Il vizio non troppo segreto di Tolkien

di Helge Fauskanger - traduzione di Gianluca Comastri

Nel 1931, Tolkien scrisse un saggio sull'alquanto singolare hobby di inventare nuovi linguaggi. Lo intitolò A Secret Vice ["Il vizio segreto" nelle versioni italiane, N.d.T.]. Ma nel caso di Tolkien, il "vizio" difficilmente può più dirsi segreto.

Cosa, realmente, accade nella mente di un uomo che per tutta la sua vita si diletta con enormi costruzioni linguistiche, interi linguaggi mai esistiti al di fuori dei suoi appunti? Una cosa dev'essere perfettamente chiara: egli forgiò molti più linguaggi di quelli qui trattati, di quanti potesse mai sperare di includere nelle sue storie. Veramente, vi sono alcuni poemi in Elfico e uno sciame di nomi esotici negli annali della Terra di Mezzo ma, in realtà, questo è nulla a cofronto di tutto ciò che Tolkien produsse. In Tyalië Tyelelliéva # 6, Lisa Star ci informa che la sua lista di vocaboli pubblicati conta dodicimila voci. Stiamo parlando di un enorme costrutto linguistico. Come ebbe inizio? In che modo fu fatto? E perché?

Il giovane John Ronald Reuel nel mondo degli adepti del Nevbosh

Un bel giorno, quando il ventesimo secolo era tanto giovane quanto oggi è vecchio, l'adolescente Tolkien rimase sorpreso nell'ascoltare un paio di altri ragazzi comunicare fra loro in Animalico. Esso era un primitivo linguaggio-gioco che consisteva principalmente di nomi inglesi di animali. Gli inventori dell'Animalico non tentarono di mantenerlo segreto, e il giovane Tolkien presto ne imparò qualcosa. Nel suo saggio Il vizio segreto (pubblicato in The Monsters and the Critics pagg. 198-219) egli dà un esempio di Animalico [in molte versioni italiane detto «animalese», N.d.T.]: Cane usignolo picchio quaranta, che traduce in "tu sei un asino". (Per intenderci: "asino" qui significa somaro e nient'altro. In Animalico, quaranta significa somaro, mentre somaro, ovviamente, significa quaranta...)
          L'Animalico presto divenne una lingua morta, ma alcuni di quei ragazzi continuarono i loro giochi linguistici. Essi inventarono un linguaggio chiamato Nevbosh (essendo Nevbosh per "new nonsense" - il nonsense che rimpiazza l'Animalico, evidentemente...) Tolkien non fu l'originatore di tale linguaggio ma, a suo dire, diede contributi al suo vocabolario e aiutò a standardizzarne l'ortografia. "Ero un membro del gruppo dei parlanti Nevbosh," come ricorda fieramente.
          Il Nevbosh era principalmente una mistura di parole inglesi pesantemente distorte, francesi e latine. Esso non rappresenta una reale rottura rispetto all'inglese o ad altri normali linguaggi. Più di vent'anni dopo che a sua volta era divenuto lingua morta, Tolkien era ancora in grado di ricordarne almeno un frammento compiuto, che egli definisce "piuttosto stupido":

Dar fys ma vel gom co palt 'hoc
pys go iskili far maino woc?
Pro si go fys do roc de
Do cat ym maino bocte
De volt fac soc ma taimful gyróc!'

Le rime possono peraltro essere preservate nella traduzione [inglese, N.d.T.]: "There was an old man who said 'how / can I possibly carry my cow? / For if I was to ask it / to get in my pocket / it would make such a fearful row!' " [C'era una volta un vecchio che disse: "come / posso possibilmente condurre la mia vacca? / Se le chiedessi / di mettersi nella mia tasca / farebbe un tale tumulto!", possibile - ma opinabile - versione italiana, N.d.T.].
          Ma per Tolkien, la semplice distorsione di vocaboli esistenti (come woc = "cow", mucca!) a lungo andare non fu sufficiente. Già fra i ragazzi Nevbosh era emerso qualcosa di più sofisticato: parole di cui non poteva esser rintracciata alcuna specifica fonte, ma scaturite semplicemente dal fatto che sembravano assumere un significato adeguato - poiché la combinazione di suoni e significati rendeva i ragazzi compiaciuti. Tolkien menziona la parola lint "svelto, abile". Il giovane John Ronald Reuel non dimenticò mai questo vocabolo: quarant'anni dopo dama Galadriel cantava di come gli anni nella Terra di Mezzo siano trascorsi ve lintë yuldar lissë-miruvóreva, come rapidi sorsi del dolce idromele...
          Tempo passò, e il Nevbosh si unì al latino e al gotico nel lungo novero delle lingue morte. Ma Tolkien, ancora fanciullo, stava già ideando uno dei suoi primi linguaggi creati totalmente da sé: il Naffarin. Egli cita una frase Naffarin per illustrarlo, ma non la sua traduzione: O Naffarínos cutá vu navru cangor luttos ca vúna tiéranar, dana maga tíer ce vru encá vún' farta once ya merúta vúna maxt' amámen. Benché si suppone che il Naffarin incorpori alcune delle ultime evoluzioni del Nevbosh, si percepisce già lo spostamento verso forme "Elfiche" . Il Naffarin fu ispirato dal latino e dallo spagnolo, ma Tolkien fu colto da due ben più potenti ispirazioni.

Dalla porta della cantina gallese all'enoteca finlandese

Una cosa era importante per Tolkien. I linguaggi dovevano essere belli. I loro suoni dovevano essere piacevoli. Tolkien assaporava i linguaggi, ed il suo gusto era ben affinato. Latino, spagnolo e gotico erano piacevoli. Il greco era grandioso. L'italiano era meraviglioso. Ma il francese, spesso additato come bel linguaggio, gli dava poco piacere.
          Ma il suo paradiso si chiamava gallese. Nel suo saggio "Inglese e Gallese", Tolkien ricorda come egli una volta vide le parole Adeiladwyd 1887 (Costruito nel 1887) scolpito su una lapide. Fu la rivelazione d'una bellezza. "Ha fatto breccia nel mio cuore linguistico," rammenta. Egli constatò che il gallese era pieno di vocaboli meravigliosi. Tolkien trovò difficile comunicare ad altri che cosa realmente c'era di così grande in esso, ma nel suo saggio ne fa un onesto tentativo: "La maggior parte degli inglesi madrelingua...ammetterà che cellar door ["porta della cantina", N.d.T.] è 'bellissimo', specialmente se dissociato dal suo significato (e dalla sua ortografia). Più bello che non dire, sky ["cielo", N.d.T.], e ancora più bello di beautiful ["bello"; notare il gioco di parole, N.d.T.]. Orbene, in gallese per me le cellar doors sono straordinariamente frequenti, e muovono alla più alta dimensione, le parole nelle quali vi è il piacere nella contemplazione delle associazioni di forma e significato sono abbondanti." Egli quindi elenca concreti esempi come il gallese wybren che è "più piacevole" dell'inglese sky. -MC p. 190-193.
          Ma c'erano ben altre piacevolezze in serbo per il giovane Tolkien. Un giorno egli trovò...una grammatica finlandese!!! Egli presto si ritrovò in estasi fonoestetica. "Fu come scoprire una completa enoteca riempita con bottiglie di un vino straordinario di una varietà e di una fragranza mai gustata prima. Ne fui completamente intossicato" (Lettere:214). Sul finlandese egli tracciò le linee del suo ultimo progetto ("createvi il vostro linguaggio Germanico"), per ora quello basato sulle più potenti ispirazioni.
          Molti anni dopo, egli constatò che le lingue Elfiche erano "intese a (a) divenire in definitiva di uno stile e struttura di tipo europeo (non nei dettagli); e (b) divenire specialmente piacevoli. Il primo obiettivo non è difficile da raggiungere, ma il secondo è più difficile, causa personali predilezioni individuali, specialmente nella struttura fonetica del linguaggio, immensamente variabili... Ho perciò compiaciuto me stesso" (Lettere:175-176). Ciò in effetti vuol dire che dal punto in cui scoprì il gallese e il finlandese, questi furono i più influenti nelle sue costruzioni linguistiche.
          Ovviamente, è azzeccato osservare che i gusti individuali variano immenasamente. Il linguaggio gallese che egli amava così tanto e su cui modellò il Sindarin, fu una volta descritto come "una massa di grugniti e suoni gorgoglianti" da un radocronista Norvegese. Ancora, molte persone sembrano d'accordo sul fatto che le favelle Elfiche sono generalmente eufoniche. Tolkien registrò riscontri positivi: "I nomi di persona e di luogo in questa storia sono stati principalmente composti su modelli deliberatamente plasmati su quelli gallesi (apparentemente simili ma non identici). Questo elemento nel racconto ha dato forse più piacere a molti lettori di qualunque altro" (MC:197).
          Ma stiamo precorrendo i tempi; ritorniamo ai primi inizi. Mentre la Guerra Mondiale ancora infuriava, le costruzioni linguistiche di Tolkien divennero definitivamente linguaggi Elfici. Il 2 marzo 1916, il ventiquattrenne Tolkien scrisse alla sua amata Edith dicendole che stava lavorando ad un suo "linguaggio fatato senza senso - ai suoi miglioramenti. Spesso ci lavoro a lungo e non mi spiego perché, sebbene io lo ami tanto deve sembrare un hobby così pazzo!" Pazzo o no, egli assecondò la sua brama e seguitò a lavorare a quest'hobby per tutta la vita. - Lettere:8.
          Esattamente a questo punto, nel 1916, mentre Tolkien era in ospedale essendo sopravissuto alla Battaglia di Somme, la primissima parte della sua "mitologia d'Inghilterra" fu scritta - frammenti di quello che un giorno sarebbe divenuto il Silmarillion. Allo stesso tempo, o piuttosto poco prima, egli scrisse la sua prima lista di termini Elfici. Una cosa fece scattare l'altra: "La creazione di linguaggi e della mitologia sono attività correlate," osservò in Il vizio segreto. "La costruzione del vostro linguaggio genererà una mitologia" (MC:210-211). O nuovamente in una lettera scritta molti anni dopo, immediatamente dopo la pubblicazione di SdA: "L'invenzione di linguaggi è il fondamento. Le 'storie' sono state create piuttosto per fornire un mondo per i linguaggi che non il contrario. A me viene prima in mente un nome, e la storia in seguito... [SdA] è per me...un esteso saggio di 'estetica linguistica', come io talvolta dico alle persone che mi chiedono 'che cos'è soprattutto?' " (Lettere:219-220). Poche persone prendono seriamente questa spiegazione. "Nessuno mi crede quando dico che il mio lungo libro è un tentativo di creare un mondo in cui una forma di linguaggio accettabile dal mio personale senso estetico possa sembrare reale," si lagnò Tolkien. "Ma è vero." - Lettere:264.

Dal primissimo inizio, c'erano due linguaggi principali nella sua miytologia: uno che suonava molto come il finlandese, e uno che era simile al gallese. Diversamente dalle loro ispirazioni, essi erano correlati ed erano derivati da un comune primitivo linguaggio. Il linguaggio simil-finnico fu chiamato "Qenya" fin dall'inizio; una piccola riforma ortografica è tutto ciò che è rimasto tra esso ed il suo nome finale. L'altro linguaggio fu originariamente chiamato Golgodrin o "Gnomico", esso era i-Lam na-Ngoldathon o "la favella degli Gnomi". (la sua forma posteriore, così pesantemente riveduta che esso non era più realmente lo "stesso" linguaggio, fu a lungo chiamata Noldorin; solo quando Tolkien ebbe completato SdA realizzò che il suo vero nome fosse Sindarin. Vedere sotto.) Il primo lessico Gnomico fu pubblicato pochi anni fa e passa per essere molto comprensibile, probabilmente il più completo "dizionario" che Tolkien abbia mai fatto per alcun linguaggio Elfico. Il dizionario "Qenya" fu finalmente pubblicato nel 1998 e passa per essere un altro documento molto comprensibile, come si può vedere dagli indici presentati in queste pagine (dalle glosse inglesi o vocaboli Qenya).
          Gli anni passarono e le storie del Silmarillion evolvettero, ma sembra che la rilevanza dei dizionari originali presto diminuì: le frequenti revisioni inevitabilmente li rendevano obsoleti. Nella seconda metà degli anni Trenta, comunque, Tolkien stese una lista di circa settecento "radici" di Elfico Primordiale e alcune delle loro derivazioni nei successivi linguaggi. Fu apparentemente questa lista, le cosiddette Etimologie, cui egli fece riferimento quando iniziò a scrivere Il Signore degli Anelli (salvo aggiungere alla lista alcuni termini e nomi da quest'opera, p.e. mith "grigio" e rhandir "pellegrino", che uniti danno Mithrandir). Le Etimologie furono pubblicate in versione integrale da Christopher Tolkien in The Lost Road p. 347-400. Una voce tipica si presenta più o meno così:

MBUD- project. *mbundu: Q mundo muso, naso, capo; N bund, bunn. Cf. *andambundâ dal lungo muso, Q andamunda elefante, N andabon, annabon.

Qui abbiamo diverse forme arcaiche (debitamente asteriscate come "inattestate") oltre le discendenze di queste forme in Q (Quenya) e N ("Noldorin", leggi: Sindarin). Ciò conduce alle tecniche usate da Tolkien nella concezione delle sue creazioni linguistiche. In che modo fu fatto?

Le tecniche di Tolkien

Christopher Tolkien descrive la strategia di suo padre come creatore di linguaggi in una frase formidabile: "Egli, dopotutto, non 'inventò' nuovi termini e nomi arbitrariamente: in principio, li concepì entro la struttura storica, procedendo dalle 'basi' o radici primitive, aggiungendo suffissi o prefissi o formando combinazioni, decidendo (o, come avrebbe detto, 'trovando') quando il vocabolo entrò nel linguaggio, seguendolo attraverso le modifiche regolari nelle forme cui sarebbe stato sottoposto, e osservando le possibilità di influenze formali o semantiche da altri vocaboli nel corso della sua storia." Risultato: "Una tale parola allora esisterebbe per lui, e la conoscerebbe." (LR:342)
          Come esempio di tale processo possiamo usare i numerali elfici. Consideriamo le radici primitive per le parole che indicano i numeri 1-10, oltre a quelle derivate da queste radici come appaiono in Quenya e Sindarin:

1: MINI: Q minë, S min
2: AT(AT): Q atta, S tad
3: NEL(ED): Q neldë, S neledh
4: KÁNAT: Q canta, S canad
5: LEPEN: Q lempë, S leben
6: ÉNEK: Q enquë, S eneg
7: OTOS/OTOK: Q otso, S odog
8: TOL-OTH/OT: Q tolto, S toloth
9: NÉTER: Q nertë, S neder
10: KAYAN/KAYAR: Q cainen, S caer

(C'erano anche radici per 11 e 12, poiché gli Elfi apparentemente usavano un sistema di conteggio duodecimale quasi dal momento in cui vennero ad esistere, ma queste sono sufficienti per il nostro scopo.) Si può osservare come Tolkien cambiò le radici originali secondo le regole fissate e computò quelle forme nelle successive lingue Elfiche. Per esempio, una regola è che in Sindarin p, t, k afone divengono b, d, g foniche quando seguono una vocale: così otteniamo leben dalla radice LEPEN, eneg da ÉNEK e neder de NÉTER. In Quenya, la regola è che le esplosive afone sono solitamente invariate, così in Alto Elfico abbiamo le forme lempë (dalla radice LEPEN- via *lepne e *lenpe?), enquë (i.e. enkwe) e nertë. D'altro canto, il Quenya ha una regola per cui la i corta finale diviene e alla fine delle parole, così abbiamo minë da MINI. Il Sindarin fa cadere la vocale per produrre min. Queste ed altre regole per variazioni sonore furono così disegnate in modo che i linguaggi risultanti ebbero il genere di musicalità che Tolkien cercava: uno prossimo alla fonologia "finnica", mentre l'altro venne a suonare molto simile al gallese.
          Christopher Tolkien nota come suo padre prese in considerazione "la possibilità di influenze formali o semantiche da altri vocaboli nel corso della loro storia". I numerali ci forniscono un esempio di ciò. Secondo le Etimologie, il termine Sindarin per "tre" era originariamente neledh come nell'elenco precedente. Ma più tardi divenne neled poiché esso fu "influenzato" da canad "quattro". (Si immagini un Elfo che conta min, tad, neledh, canad; un giorno invece egli dice già neled, canad!)

Ma non importa quanto Tolkien giocasse con variazioni foniche e non solo inventando nuovi termini e nomi arbitrariamente, le parole devono comunque provenire da qualche parte. Erano, dopotutto, effettivamente arbitrarie? Spesso no. Quando Tolkien fu intervistato dal Daily Telegraph nel 1968 e ottenne di leggere una versione preliminare dell'intervista prima che fosse stampata, egli fu inorridito nello scoprire di aver detto: "Quando si inventa un linguaggio, più o meno lo si acchiappa nell'aria. Si dice boo-hoo e ciò significa qualcosa." Non era propriamente ciò che intendeva realmente; non era sicuro d'aver detto quello. Egli spiegò attentamente d'aver ideato parole basate su predilezioni personali, guidato dal pensiero che fossero foneticamente adatte (Letters:375). Si può discutere su quanto "personali" fossero tali associazioni. Molti saranno probabilmente d'accordo sul fatto che alcune parole Elfiche in uno strano modo sembrano affatto adattarsi al loro significato: elen "stella", menel "cielo", vanya "bello", wen o wendë "principessa", lótë "fiore", masta "pane". (Ovviamente si puè essere in disaccordo: il sottoscritto pensa che MOR, la ben nota radice per "nero", suoni invece come bruno - e come Tolkien potè pensare che carnë significhi "rosso"? Per me, la parola suona verde!)
          Tolkien ha spiegato le basi di alcune delle sue predilezioni: "L'elemento (n)dor 'terra', probabilmente deve qualcosa a nomi come Labrador (un nome che potrebbe, quanto a stile e struttura, essere Sindarin)" (Lettere:383-4). Egli ci dice anche come GON(O), GOND(O) fosse la radice Elfica per "roccia, pietra" (come in Gondor "terra rocciosa", Gondolin "musica delle pietre"): quando aveva otto anni, Tolkien lesse un libro che affermava che nulla è noto dei linguaggi delle tribù pre-Celtiche e pre-Romane, eccetto la possibilità che ond stesse per "pietra". Il giovane John Ronald Reuel ritenne questa parola "adatta al suo significato", così la ricordò e la adoperò nei suoi linguaggi "fatti in casa" molti anni dopo: il Sindarin gond o gonn, il Quenya ondo. (Lettere:410. Il libro da cui Tolkien attinse il vocabolo ond fu finalmente identificato in Vinyar Tengwar #30: Celtic Britain del Professor John Rhys, che secondo Carl F. Hostetter e Patrick Wynne "consiste di oltre 300 fitte pagine e non tralascia alcuna discussione etimologica, alcun passaggio latino intradotto, alcuna parola greca non traslitterata". Questo è ciò che Tolkien preferiva leggere all'età di otto anni.)
          Molte parole "elfiche" passano per essere scelte da un'ampia varietà di fonti: "bocca" è ebraica, "no, non" è arabica, nér "uomo" dalle ricontruzioni della lingua Indo-Europea, ken- "vedere" è simile al cinese kan, e roch "cavallo" ha reminiscenze dal verbo ebraico râkháv "cavalcare". La radice ÑGAR(A)M "lupo" produce (assieme al Quenya narmo e al Sindarin garaf) la parola Doriathrin garm, ma Garm è uno dei nomi dei mostruosi Fenris-wolf ossessione della mitologia norvegese. Non solo il norvegese antico, ma anche i moderni linguaggi scandinavi sembrano essere raporesentati: il Quenya varya "proteggere" è sospettosamente simile al norvegese verge, verje; "freccia" è pil in scandinavo e pilin in Quenya, e mentre il Quenya mat-/Sindarin medi significa "mangiare", il norvegese/svedese mat, il danese mad significano "cibo"! Dato per assodato che una delle pricipali influenze nei linguaggi di Tolkien fu quella finnica, non meraviglia che Quendi come nome degli Elfi abbia qualcosa a che fare con kvener, un vecchio nome scandinavo dei finnici. Se c'è qualche fattore interno che mostri come i linguaggi di Tolkien siano di fantasia, dev'essere il fatto che alcuni "plagi" possono essere rintracciati sul vocabolario. Ma Tolkien disponibilmente ammette che non tentò di evitare l'influenza delle parole dei linguaggi reali. Dopotutto, egli creò linguaggi per suo puro diletto, non per burlarsi degli altri e far credere che essi fossero "reali".
          Quando concepì i pochi frammenti di linguaggi non-Elfici, come la Lingua Nera di Sauron e anche la favella Adûnaica (elaborata nella struttura ma non nel vocabolario), Tolkien fu probabilmente meno riluttante nell'ideare semplicemente parole in modo arbitrario. O così pensava. La parola della Lingua Nera nazg "anello" (come in Nazgûl, Spettri dell'Anello) sembra essere un'inconscia presa a prestito dal gaelico nasc dallo stesso significato (Lettere p. 385). In cambio la Lingua Nera fu costruita per essere brutta quanto era possible che lo fosse, e a Tolkien non piaceva il gaelico (ancora un altro esempio del suo raffinato gusto linguistico - eccetto che per i madrelingua, quante persone sono in grado di parlare separatamente gaelico e gallese?)
          Tolkien insistette sul fatto che "tutti i nomi nel libro, e i linguaggi, sono ovviamente costruiti, e non a caso" (Lettere:219). Ecco qui alcuni nomi "casuali". Una nota riprodotta in The War of the Jewels p. 318 suggerisce che Tolkien non sapeva cosa significassero i nomi Amloth ed Ecthelion quando li adoperò la prima volta, ma siccome essi "suonano gradevolmente e sono stati stampati", egli prese tempo per trovare che cosa significassero. Ma per il nome Eöl si rivelò troppo difficile: "Non è in realtà assolutamente necessario che i nomi abbiano significato"! (The War of the Jewels p. 320.)

La discutibile domanda sulla stabilità

Comunque, i linguaggi di Tolkien cambiarono in modo diverso che non le simulate modifiche entro la storia immaginata. In The Monsters and the Critics p. 218-19, Tolkien osserva che "se si costruisce un linguaggio artefatto secondo principi scelti", si possono scrivere poesie in quel linguaggio - "così come sono fissati, e nel coraggioso rispetto delle proprie regole, resistendo alla tentazione del supremo despota di alterarle".
          Tolkien non ebbe coraggioso rispetto delle sue proprie regole. Tolkien non resistette alla tentazione del supremo despota.
          Egli non giunse mai a "completare" veramente i suoi linguaggi. L'unica cosa che finalmente assicurò totale stabilità fu la loro demise nel 1973. In Sauron Defeated p. 240, il personaggio di Tolkien Lowdham parla per Tolkien stesso: "Nella creazione di un linguaggio si è liberi: troppo liberi. È difficile dare un appropriato significato ad ogni dato vocalizzo, e ancora più difficile adattare ogni vocalizzo a un dato significato. Dico adattare. Non intendo dire che si possano assegnare forme o significati arbitrariamente, come si vuole. Diciamo di volere una parola per cielo. Bene, chiamiamolo jibberjabber, o qualsiasi altra cosa venga in mente senza l'esercizio di alcun gusto o arte linguistica. Ma questa è codifica, non costruzione linguistica. È poi un altro problema trovare una positiva relazione, tra suono e senso, che soddisfi, che una volta fatta sia durevole. Quando si inventa soltanto, il piacere o divertimento si ha nel momento dell'invenzione; ma siccome se ne è padroni ogni capriccio è legge, e si può volere che il divertimento sia sopra ogni altra cosa, per forza. Si è responsabili d'esser quanto mai pignoli, alterati, raffinati, ondivaghi, secondo il proprio umore linguistico e i propri cambiamenti nei gusti."
          Questo è precisamente ciò che Tolkien stesso fece. Per tutta la sua vita tenne revisioni, revisioni, revisioni. Nelle parole di suo figlio, "le storie linguistiche furono...inventate da un inventore, che era libero di cambiare queste storie così com'era libero di cambiare la storia del mondo in cui esse ebbero luogo, e lo fece così abbondantemente... Inoltre, le alterazioni nella storia non furono confinate in caratteristiche di sviluppo linguistico 'interiore': la concezione 'esteriore' dei linguaggi e le loro relazioni subirono modifiche, anche profonde" (LR:341-342).
          Il Sindarin è buon esempio di idee cambiate sulla storia esteriore dei linguaggi. Lo scenario illustrato nelle appendici di SdA mostra che questo è il linguaggio dei Sindar, gli Elfi Grigi - gli Elfi che giunsero nel Beleriand da Cuiviénen, ma non si recarono oltre il mare in Valinor. Ma nelle note di Tolkien antecedenti SdA, il Sindarin è chiamato Noldorin, e prima ancora Gnomico, poichè era il linguaggio dei Noldor o "Gnomi", gli "Elfi Saggi". Fu sviluppato in Valinor, mentre il Quenya nel primo scenario era il linguaggio dei Lindar, la prima delle tre schiere degli Eldar (a complicare ulteriormente le cose, i Lindar più tardi furono rinominati e divennero i Vanyar, mentre Lindar divenne un nome della terza schiera, i Teleri...). Ma allora Tolkien doveva aver compreso che gli Elfi, immortali e tutto il resto, dificilmente avrebbero sviluppato linguaggi radicalmente differenti mentre vivevano fianco a fianco in Valinor. Così, secondo lo scenario riveduto, Vanyar e Noldor parlavano entrambi Quenya con qualche minore differenza dialettale, mentre il linguaggio "Noldorin" che Tolkien aveva già ideato fu semplicemente ribattezzato Sindarin, trasferito da Valinor alla Terra di Mezzo e ricollocato laggiù sulle bocche delgi Elfi Grigi. Era, ovviamente, più plausibile che essi avessero sviluppato un linguaggio molto differente dal Quenya, essendo stati separati dal loro ceppo in Valinor per migliaia di anni. Christopher Tolkien commenta, "giunse così lontano questa riforma che le preesistenti strutture linguistiche furono immesse nel nuovo intreccio storico e ad esse furono dati nuovi nomi" (LR:346).
          Ma anche il vocabolario, la fonologia e la grammatica dei linguaggi fu ripetutamente riveduta. Si considerino queste righe da un primevo poema "Qenya", pubblicato in MC:213-14:

Man kiluva lómi sangane,
telume lungane
tollalinta ruste,
vea qalume,
mandu yáme,
aira móre ala tinwi
lante no lanta-mindon?

"Chi vedrà radunarsi le nuvole, i cieli curvarsi su colline che si sgretolano, il mare ingrossarsi, l'abisso spalancarsi, l'antica tenebra oltre le stelle cadere su torri cadute?"
Fu scritto nel 1931. Molto più tardi, probabilmente negli anni Sessanta o anche (necessariamente) nei primi anni Settanta, Tolkien riscrisse questo poema. Lo tradusse letteralmente dal primitivo "Qenya" in un maturo "Quenya", Quenya essendo il linguaggio com'era divenuto dopo trent'anni di revisioni. Ora queste righe si presentano così (MC:222), benché il loro significato sia sempre lo stesso:
Man kenuva lumbor ahosta
Menel akúna
ruxal' ambonnar,
ëar amortala,
undume hákala,
enwina lúme elenillor pella
talta-taltala atalantië mindonnar?
Come si vedrà, la sola parola immutata in ambedue i testi è man "chi"; così anche la desinenza futura -uva in kiluva > kenuva "vedrà". È una questione aperta se un Elfo che parla il "Qenya" degli anni Venti e dei primi anni Trenta possa essere in grado di seguire una conversazione in buon Quenya.
          Non solo i vocaboli, ma del pari le strutture grammaticali furono soggette a revisione. Nelle Etimologie, ci sono piuttosto scarsi esempi in "Qenya" aventi un genitivo in -n, p.e. Ar Manwen "giorno di Manwë" (LR:368). Ma nel SdA pubblicato, -n è divenuto il suffisso dativo, mentre il genitivo ora termina in -o. Forse che il suffisso -o suona più "genitivale" che non -n ? Un giorno, Tolkien deve aver deciso così.
          Alcuni vocaboli hanno completamente invertito il loro significato. Abbiamo studiato che gli Avari sono gli Elfi che rifiutarono di lasciare Cuiviénen e andare a Valinor. Ma le Etimologie mostrano che Tolkien originariamente intendeva Avari come il nome degli Elfi che andarono a Valinor! Il nome Fëanor esisteva in uno stadio molto antico, ma non significò sempre "Spirito di Fuoco", come è tradotto nel Silmarillion. Nelle Etimologie è interpretato come "Sole raggiante", dall'antico *Phay-anâro (LR:381). Prima di ciò, nel vocabolario primario, significava "fabbro" (The Book of Lost Tales I, p. 253).
          Anche quando qualcosa fosse già apparso in stampa, Tolkien non potè sempre resistere alla tentazione di manometterlo. Nella prima edizione di SdA, il saluto di Frodo a Gildor era elen síla lúmenn' omentielmo. Più tardi Tolkien decise che l'ultima parola doveva invece essere omentielvo , e questa forma fu usata nelle successive edizioni. (Uno dei pionieri nello studio dell'Elfico, Dick Plotz, fu choccato nel vedere la nuova forma. Egli pensò che l'editore americano, Ballantine, avesse commesso un errore e fece pressione per farlo correggere. Nell'edizione seguente l'editore - necessariamente incompentente in tale materia - introdusse la variante omentilmo, che non significa nulla: a volte nobili sforzi possono sortire tristi conseguenze!)
          Nondimeno: le maggiori modifiche e revisione indubitabilmente avvennero nella prima metà degli anni Trenta. Riguardo all'originale linguaggio "Gnomico" del 1915 o suppergiù, l'anziano Tolkien lo considerò meramente un "linguaggio che in ultimo divenne quello di tipo chiamato Sindarin", e il suo primigenio "Qenya" è ora ritenuto "molto primitivo" (The Peoples of Middle-earth p. 379). Ma con l'apparizione delle Etimologie a metà degli anni Trenta, la forma quasi definitiva di Q(u)enya e "Noldorin" = Sindarin fu messa in campo, e i rimanenti quarant'anni della vita di Tolkien trascorsero in pignolerie sui dettagli.

Studenti, imitatori, satirici e scrittori

Quale, allora, il prezzo dei linguaggi di Tolkien oggi, quando un quarto di secolo è passato da quando il loro autore si recò nelle aule di Mandos? Alcuni di noi si sono sobbarcati lo studio dell'Elfico, forse un po' con la stessa attitudine con cui la gente si diverte con un cruciverba ben fatto: proprio il fatto che nessuna grammatica elfica scritta da Tolkien sia mai stata pubblicata lo rende un'affascinante sfida a "break the code". O può essere puro romanticismo, una speciale forma di immersione letteraria: con lo studio dei linguaggi Eldarin, si tenta di farsi simili - proprio al loro livello mentale - agli immortali Elfi, saggi e giusti, i Primogeniti di Eru Ilúvatar, tutori dell'umanità ai suoi albori. O, meno romanticamente, si vogliono studiare le costruzioni di un talentuoso linguista e il processo creativo di un genio occupato nel suo amato lavoro. E a molti semplicemente piacciono i linguaggi elfici come a uno può piacere la musica, come elaborati e (secondo il gusto di molti) gloriosamente fortunati esperimenti di eufonia. Qualunque sia la motivazione dello studente, lo studio è indubitabilmente istruttivo: per descrivere propriamente i linguaggi di Tolkien, si devono acquisire informazoni ricche di terminologia linguistica. (Il sottoscritto ha avuto appena intima familiarità con tali termini e concetti come allativo, ablativo, locativo, svarabhakti, assimilazione, lenizione e molto più di quanto non abbia avuto bisogno, nei miei studi di Elfico. Una volta ho impressionato uno dei miei lettori con la mia conoscenza dei modelli di lenizione gallese. Come poteva sapere che i miei esempi erano invero basati sul Sindarin?) È anche stato suggerito che qualcosa dell'acume di Tolkien come linguista sia sepolto nei suoi linguaggi, in attesa di essere dissotterrato. Il Modern Language Association International Bibliography ha ritenuto che lo studio dell'Elfico fosse sufficientemente serio per loro da registrare Vinyar Tengwar, la news letter dell'Elvish Linguistic Fellowship, nel suo indice.
          Inoltre, può essere facilmente dimostrato che la nomenclatura de Il Signore degli Anelli ha ispirato altri scrittori fantasy - in questo genere, nomi che spesso hanno uno stile distintamente celtico o gallese. Possiamo anche trovare dirette prese a prestito di morfemi. Leggendo tali esempi come Eriador, Gondor, Mordor etc. alcuni hanno evidentemente dedotto che l'elemento -dor significa "terra", e nei racconti fantastici, spesso si incontrano alcuni paesi che hanno nomi in -dor. Cfr. per esempio la terra dorata di Alan Gardner Elidor. Esiste un fumetto fantasy norvegese, Ridderne av Dor or "I cavalieri di Dor", che satireggia questo fenomeno: i paesi hanno nomi come Kondor, Matador e Glassdor! Parodie invero apparse già mentre Tolkien era in vita; si consideri questa, ahem, versione di A Elbereth Gilthoniel da Bored of the Rings. Autorevoli studiosi di Elfico, inclusi Arden R. Smith e Anthony Appleyard, hanno analizzato questo testo tanto seriamente quanto non merita.
          Tentativi più seri di scrivere testi Elfici - soprattutto in versi - sono stati anche pubblicati, negli anni. Da adesso è divenuto certamente possibile mettere assieme una piccole antologia di tali composizioni. Ora, un piccolo corpus di letteratura Elfica esiste. Ovviamente, non c'è modo di conoscere cosa Tolkien avrebbe pensato di tali recenti testi scritti. Si può a stento dubitare che se egli dovesse mai tornare dall'aldilà, sarebbe presto indaffarato con una matita rossa.
          Ma come le carte di Tolkien sono state pubblicate, e la nostra conoscenza di Quenya e Sindarin diviene ancora più completa - il salto è ancora enorme - potrebbe divenire possibile scrivere lunghi testi in Elfico. Nel suo giornale Tyalië Tyelelliéva, Lisa Star ha audacemente dichiarato che "l'ultima meta è la rinascita dei linguaggi Elfici nel parlato, nello scritto e nell'arte". Sia realistico o no, Tolkien lo merita: un'intera vita di lavoro è stata lasciata sulla lunga strada dal Nevbosh al Quenya e al Sindarin. Sarebbe il monumento finale agli sforzi di Tolkien se i suoi amati linguaggi potessero essere portati in vita - e invero sarebbe l'unico monumento adatto a un uomo che ha inventato un intero mondo solo per avere un posto dove una persona potesse salutarne un'altra con le parole Elen síla lúmenn' omentielvo.

Ardalambion