Antologia di J.R.R. Tolkien, N.d.T.]

Prima stanza:

1) Men cenuva fánë cirya
Chi vedrà una nave bianca
2) métima hrestallo círa,
lasciare l'ultima sponda,
3) i fairi nécë
i pallidi fantasmi
4) ringa súmaryassë
nel suo freddo petto
5) ve maiwi yaimië?
simili al lamento dei gabbiani?

1. La primissima parola, men "chi", dev'essere un'errata lezione per man (di nuovo la difficile calligrafia di Tolkien!). Man non si trova solo in Namarië in SdA, ma anche in altre cinque occasioni in questo stesso poema. cenuva "vedrà", radice cen- "vedere" + la desinenza futura -uva. fánë "bianca" (ma la stanza seguente ha fána, che può essere più corretto - vedere sotto). cirya "nave".
2. métima "l'ultima", hrestallo *"da (la) sponda", sc. hresta "sponda" + la desinenza ablativa -llo "da". círa "navigare", significato di base *"fendere", qui "solcare o percorrere rapidamente il mare". Cfr. cirya "nave", che Christopher Tolkien confronta con l'inglese cutter nell'appendice del Silmarillion, voce kir-. Il vocabolo círa sembrerebbe essere una cosiddetta "radice continuativa" con una radice vocalica allungata e la desinenza -a (tale parola può anche ricorrere come il presente *"solca, naviga"). Perciò il significato letterale di questa riga non è realmente "chi vedrà una nave bianca lasciare l'ultima sponda?", ma *"chi vedrà una nave bianca salpare da (l') ultima sponda?"
3. i "i", fairi "fantasmi", pl. di fairë "fantasma; spirito disincarnato, visto come una pallida forma" (MC:223), nécë pl. (in accordo con fairi) dell'aggettivo néca "vago, debole, tenue alla vista" (MC:223).
4. ringa "freddo" (le Etimologie, voce RINGI, hanno ringë), súmaryassë "nel suo petto", perciò "nel suo freddo petto". Súmaryassë è súma "cavità vuota, petto" + la desinenza possessiva -rya "suo, sua" + la desinenza locativa -ssë "in".
5. ve "come", maiwi "gabbiani", pl. di maiwë "gabbiano", yaimië pl. (in accordo con maiwi) dell'aggettivo yaimëa "lamentoso", un aggettivo derivato da yaimë "lamento" (come sostantivo).

Seconda stanza:

6) Man tiruva fána cirya,
Chi si accorgerà di una nave bianca,
7) wilwarin wilwa,
vaga come una farfalla,
8) ëar-celumessen
fra le correnti marine
9) rámainen elvië
su ali come di stelle,
10) ëar falastala,
quando il mare si gonfia,
11) winga hlápula
la spuma irrompe,
12) rámar sisílala,
le ali scintillano,
13) cálë fifírula?
la luce scema?

6. man "chi", tiruva "si accorgerà/osserverà", sc. la radice tir- "guardare" con la desinenza futura -uva, come in cenuva "vedrà" nella riga 1. fána "bianca" - mentre nella prima stanza si ha fáne! Anche il glossario commentario di Tolkien così com'e stampato in MC ha fáne, mentre le Etimologie (LR:387, radice SPAN) prima davano fanya "nuvola"; poi Tolkien depennò "cloud" e aggiunse fána da fanya, "con significato di 'bianco' e 'nuvola'... ma non è chiaro come debbano essere applicate" (Christopher Tolkien). Altre fonti danno fanya "(bianca) nuvola", così fána sembrerebbe essere il termine indicante "bianca". Dacché man è evidentemente mal interpretato men nella prima riga, può essere che fána sia stato erroneamente letto due volte come fáne nel testo in MC:222, sia nel poema che neil glossario commentario di Tolkien. (Perché un uomo capace di meravigliose calligrafie non può adottare una scrittura manuale più leggibile nella sua vita quotidiana?) cirya "nave".
7. wilwarin "farfalla", wilwa "svolazzare qua e là". Tolkien tradusse tali parole come "vago come una farfalla", ma letteralmente la nave è detta essere "(una) svolazzante farfalla".
8. ëar-celumessen un composto di ëar "mare" e celumessen, il quale è celumë "fluente, piena (marea), fiotto" con la desinenza locativa plurale -ssen: perciò letteralmente *"nei fiottti marini", o come Tolkien tradusse questa riga: "quando il mare si gonfia".
9. rámainen è ráma "ala" + la desinenza plurale strumentale -inen "da, con", perciò "da/con ali", qui evidentemente riferendosi alle vele della nave. elvië pl. (in accordo con "wings") dell'aggettivo elvëa "stellare". Tolkien adoperò la traduzione "su ali come di stelle", ma letteralmente le parole Quenya significano "con (= usando) ali stellari", dacché questa è una forma strumentale ("su ali" dovrebbe letteralmente essere il locativo *rámassen, non attestato).
10. ëar "mare", falastala "spumeggiante", participio di falasta- "spumare"; -la è la desinenza participia presente, l'inglese "-ing" [l'italiano "-ante", "-ente", N.d.T.] (ma mentre "-ing" è anche usato a formare sostantivi verbali, -la forma soltanto participi aggettivali). Vi sono molti esempi della desinenza participia -la in questo poema.
11. winga "spuma, vapore". hlápula participio di unal radice verbale hlapu- "volare o scorrere nel vento", con la medesima desinenza -la come in falastala sopra. Notare che quando tale desinenza è aggiunta ad una radice ove la vocale accentata non è seguita da un gruppo di consonanti (come st in falasta-), la vocale è allungata: a > á in hlapu- > hlápula (cfr. anche pícala sotto).
12. rámar "ali", nominativo pl. di ráma "ala". sisílala "splendente", participio di sisíla-, il quale è a volte detto essere la forma "frequentativa" di una radice più corta sil- "splendore (bianco)", formata raddoppiando la prima consonante e la vocale (qui si-), allungando la radice vocalica (i > í) e aggiungendo una -a finale. Tale forma lunga di sil- apparentemente indicat un'azione lunga o in svolgimento. Dovrebbe essere notato che il participio prende ugualmente la normale desinenza -la "-ing" [l'italiano "-ante", "-ente", N.d.T.] sebbene descriva un sostantivo plurale (rámar "ali"). Aggettivi in -a hanno forme plurale in -ë, ed il participio aggettivale potrebbe essere stato eccettuato comportandosi allo stesso modo, cambiando la sua desinenza in - quando esso descrive un sostantivo plurale. Questo non è evidentemente il caso; la desinenza -la è invariata nel plurale, così il participio presente non mostra affatto numeri [frase idiomatica per dire che il plurale è analogo al singolare, N.d.T.]. Ciò può essere per evitare confusione con la desinenza verbale sostantiva -, come in Ainulindalë (lett. *"Ainu-cantori", tradotto "La Musica degli Ainur" da Tolkien).
13. cálë "luce", fifírula "sbiadente", participio di fifíru- "impallidire lentamente", una forma allungata di fir- "spegnersi, sbiadire" (parallelamente sisíla- da sil-). Non è interamente chiaro perché fifíru- abbia la vocale connettiva -u invece di -a come in sisíla-. Può essere notato che la vocale connettiva u è talvolta associata con qualcosa di cattivo (cfr. la nota di Tolkien su -uñkwâ come opposto di -iñkwâ in WJ:415), e fir- "spegnersi, sbiadire" ha uno spiacevole significato.

Terza stanza:

14) Man hlaruva rávëa súrë
Chi udrà il fragore del vento
15) ve tauri lillassië,
come il fogliame nei boschi;
16) ninqui carcar yarra
le bianche rocce rimbombare
17) isilmë ilcalassë,
al bagliore della luna,
18) isilmë pícalassë,
al calar della luna,
19) isilmë lantalassë
al cader della luna
20) ve loicolícuma;
la candela di un morto;
21) raumo nurrua,
il romorìo della tempesta,
22) undumë rúma?
l'abisso che si muove?

14. Man "chi", hlaruva "udrà", radice hlar- "udire" + la desinenza futura -uva. rávëa "tumultuoso", un aggettivo derivato da rávë "rumore fragoroso"; -a spesso funziona come una desinenza aggettivale. súrë "vento". La traduzione di Tolkien di questa riga recita "chi udrà ruggire il vento?", ma il significato letterale deve essere *"Chi udrà (il) ruggente vento?"
15. ve "come", tauri "boschi", pl. of taurë "bosco". lillassië "che ha molte foglie, *frondoso", pl. di un aggettivo lillassëa "frondoso", derivato da lassë "foglia"con la desinenza aggettivale -a e il prefisso lin- "molte" (LR:369, radice LI). Lin- qui diviene lil- per assimilazione dell'iniziale l di lassë: il Quenya non consente la combinazione nl, così **linlassëa non era un vocabolo possibile; nl è divenuto ll. La traduzione di Tolkien di questa riga recita "come le foglie nei boschi", ma il testo Quenya letteralmente significa *"come fronzute foreste".
16. ninqui pl. (in accordo col successivo sostantivo plurale carcar) dell'aggettivo ninquë "bianco". carcar, pl. di carca, è qui tradotto "rocce"; nelle Etimologie la parola carca (karka) è glossata "dente" (LR:362, radice KARAK "zanna affilata, spite, dente"). Qui, il riferimento deve essere alle rocce appuntite. yarra "brontolio, ringhio". Qui in effetti è usato come un participio "ringhiante" ed è così tradotto da Tolkien, sebbene la normale desinenza participia -la non sia impiegata.
17. isilmë "chiaro di luna", derivato da Isil "Luna"; la desinenza - spesso denota qualcosa di astratto o intangibile. Nella traduzione del poema di Tolkien, egli semplicemente tradusse isilmë come "luna", ma ciò si riferisce alla sua luce e non al corpo celeste stesso. ilcalassë è ilcala "luccicante", il participio di ilca- "luccicare" formato con la normale desinenza participia -la (senza allungamento della radice-vocalica i dacché è seguita da un gruppo di consonanti, lc). La frase isilmë ilcala "chiaro di luna (che è) luccicante" è trattata come una singola unità, e la desinenza locativa -ssë "in" è aggiunta all'ultima parola che esprime "al luccicante chiaro di luna". Comunque, *ilcala isilmessë "la lucente luminescenza lunare" può essere stata una costruzione più naturale in linguaggio non poetico.
18. isilmë "chiaro si luna". pícalassë contiene pícala, il participio del verbo píca- "abbassarsi, diminuire" (nella sua traduzione corrente, Tolkien usò il termine "calante" invece di "discendente"). L'intera frase isilmë pícala "chiaro di luna (che è) calante" allora recepisce la desinenza locativa -ssë "in" a esprimere "al calar del chiarore lunare" - probabilmente *pícala isilmessë in uno stile più normale.
19. isilmë "chiaro di luna"; lantalassë incorpora il participio lantala "cadente" (dal verbo lanta- "cadere" - come in ilcala, il participio non esibisce allungamento della radice vocalica poiché essa è seguita da un gruppo di consonanti). Ancora una volta la desinenza locativa -ssë "in" è aggiunta all'intera frase a esprimere "al cadente chiarore lunare". In un più chiaro, non poetico stile dovremmo piuttosto aspettarci una costruzione come *lantala isilmessë.
20. ve "as, like", loicolícuma "candela da morto": loico "cadavere" + lícuma "candela" (correlato con líco "cera", evidentemente derivato dal più antico *lîku, e mentre l'originale finale corta -u divenne -o in Quenya, rimase -u quando non finale, come in lícuma). La traduzione di Tolkien di questa linea recita semplicemente "una candela da morto", ma il testo Quenya chiaramente intende "come una candela da morto".
21. raumo "tempesta" (o "romore di tempesta"). nurrua "mormorare" è derivato da una radice verbale nurru- "mormorare, borbottare". Semanticamente esso funziona come un participio, ma sembra essere formato con la desinenza aggettivale -a invece della normale desinenza participia -la. Di fatto, Tolkien dapprima scrisse nurrula, poi la cambiò. Forse nurrua è da intendersi come una specie di aggettivo verbale.
22. undumë "abisso"; rúma è detto essere un verbo "spostare, muovere, tirare (di oggetti grandi e pesanti)", qui usato come un participio "semovente", sebbene la normale desinenza participia -la non sia impirgata. Tolkien effettivamente scrise dapprima rúmala, per poi cambiarlo, così come emendò nurrula in nurrua. Forse rúma contiene la desinenza aggettivale -a, così come nurrua, ma la desinenza è invisible dacché rúma termina già in -a. Ciò può anche essere il caso di yarra alla linea 16 e tihta alla riga 35.

Quarta stanza:

23) Man cenuva lumbor ahosta
Chi vedrà le nuvole radunarsi,
24) Menel acúna
i cieli incurvarsi
25) ruxal' ambonnar,
sopra colli che si sgretolano,
26) ëar amortala,
il mare sollevarsi,
27) undumë hácala,
gli abissi spalancarsi,
28) enwina lúmë
l'antica oscurità
29) elenillor pella
oltre le stelle
30) talta-taltala
cadere
31) atalantië mindonnar?
sopra torri cadute?

23. Man "chi", cenuva "vedrà" come alla riga 1, lumbor "nubi" (pl. di lumbo "nuvola"). La parola ahosta è tradotta "radunarsi". Il verbo "radunarsi" è hosta-. esso qui recepisce un prefisso a- (Tolkien dapprima scrisse na-, poi lo modificò). Tolkien ha una nota alquanto oscura su tale prefisso: "Quando la nuda radice del verbo è usata (come dopo 'vedere' e 'udire') come infinito na- [cambiato in a-] è prefisso se il sostantivo è l'oggetto e non il soggetto" (MC:223). Nella frase precedente, il "sostantivo" che è "l'oggetto e non il soggetto" deve essere lumbor "nuvole" - l'oggetto di man cenuva "chi vedrà". Sembra , quindi, che volendo esprimere cosa tale oggetto in sé stia facendo, si deve impiegare una nuda radice verbale col prefisso a: Man cenuva lumbor ahosta[?] "Chi vedrà le nubi radunarsi?" - che è, "vedere il radunodelle nuvole, vedere le nuvole che si radunano?" Il prefisso a forma un verbo del quale un sostantivo è il soggetto mentre tale sostantivo è anche l'oggetto di un altro verbo. Dovrebbe essere notato che eccetto che per il prefisso a, tale verbo non è inflesso (ahosta non recepisce la desinenza plurale -r, sebbene il suo soggetto lumbor sia plurale e i verbi Quenya usualmente si accordano al numero [ovvero al genere singolare/plurale del soggetto, N.d.T]). Come dice Tolkien, esso è una "nuda radice" eccetto che per il prefisso.
24. Menel "cielo, paradiso". Tolkien qui adopera la traduzione "i cieli", ma la parola Quenya è singolare. In RGEO:72, Tolkien definiva menel come "firmamento, alti cieli, la regione delle stelle". (Cfr. il nome della grande montagna di Númenor, il Meneltarma o "Pilastro del Cielo".) acúna "curvare": la radice verbale cúna "curvare" (in sé derivata da un aggettivo cúna "ansato, curvo") con il medesimo prefisso a come in ahosta sopra. Il sostantivo Menel è l' oggetto dello stesso verbo come alla precedente riga, e il vocabolo acúna ci dice che cosa stanno facendo i cieli allo stesso tempo in cui essi sono l'oggetto del "vedere": Man cenuva...Menel acúna[?] "Chi vedrà... i cieli incurvarsi [che è, vedere i cieli che si incurvano]?"
25. ruxal' una forma ridotta o "elisa" di ruxala; in Quenya, la finale -a in un vocabolo talvolta decade se la parola successiva inizia in una vocale simile, a o o (sebbene questa non sia una regola inderogabile e sembri occorrere primariamente nel linguaggio parlato o poetico, laddove è importante che le parole siano facilmente enunciate). Ruxala significa "che si sgretola", il participio di un verbo *ruxa- "sbriciolarsi", non altrimenti attestato. ambonnar "sopra colli", sc. il sostantivo ambo "colle" + la desinenza allativa -nna "su" o "sopra" + la desinenza plurale -r; perciò ruxal' ambonnar = "su colline che si sgretolano". Una costruzione alternativa con lo stesso significato, seguente al modello di axor ilcalannar sotto, deve essere stata *ambor ruxalannar.
26. ëar "mare", amortala "sollevarsi" (participio di amorta- "sollevare" [come sforzo, atto, N.d.T.], trasparentemente orta "rialzo, salita" col prefisso am- "su, verso l'alto", perciò "risalita, risalire").
27. undumë "abisso"; hácala "che si schiude", participio di un verbo *hac-, *háca- "sbadigliare" (non altrimenti attestato).
28. enwina "antico", lúmë "oscurità". (Ci si pone il dubbio se Tolkien o il trascrttore confuse lómë "notte" col vocabolo lúmë "ora, tempo", trovato sia in SdA che nelle Etimologie, radice LU.)
29. elenillor "da(lle) stelle", elen "stella" + la desinenza plurale -i + la desinenza ablativa -llo "da" + la desinenza plurale -r. (La desinenza ablativa pl. può essere -llon così come -llor.) È da notare che vi sono due marcatori plurali, sia -i che -r, in elenillor. Sembra che desinenze sostantive terminanti in una consonante, che normalmente formano i loro plurali in -i (eleni "stelle"), adoperano anche tale desinenza plurale come una vocale connettiva prima delle desinenze di caso che iniziano in una consonante (dacché **elenllor non sarebbe un vocabolo consentito). pella "oltre"; tale parola sembra funzionare come una postposizione piuttosto che una preposizione in Quenya - essa viene dopo il sostantivo che è "oltre" qualcosa. Cfr. Andúnë pella "oltre l'Occidente" in Namárië in SdA (non *pella Andúnë, *pell' Andúnë col medesimo ordine delle parole come in inglese). Perciò elenillor pella = "da oltre (le) stelle". La traduzione di Tolkien di tale riga fu semplicemente "oltre le stelle", ma letteralmente essa e la precedente linea chiaramente sono riferite all'"antica oscurità" (che incombe) "da oltre le stelle".
30. talta-taltala Tolkien semplicemente tradusse "cadenti". Come vediamo, la radice talta- "cadere" è evidentemente raddoppiata prima della aggiunta della desinenza participia -la: "cadere-cadenti" (rovinare giù, se preferite). La radice talta- non indica semplicemente una caduta verso il basso, come lanta- (linea 19). Talta- ha connotazioni più violente, crollare o cadere in rovina. Atalantë come nome della decadente Númenor è derivato dalla medesima radice; cfe. anche l'aggettivo atalantëa nella riga successiva. Nelle Etimologie, talta- è glossato "declinare, scivolare, scorrere in basso" (LR:390, radice TALÁT).
31. atalantië "rovinoso, decadente", pl. dell'aggettivo atalantëa. Esso è pl. in accordo con mindonnar: Mindon "torre" + la desinenza allativa -nna "sopra, su" + la desinenza plurale -r, perciò atalantië mindonnar = "sopra torri cadute". Quando un suffisso di caso come -nna, -llo o -ssë è aggiunto ad una desinenza sostantiva alla stessa consonante con cui il suffisso inizia, la desinenza può semplicemente fondersi con tale consonante finale: mindonnar per **mindon-nnar. Evidentemente Tolkien dapprima scrisse mindoninnar, usando il plurale -i di mindoni "torri" come vocale connettiva tra il sostantivo ed il suffisso, come nella parola elenillor alla riga 29. Quindi egli decise di usare invece la forma contratta mindonnar. Evidentemente, Tolkien non cambiò soltanto mindoninnar in mindonnar, ma rimpiazzò anche atalantië con atalantëa, la forma singolare di tale aggettivo. Questa modifica non sembra aver senso, ed io l'ho qui ignorata - l'aggettivo dovrebbe essere pl. in accordo con "torri". Una lettura variante della riga 3 è anche néca fairi per "pallidi fantasmi": l'aggettivo néca è sg. invece del pl. nécë. Tolkien giocava con l'idea che gli aggettivi precedenti il sostantivo che essi descrivono non vi si accordassero in numero [leggi "in genere", con il solito riferimento al singolare/plurale, N.d.T.]? Ma in Namárië in SdA abbiamo lintë yuldar "rapidi sorsi", dove lintë sembra essere il pl. di *linta "rapido", e nel poema Markirya stesso si legge ninqui carcar "bianche rocce" alla riga 16 - non ninquë carcar con ninquë "bianco" nella forma singolare/non inflessa.

Quinta stanza:

32) Man tiruva rácina cirya
Chi si accorgerà di una nave spezzata
33) ondolissë mornë
sulle nere rocce
34) nu fanyarë rúcina,
sotto cieli squarciati,
35) anar púrëa tihta
un sole offuscato che luccica
36) axor ilcalannar
su ossa scintillanti
37) métim' auressë?
nell'ultima mattina?
38) Man cenuva métim' andúnë?
Chi vedrà l'ultima sera?

32. Man "chi", tiruva "si accorgerà/guarderà" come alla riga 6, rácina "rotto", il participio passato della radice rac- "rompere". Il participio passato regolare è formato con la desinenza -ina, e se non vi è un gruppo di consonanti a seguire la vocale della radice, essa è allungata come a > á in tal case. cirya "nave".
33. ondolissë "su rocce", ondo "roccia" + la desinenza partitiva plurale -li + the desinenza locativa -ssë "su, in". Secondo le declinazione di Tolkien nella lettera Plotz, il vocabolo potrebbe anche essere stato ondolissen con la desinenza plurale locativa -ssen; quando il plurale sia già stato indicato con la desinenza -li, essa è apparentemente opzionale se anche una susseguente desinenza di caso debba o meno avere un marcartore plurale. (La parola falmalinnar in Namárië mostra sia -li- che -r.) Il vocabolo ondolissë è uno dei nostri pochi esempi del partitivo plurale in -li. Forse ondoli letteralmente indica qualcosa come "alcune rocce", mentre il normale plurale ondor dovrebbe significare semplicemente "rocce" (locativo ondossen). Questo è uno degli esempi che mostrano come la desinenza -li possa non sempre implicare "molti", come in una tradizionale interpretazione che se ne ha. Nulla nel contesto suggerisce che ondolissë sia inteso significare "su molte rocce"; Tolkien semplicemente tradusse "sulle... rocce". mornë "nere", pl. (in accordo con "rocce") dell'aggettivo morna "nero, oscuro".
34. nu "sotto", fanyarë "i cieli, i venti e le nuvole soprastanti" (non paradiso o firmamento, che è menel). Notare che mentre l'inglese "i cieli" è plurale, fanyarë è evidentemente un vocabolo singolare e prende un participio nella forma singolare (rácina, non pl. *rácinë - vedere sotto). Confrontare fanyar "nuvole" (sg. fanya) in Namárië; il sostantivo fanyarë sembrerebbe essere una specie di formazione collettiva derivata da tale termine. rúcina "confuso, disunito, disordinato". Questo è un participio passato formato sul medesimo modello di rácina alla riga 32. *Ruc- dovrebbe essere una radice verbale dal significato "confondere, frantumare, rendere disordinato", non altrimenti attestata dacché essa può a stento essere identificata con l'omofona ruc- "temere" menzionata in WJ:415 (1. persona aoristo rucin "io provo paura od orrore", aggettivo derivato rúcima" "terribile").
35. anar "sole", púrëa "sbavato, scolorito", tihta "lampeggiare", qui in effetti usato come un participio "lampeggiante", sebbene la normale desinenza participia -la non sia impiegat (cfr. yarra alla riga 16 e rúma alla riga 22).
36. axor "ossa", pl. di axo "osso". ilcalannar contiene lo stesso participio ilcala "scintillanti" come alla riga 17. Là esso aveva la desinenza locativa -ssë; qui ricorre invece la desinenza allativa -nna "sopra, su", più la desinenza plurale -r (plurale in quanto si riferisce a axor "ossa"). Perciò axor ilcalannar = "su ossa scintillanti" (probabilmente *ilcala axonnar, *ilcal' axonnar in uno stile più normale).
37. métim' forma elisa dell'aggettivo métima "definitivo, finale, ultimo"; la finale -a di métima qui decade in quanto il vocabolo successivo, auressë, inizia nella medesima vocale (la finale -a può anche essere persa se il vocabolo successivo inizia in o). Cfr. ruxal' ambonnar per *ruxala ambonnar sopra. Mentre ruxal dovrebbe essere stata una parola corretta in sé stessa, questo non è il caso di **métim, dacché il Quenya non permette la finale m. auressë is aurë "mattina" con la desinenza locativa -ssë "in"; perciò métim' auressë = "nell'ultima mattina".
38. Man "chi", cenuva "vedrà" come alle linee 1 e 23, métim' "definitivo, finale, ultimo"; la finale -a dell'aggettivo métima è ancora una volta perduta in quanto la parola seguente inizia nella medesima vocale. andúnë "sera". (In Namárië in SdA, Andúnë è tradotto "Ovest"; propriamente essa ha a che fare con il tramonto. Vedere l'Appendice del Silmarillion.)

Può essere notato che sebbene il testo Quenya impiega l'articolo definito i solo una volta (i fairi nécë "i pallidi fantasmi" alla riga 3), la traduzione di Tolkien include molti articoli. Egli parla di "il vento, le bianche rocce, la luna, la tempesta, l'abisso, le nuvole, i cieli, il mare, l'antica oscurità, le nere rocce, l'ultima mattina, l'ultima sera". Sembra che l'articolo definito i sia facilmente omesso in Quenya poetico se non si addice alla metrica, e la sua assenza non indica necessariamente che il sostantivo è indefinito. (Tuttavia, Menel "i cieli" può esser preso come un nome proprio - notare che qui è con iniziale maiuscola. Come un nome non dovrebbe richiedere l'articolo.) La traduzione di Tolkien impiega l'articolo indefinito inglese a solamente tre volte: "una bianca nave, una nave spezzata, un sole offuscato". Vi sono anche i plurali indefiniti "gabbiani, ali, boschi, colli, ossa", che traducono plurali Quenya privi di articolo. Dobbiamo concludere che in Quenya poetico, o perlomeno in questo poema, i sostantivi non resi esplicitamente definiti con l'articolo i possono essere sia definiti che indefiniti - e laddove il contesto non richieda l'uno o l'altro, la distinzione è semplicemente affatto trascesa. (Come parecchi russi ed anche più cinesi sanno, non vi è necessità di articoli per avere un linguaggio completamente funzionale - sebbene le persone che adoperano la parola "il" centinaia o migliaia di volte al giorno inevitabilmente percepiscono che qualcosa è sparito!)

Ardalambion