Canto di Fíriel

di helge Fauskanger - traduzione di Gianluca Comastri

Questo è un lungo (pressoché 90 parole) canto Quenya trovato in LR:72 (anche alcuni frammenti in LR:63). Esso fu scritto circa nel 1940. Tolkien non ne fornì il titolo ufficiale, ma nella narrazione per la quale egli scrisse il canto, esso era cantato da una donna di nome Fíriel. Perciò esso è universalmente noto come il Canto di Fíriel. Il linguaggio di questo canto è quello che io chiamerei Quenya "quasi maturo", o tardo "Qenya". Non è proprio la stessa specie del Quenya come il linguaggio che conosciamo da SdA e fonti successive, ma Tolkien propose quello. Egli aveva già percorso molta strada da quando il "Qenya" nella sua forma più primitiva per la prima volta si manifestò nel Lessico Qenya un quarto di secolo prima, nel 1915.

Canto di Fíriel, con traduzione di Tolkien inframmezzata:

1. Ilu Ilúvatar en káre eldain a fírimoin
Il Padre creò il Mondo per Elfi e Mortali
2. ar antaróta mannar Valion: númessier.
e lo diede nelle mani dei Signori. Essi stanno all'Occidente.
3. Toi aina, mána, meldielto - enga morion:
Essi sono santi, benedetti, e amati: salvo quello oscuro.
4. talantie. Melko Mardello lende: márie.
Egli è caduto. Melko [Melkor] se ne è andato dalla Terra: ciò è bene.
5. En kárielto eldain Isil, hildin Úr-anar.
Per gli Elfi essi crearono la Luna, ma per gli Uomini il Sole rosso;
6. Toi írimar. Ilyain antalto annar lestanen
che sono belli. A tutti essi diedero in giusta misura i doni
7. Ilúvatáren. Ilu vanya, fanya, eari,
di Ilúvatar. Il Mondo è leggiadro, il cielo, i mari,
8. i-mar, ar ilqa ímen. Írima ye Númenor.
la terra, e tutto ciò che è in essi. Incantevole è Númenor.
9. Nan úye sére indo-ninya símen, ullume;
Ma il mio cuore non riposerà qui per sempre,
10. ten sí ye tyelma, yéva tyel ar i narqelion,
perché qui è l'epilogo, e vi sarà una fine e l'Estinzione,
11. íre ilqa yéva nótina, hostainiéva, yallume:
quando tutto è valutato, e tutto infine enumerato,
12. ananta úva táre fárea, ufárea!
ma ancora non sarà sufficiente, non sufficiente.
13. Man táre antáva nin Ilúvatar, Ilúvatar
Che mi darà il Padre, O Padre,
14. enyáre tar i tyel, íre Anarinya qeluva?
in quel giorno oltre la fine quando il mio Sole cadrà?

Dacché questo non è dopotutto Quenya maturo, non ho regolarizzato l'ortografia al sistema che Tolkien più tardi usò in SdA. Perciò abbiamo k piuttosto che c, q piuttosto che qu, e non vi sono dieresi sopra le finali e etc. (táre, non tárë).

Il testo sopra incorpora alcune modifiche a opera di Tolkien (menzionate, ma non direttamente incorporate in LR:72). Le lezioni varianti sono discusse nell'analisi sotto. Solo una delle modifiche a opera di Tolkien qui è ignorata: per Melko (Melkor) alla riga 4, egli decise di sostituire Alkar. Ma tale nome per il diavolo dei suoi miti fu alfine rigettato, mentre Melko è ancora una valida alternativa a Melkor in Quenya maturo (vedere sotto).

Una caratteristica grafica qui non può essere riprodotta: In LR:72 (ma non in LR:63), vi è un punto sotto la vocale finale del vocabolo káre alla riga 1 e del vocabolo íre alle righe 11 e 14. Non sappiamo precisamente cosa si suppone che ciò significhi. La miglior teoria è forse che il punto indichi che tali vocali finali debbano essere elise e non pronunciate (il vocabolo successivo inizia in una vocale in tutti e tre i casi, e in tale condizione, l'elisione potrebbe facilmente occorrere).

Analisi parola per parola

1. Ilu Ilúvatar en káre eldain a fírimoin "Il Padre creò il Mondo per Elfi e Mortali": Ilu "il Mondo" (il vocabolo Quenya sembra valere come un nome proprio, così l'articolo i "il" non è richiesto). Ilu, ilu è definito sia come "il mondo" (LR:47, 56, 72), "universo" (LR:361 s.v. IL), che come "ogni cosa, tutto, l'insieme" (dell'universo compreso anche Dio e tutte le anime e gli spiriti, i quali non sono propriamente inclusi nel termine ; vedere VT39:20). Altrimenti, la normale traduzione Quenya di "mondo" sembra essere ambar (in SdA troviamo il termine Ambar-metta, la Fine del Mondo). Ilúvatar è qui tradotto "il Padre", ma questo è naturalmente il normale termine Quenya per "Dio" (il nome Eru, l'Uno, essendo riservato per le occasioni più solenni). Ilúvatar significa "Padre del Tutto", un composto di ilúvë "totalità, il tutto" (correlato con ilu) e atar "padre". en è un vocabolo che sfida certe interpretazioni. Esso ricorre due volte nel Canto di Fíriel, e non altrove. Non sembra corrispondere ad alcunché nella traduzione inglese di Tolkien. Un'opinione è che en significhi "esso", cosicché Ilu Ilúvatar en káre è letteralmente "il mondo (-) Ilúvatar lo creò". Ma ciò sembra assai dubbio. Naturalmente, vi sono stati tentativi di connettere tale parola en alla base EN nelle Etimologie (LR:356), definita come "laggiù, coloro". Etim attestano anche (LR:399 s.v. YA) che "en coloro (...) di temp che punta al futuro". Anthony Appleyard prende en per intendere "allora", ed il suggerimento è stato posto anteriormente al suo uso nella frase "il Padre creò il Mondo per Elfi e Mortali" indica che il mondo non esisteva per essere "usato" dagli Elfi e dai Mortali immediatamente, ma che qualche tempo (effettivamente molto tempo) passò tra la creazione e l'apparizione di queste stirpi. Così, l'elemento en dovrebbe "puntare al futuro". káre "creò", tempo passato di kar- "creare". Questa specie di passato (formato dall'allungamento della radice vocalica e aggiungendo la desinenza -e) è spesso trovato nel primevo "Lessico Qenya" (1915), ove la forma káre è effettivamente elencata (p. 45). Comunque, sembrerebbe che Tolkien decise di limitare l'uso di tale formazione passata. Láve come il passato di lav- "leccare" fece questo in Namárië in SdA, ma il tempo passato di kar- "fare, creare" dovrebbe piuttosto essere karne (carnë) in Quenya maturo, e tale passato è effettivamente menzionato nelle Etimologie (LR:362 s.v. KAR). eldain "per Elfi", dativo plurale di elda "elfo". Sembra che elda sia qui usato nel senso generale "Elfo", sebbene tale termine propriamente escluda gli Avari. a "e"; il testo altrimenti usa ar (righe 2, 8, 10), e soltanto ar è attestato in Quenya maturo. È stato suggerito che a sia preferito quando il vocabolo successivo inizia in f (sebbene sia lungi dall'esser certo che tale idea sia valida in tardo Quenya). La prima a in ananta "eppure, seppure" alla riga 12 può anche esseree una congiunzione prefissa "e"; vedere sotto. fírimoin "per Mortali", dativo pl. di fírimo "mortale" (sostantivo), a sua volta una forma nominalizzata dell'aggettivo fírima "mortale" (LR:381 s.v. PHIR). Tolkien eventualmente rimpiazzò la forma esplicitamente nominalizzata fírimo con Fírima (pl. nominale Fírimar, "quelli proclivi a moriree", WJ.387); in altri vocaboli, egli semplicemente usò ed infletté l'aggettivo come un sostantivo. Se Tolkien avesse pure tradotto il Canto di Fíriel in Quenya maturo, avrebbe senza dubbio emendato fírimoin in fírimain.

2. ar antaróta mannar Valion: númessier. "e lo diede nelle mani dei Signori. Essi stanno all'Occidente": ar "e". antaróta "lo diede". Gli elementi sono chiaramente anta, la radice del verbo "dare" (menzionata in LR:341 s.v. ANA1), -ro suffisso pronominale "egli" (accentato -ró-), più una desinenza -ta "esso" (cfr. LR:389 s.v. TA). Tale desinenza può essere stata rimpiazzata da -s in Quenya maturo; cfr. un vocabolo come utúvienyes "l'ho trovato" (utúvië-nye-s "aver trovato-io-esso") in SdA, non *utúvienyéta. Stranamente, non sembra esservi alcun marcatore del tempo passato in antaróta, sebbene esso sia tradotto "lo diede". Forse questo è effettivamente un esempio di un "presente istorico", antaróta indicando realmente "egli lo dà" (il marcatore presente -a dovrebbe essere invisibile quando suffisso ad una radice già terminante in -a, come anta). mannar "nel(le) mani". Questo è "mano" con la desinenza plurale allativa -nnar (sg. -nna) "a, nel" (plurale a denotare diverse mani). Osservare che la lunga á in diviene una corta a prima del gruppo di consonanti nn; sembra che la fonologia Quenya normalmente non permetta una vocale lunga prima di un gruppo (può essere che ry nel vocabolo máryat "le sue mani" in Namárië in qualche modo valga per una singola consonante, r palatalizzata, consentendo a á di rimanere lunga prima di essa). Valion "dei Signori" (Vali, Valar). Nella visione di Tolkien del Quenya, la forma Vali era sempre un'alternativa a Valar come la forma plurale di Vala "potenza angelica, dio" (LR:350 s.v. BAL, QL:99). Qui, la desinenza genitiva plurale -on è stata aggiunta ad esprimere "dei Signori" (sicuramente anche Valaron sarebbe possibile). Il testo Quenya non ha l'articolo i "i" prima di Valion, sebbene un articolo sia fornito nella traduzione inglese di Tolkien di tale vocabolo ("dei Signori"). Sembra che il Quenya non usi l'articolo prima di parole plurali che si riferiscono a interi popoli o "specie"; cfr. un esempio molto più tardo, la frase Valar valuvar "sia fatto il volere dei Valar" (WJ:404). Si noterà che non vi è realmente un articolo prima del vocabolo "Valar" nella frase Quenya, sebbene ve ne sia uno nella traduzione di Tolkien. númessier "essi stanno all'Occidente". Tale parola fornisce il primo esempio di una rimarchevole invenzione grammaticale che è impiegata cinque volte nel Canto di Fíriel: la desinenza verbale stativa. Essa è invero la peculiarità più caratteristica di tale testo; non vi è traccia di questa desinenza in alcun altro documento disponibile, eccetto la sola domanda Man-ie? "Che cos'è?" dalla narrazione di cui il Canto di Fíriel era originariamente una parte (LR:59). Come per númessier, il vocabolo sottostante è chiaramente númesse, "all'Occidente", il locativo di Númen "Occidente" (la finale -n di Númen essendo spiazzata dalla desinenza locativa -sse "in"). Ma a questa parola, è aggiunta una desinenza -ie "è" (pl. -ier "(essi) sono"), producendo la forma númessier "(essi) stanno all'Occidente". Tale desinenza -ie chiaramente corrisponde alla parola indipendente ye "è", trovata anche successivamente nel Canto di Fíriel (írima ye Númenor = "incantevole è Númenor", sí ye tyelma "qui è l'epilogo"; vedere sotto). Un buon esempio di un verbo stativo è fornito dal vocabolo márie "ciò è bene" in riga 4, derivato da mára "buono" (LR:371 s.v. MA3, MAG; osservare che la desinenza stativa verbale -ie sembra spiazzare la vocale finale di una parola cui è aggiunta). La desinenza stativa verbale è valida in Quenya maturo? Essa è stata usata quantomeno da uno scrittore, Ivan Derzhanski, nel suo poema Lá ilqua i maltie kalta ("Non tutto quel ch'è oro brilla" - osservare maltie "è oro" da malta "oro"), pubblicato in Vinyar Tengwar #38. Tuttavia, io stesso non userei tale desinenza. Come puntualizza Anthony Appleyard, Tolkien "parimenti rigettò `-ie' come 'è' in quanto `-ie' ha troppi altri usi, rischiando ambiguità". Osservare che in Namárië in SdA, la frase "perso è" è espressa come vanwa ná, non **vanwie.

Invece di Valion: númessier "dei Signori. Essi stanno all'Occidente", Tolkien originariamente scrisse Valion númenyaron, tradotto "dei Signori dell'Occidente". Il significato letterale del termine númenyaron sembrerebbe essere, non "dell'Occidente", ma "di (quelli dell') occidente" - riferendosi a popoli o terre. Le Etimologie elencano un aggettivo númenya "occidentale" (LR:376 s.v. NDÛ). Qui esso è inflesso come un sostantivo, con la desinenza plurale -r e la desinenza genitiva plurale -on. Una fonte posteriore conferma che il caso genitivo può essere usato a descrivere le relazioni tra i regnanti ed i sudditi (popoli o terre): Elwë, Aran Sindaron/Lestanórëo, "Elwe, Re dei Sindar/del Doriath)" (WJ:369).

3. Toi aina, mána, meldielto - enga morion: "Essi sono santi, benedetti, e amati: salvo quello oscuro": Toi "essi", un pronome trovato soltanto in questo canto (anche alla riga 6). Se si puè prestar fede alle analogie, fonti successive puntano piuttosto a *entë come la parola in Quenya maturo per "they"; in SdA troviamo anche te per l'oggetto "essi", ed esso può anche coprire il soggetto "essi". aina "sacro". mána "benedetto". meldielto *"essi sono amati". Questo è un altro verbo stativo, derivato da melda "amato, caro" (LR:372 s.v. MEL). La desinenza -ie per "è, sono" è stata aggiunta, regolarmente spiazzando la vocale finale di melda. L'intera frase toi aina, mána, meldielto è forse una sorta di abbreviazione per *toi ainielto, mánielto, meldielto, con tutti gli aggettivi volti in verbi stativi con completa inflessione pronominale: gli aggettivi aina e mána sono svincolati da meldielto, per così dire; è da intendersi che la desinenza del verbo stativo -ie e l'elemento pronominale -lto si applicano all'intera serie di aggettivi. Questa è probabilmente anche la spiegazione del perché gli aggettivi aina e mána non sono inflessi: qui they dovrebbero essere plurali, ed in tale variante "Qenya", gli aggettivi plurali prendono la desinenza -r: comparare toi írimar, *"essi [sono] belli", alla riga 6 (írima = "bello, attraente", vedere la riga 8). Se non v'è *toi ainar, mánar qui, è certamente in quanto il verbo stativo meldielto è anticipato. L'intera serie può essere presa come una specie di lasco composto (*toi aina-mána-meldielto, "essi santi-benedetti-amati-sono"). La desinenza -lto usata qui, come un (semanticamente superfluo) ulteriore "essi" alla fine della proposizione, è anche trovato in LT1:114: Tulielto, "essi sono venuti". Tale vocabolo data dal periodo più antico (before 1920), ed è interessante vedere che la desinenza -lto "essi" era ancora valida circa vent'anni dopo, quando il Canto di Fíriel fu scritto. Comunque, non sembra che tale desinenza si sia fatta in Quenya maturo: un testo post-SdA, Il giuramento di Círion, punta a -nte come alla desinenza pronominale "essi" in Quenya maturo (UT:305, 317). enga "salvo" (= eccetto). Tale termine è attestato soltanto qui. Un saggio successivo menziona hequa come un vocabolo in Quenya maturo per "lasciando a parte, non contando, escludendo, eccetto" (WJ:365), ma naturalmente, enga può ancora esser valido. morion "quello oscuro" (Melko, Melkor). Tale vocabolo è anche trovato nell'iniziale "Lessico Qenya" (1915), ove era definito come "figlio della tenebra" (p. 62), ma là non è chiaro a cosa si riferisse. La desinenza -ion potrebbe significare "figlio" anche nel Canto di Fíriel (così come in tardo Quenya), ma dacché la parola è tradotta "quello oscuro", è possibile che Tolkien qui avesse in mente un'altra etimologia: *mori-on(d)-, sc. morë (mori-) "oscurità" (cfr. LR:373 s.v. MOR) combinata con la desinenza maschile -on(d)-.

4. talantie. Melko Mardello lende: márie. "Egli è caduto. Melko [Melkor] se n'è andato dalla Terra: ciò è bene". (Nella prima versione del canto, l'ordine delle parole era Mardello Melko invece di Melko Mardello, ma ciò non incide sul senso.) talantie "egli è caduto". La traduzione suggerisce che questo sia un altro verbo stativo, derivato con l'ormai familiare desinenza -ie "è" da un aggettivo *talanta "caduto". Nessun elemento pronominale effettivamente indicante "egli" sembra essere presente. Tuttavia, dacché -ie è anche la desinenza del tempo perfetto, dovremmo considerare la possibilità che talantie non sia affatto un verbo stativo, ma piuttosto il tempo perfetto della radice talat- usato per "che scivola, che scorre, che cade" (Lettere:347). Il passato di una simile radice può essere *talante con infissione nasale, ed il perfetto probabilmente talantie. L'infissione nasale non sembra occorrere regolarmente nel tempo perfetto (cfr. per esempio irícië, non **irincië, come il tempo perfetto di ric- "torcere", VT39:9). Comunque, abbiamo pochi esempi di infissione nasale nel tempo perfetto, come oantie come tempo perfetto di auta- "andare via, lasciare" (WJ:365). È possible, dunque, che talantie sia inteso come un perfetto, letteralmente indicante *"egli è caduto" piuttosto che "egli sta cadendo". Melko è il name del diavolo nei miti di Tolkien, normalmente chiamato Melkor in testi posteriori, ma MR:350 conferma che Melko è ancora una forma valida in Quenya maturo. Tuttavia, l'interpretazione di Tolkien del nome differisce con gli anni. Nella fonte primeva, il Lessico Qenya del 1915, Melko era semplicemente definito come "Dio del Male" [riporto la traduzione fedele dell'originale, pur dissociandomene; non è pensabile associare al nome di Dio il fomite di ogni corruzione, N.d.T.] (p. 60), senza considerazioni etimologiche. Nelle Etimologie della metà degli anni Trenta, il nome è derivato da una radice MIL-IK avente a che fare con lussuria e brama (LR:373). Ma nei suoi anni più maturi, Tolkien affermò che Melko significa semplicemente "Il Possente" (MR:350). Il nome più lungo Melkor indica "Possanza-risalita", "Colui che si leva in Possanza". Mardello *"dalla Terra", la desinenza ablativa -llo "da" essendo aggiunta ad un sostantivo mar (radice mard-) "Terra", una vocale connettiva e che appare tra la radice e la desinenza ad evitare un impossibile gruppo di consonanti (cfr. la e prima di -nna "a" i Elendilenna "a Elendil", PM:401). Il sostantivo mar "Terra" ricorre anche alla riga 8. lende "andato". Tale passato irregolare di una parola per "andare" è attestato in vari luoghi, sebbene vi siano alcune discrepanze riguardo al presente di tale verbo. Nelle Etimologie, la forma lende è dapprima data sia come il passato di lesta- (LR:356 s.v. ELED), che come il passato di linna- (LR:368 s.v. LED), ambedue questi verbi significano "andare". Il saggio posteriore Quendi ed Eldar introduce ancora un altro verbo "andare", lelya-, sebbene il tempo passato sia ancora lende (WJ:363). - L'intera frase Melko Mardello lende è letteralmente "Melko dalla Terra se ne andò", sebbene la traduzione di Tolkien reciti "Melko se n'è andato dalla Terra"; il testo Qenya usa il passato, non il presente. márie "ciò è bene", effettivamente semplicemente "è buono", un verbo stativo derivato da mára "buono" (LR:371 s.v. MA3, MAG) con la desinenza -ie "è".

5. En kárielto eldain Isil, hildin Úr-anar. "Per gli Elfi essi crearono la Luna, ma per gli Uomini il Sole rosso": il misterioso vocabolo en riappare dalla riga 1, ed in un contesto similare. kárielto "essi crearono". La desinenza pronominale -lto "essi" riappare; cfr. meldielto alla riga 3 (e tulielto in LT1:114). Rimovendo la desinenza pronominale, restiamo in presenza di kárie come verbo "creare". Alla riga 1, il passato del verbo "creare" è invece káre. La radice è naturalmente KAR (LR:362), così kárie è formato dall'allungamento della radice vocalica e dall'aggiunta di ie, ma ciò somiglia piuttosto ad una formazione perfetta (in Quenya maturo la radice vocalica dovrebbe normalmente essere prefissa come un suo aumento: akárie, acárië "ha creato"). Realmente kárielto significa "essi hanno creato" piuttosto che semplicemente "essi crearono"? In una fonte successiva, Tolkien afferma che "le forme del passato e del perfetto divennero progressivamente più strettamente collegate in Quenya" (WJ:366), così forse è talvolta permissibile o pure preferibile usare una forma del passato inglese per rendere un perfetto Quenya? eldain "per gli Elfi", plurale dativo di elda, come alla riga 1. Isil "la Luna" (il termine Quenya è un nome proprio e non richiede l'articolo). A questo punto, la traduzione di Tolkien ha un "ma", ma non v'è nulla che corrisponda a tale parola nel testo Elfico. (Cfr. la congiunzione "scomparsa" e alla riga 10.) hildin "per gli Uomini", un plurale dativo. Hildi, "Successivi", era un nome Elfico degli Uomini Mortali come i Secondogeniti di Ilúvatar, gli Elfi essendo i Priminati. Posteriormente, Tolkien adoperò invece la forma Hildor (sg. *Hildo; vedere LR:248 e WJ:387), e Hildor è usato nell'edizione pubblicata del Silmarillion. Il plurale dativo corrispondente al nominativo Hildor dovrebbe essere stato *Hildoin, e se Tolkien avesse mai tradotto il Canto di Fíriel in Quenya maturo, dovrebbe probabilmente aver rimpiazzato hildin con tale forma. Úr-anar "il Sole rosso" (una specie di nome proprio, perciò privo d'articolo in Quenya). Anar è il termine Quenya per "sole" (cfr. Anarinya "mio sole" all'ultima riga); l'elemento prefisso úr significa "fuoco" (vedere LR:396 s.v. UR, nell'originale versione di tale voce), così Úr-anar è letteralmente "[il] Fuoco-sole". (Cfr. un altro nome Quenya del sole, Úrin.)

6. Toi írimar. Ilyain antar annar lestanen "che sono belli. A tutti essi diedero in giusta misura i doni": la proposizione relativa "che sono belli" chiaramente non è una traduzione letterale del testo Elfico; toi írimar indica semplicemente *"essi [sono] belli": Toi "essi", come alla riga 3. írimar "belli", plurale in accordo con "essi"; la forma sg. írima si trova sia alla riga 8 (ivi tradotta "incantevole") e nelle Etimologie (LR:361 s.v. ID, dove la glossa è "attraente, desiderabile"; la seconda sembrerebbe essere il senso etimologico). In tale variante "Qenya", la forma plurale degli aggettivi è composta dalla desinenza -r (che è anche usata a formare il plurale di sostantivi e verbi). Un altro esempio, scritto quasi contemporaneamente al Canto di Fíriel, è la frase ilya...maller raikar "tutte le... vie [sono] tortuose" in LR:47 (sg. raika "tortuoso, curvo, anomalo" occorre in LR:383 s.v. RÁYAK). In Quenya maturo, gli aggettivi in -a formano i loro plurali in -ë (*írimë, *raikë/raicë) invece che dalla desinenza -r. Toi írimar è una proposizione nominale, *"essi belli"; non v'è effettivamente alcuna parola per "è" a connettere l'aggettivo col pronome (e neppure qui è usato un verbo stativo; *toi írimier o pure *írimielto dovrebbero presumibilmente essere state possibili costruzioni). un effettivo termine per "è", ye, ricorre alla riga 8. ilyain "a tutti". Questa fu un'emendazione; Tolkien dapprima scrisse ilqainen, una forma che sotto certi aspetti ha poco senso. Ilqa sembrerebbe essere la parola per "tutti", e la riga 8 del Canto di Fíriel lo conferma, dacché ilqa vi appare senza desinenza. In tardo Quenya, troviamo ilya piuttosto che ilqa come termine per "tutti" (e pure Tolkien rimpiazzò una forma di ilqa con una forma di ilya qui); le Etimologie elencano sia ilya che ilqa, ivi glossato "tutto, l'intero" ed "ogni cosa", rispettivamente (LR:361 s.v. IL). La desinenza -inen è alquanto sorprendente. Dacché la traduzione di Tolkien recita "a tutti", dobbiamo interpretare -inen come una specie di desinenza dativa (o concepibilmente allativo), ma in Quenya maturo, -inen è la desinenza plurale strumentale. La corrispondente desinenza singolare -nen effettivamente ricorre nel Canto di Fíriel, nel sostantivo lestanen "in (giusta) misura" successivamente in tale riga. Altri vocaboli ricorrenti in questo canto (eldain, hildin, fírimoin) dimostrano che il plurale dativo in -in aveva già trovato luogo nella visione di Tolkien del Quenya, così non sorprende che egli cambiò ilqainen in ilyain. Ci si domandò se egli originariamente confuse il dativo e lo strumentale, scrivendo ilqainen laddove intende ilqain. antalto "essi diedero". Cfr. antaróta "lo diede" alla riga 2. Originariamente Tolkien scrisse semplicemente antar "qui"; ciò dovrebbe essere anta- (la radice del verbo "dare", LR:341 s.v. ANA1) con la desinenza plurale -r, qui tradotta "essi"; la più semplice desinenza plurale era usata invece della più lunga desinenza pronominale -lto, come in kárielto, meldielto alle righe 3 e 5. Comunque, Tolkien dopo tutto cambiò opinione ed introdusse la più lunga desinenza per "essi", emendando antar in antalto. Come nel caso di antaróta "lo diede" alla riga 2, è sconcertante che non sembri esservi un reale marcatore di tempo passato nel vocabolo antar > antalto, sebbene la traduzione di Tolkien ancora una volta impieghi una forma passata: "essi diedero". Nel contesto del Quenya maturo, vorrei definitivamente prendere antar come una forma presente (antalto dovrebbe probabilmente essere antantë in Quenya maturo, ma questo dovrebbe ancora essere un tempo presente). Può questo essere un altro esempio di "presente istorico", il senso letterale essendo "essi danno" piuttosto che "essi diedero"? annar "i doni" (non v'è realmente alcun articolo nel testo Quenya, ma tale sostantivo è determinato dal genitivo Ilúvatáren nella riga successiva: "doni di Ilúvatar" = "i doni di Ilúvatar"). Annar è la forma pl. di anna "dono" (LR:348 s.v. ANA2). lestanen "in giusta misura" [la traduzione inglese riporta semplicemente "in misura", cui mi sono preso la libertà di aggiungere "giusta" per rendere un'espressione efficace in italiano, N.d.T.]. Qui vediamo la desinenza strumentale -nen, ancora valida in Quenya maturo. La forma lestanen quindi significa "in/a misura". Il sostantivo *lesta "misura" non è altrimenti attestato, a meno che non sia da equiparare al primo elemento del nome Quenya del Doriath, Lestanórë (WJ:369). Ciò significa "Cinta-terra", Quenya lesta "cintura" corrispondente al Sindarin lest (Lest Melian "la Cintura di Melian", WJ:225). Una connessione semantica "cintura/bordo/linea di confine/confini chiaramente definiti/misura" può essere a malapena plausibile.

7. Ilúvatáren. Ilu vanya, fanya, eari, "di Ilúvatar. Il Mondo è leggiadro, il cielo, i mari,": Il genitivo "Qenya" Ilúvatáren logicamente afferisce alla riga precedente, completandone il significato: annar...Ilúvatáren "i doni... di Ilúvatar". (Qui il nome "Ilúvatar" è anche usato nella traduzione inglese di Tolkien del Canto di Fíriel; alle righe 1 e 13 è tradotto "il Padre" o "o Padre".) In questa variante "Qenya", la desinenza genitiva è ancora -n (qui con una vocale connettiva e dacché **Ilúvatarn è impossibile). In Quenya maturo, -n venne ad essere la desinenza dativa, mentre il genitivo ha invece la desinenza -o (Tolkien operò tale modifica mentre scriveva SdA: in una variante primeva di Namárië, "di Varda" fu Vardan, modificato in Vardo). Il tardo genitivo di Ilúvatar (in -o) è effettivamente attestato; L'Indice del Silmarillion, voce "Figli di Ilúvatar", menziona Híni Ilúvataro come l'equivalent Elfico di tale frase. Potremmo esserci aspettati *Ilúvatáro con una lunga á nell'ultima sillaba di atar, dacché tale sostantivo sembra allungare la sua vocale finale quando una desinenza è aggiunta (atár-). Cfr. l'antica forma genitiva (= tarda dativa?) Ilúvatáren, ed anche il vocabolo Atanatári "Padri degli Uomini" (*"Uomini-padri") nel Silmarillion, capitolo 20 (anche in PM:324). Tuttavia, il plurale di atar è dato come atari (non atári) nelle Etimologie (LR:349 s.v. ATA), così forse Tolkien stava semplicemente cambiando opinione in un senso e nell'altro. Qualunque sia il caso, l'allungamento della vocale finale di atar occorre nel termine Ilúvatáren nel Canto di Fíriel. Ilu "il Mondo", come alla riga 1. vanya "leggiadro" (cf. il pl. nominale Vanyar come il name della Prima Schiera degli Elfi). Ilu vanya è un'altra proposizione nominale, che difetta d'ogni effettiva parola per "è": *"Il mondo leggiadro." fanya "il cielo". La traduzione è alquanto inusuale; altrimenti, fanya è glossato "nuvola". Nelle Etimologie (LR:387 s.v. SPAN), il termine fanya è definito come "nuvola", derivato da una radice avente a che fare con candore. La forma pl. fanyar in Namárië è anche tradotta "nuvole". eari "i mari", pl. di ear "mare". Né fanyaeari sono preceduti da alcun effettivo articolo definito, malgrado le traduzioni: "il cielo", "i mari". Contrasta con i-mar alla riga successiva.

8. i-mar, ar ilqa ímen. Írima ye Númenor. "la terra, e tutto ciò che è in essi. Incantevole è Númenor": i-mar "la terra". Qui the l'articolo definito i "la" appare realmente. Infrequentemente, Tolkien lo connette alla parola seguente per mezzo di un punto o, come qui, un trattino. (Comunque, Namárië in SdA ha i eleni, non i-eleni, per "le stelle".) Mar è la forma più breve del sostantivo "terra"; la radice è mard-, vista nell'ablativo Mardello alla riga 4. In tardo Quenya, il vocabolo normale per "terra" sembra essere cemen, kemen; cfr. il titolo di Yavanna Kementári "Regina della Terra". ar "e". ilqa "tutto" (cfr. ilqainen "a tutti"; vedere il commento alla riga 6 sopra). ímen "che è in essi", letteralmente forse semplicemente "in essi", o pure *"di essi". Questa è una forma più peculiare; essa non può essere correlata ad alcun'altra forma in 3. persona plurale nel corpus pubblicato. Il Canto di Fíriel altrimenti adopera le desinenze -lto, -r o il pronome indipendente toi per "essi"; fonti successive hanno te e la desinenza -nte. La mia interpretazione favorita è che Tolkien intendesse ímen come 1) una radice dimostrativa í- "che" (correlata all'articolo i "il") combinata con 2) il primitivo elemento plurale -m (volgendo "quello" in "quelli") e 3) la desinenza -en, concettualmente la medesima delle desinenze genitive viste in Ilúvatáren "di Ilúvatar" alla riga 7. Perciò ilqa ímen = *"tutti quelli" = "tutto ciò che è in essi". Ma ímen certamente non è un vocabolo che raccomanderei alle persone che scrivano in Quenya maturo. Írima "incantevole" (pl. írimar; vedere il commento alla riga 6 sopra). ye "è". Questa è la sola ricorrenza di un termine indipendente per "è" nel Canto di Fíriel, ma non è ovviamente correlata alla desinenza stativa verbale -ie. Inoltre, il vocabolo yéva alle righe 10 e 11 è ovviamente il futuro di ye. Comunque, non sembra che la parola ye sia in Quenya maturo. Invece, Tolkien ritornò sulla sua scelta originale per "è", la parola . Tale vocabolo occorre già nel Lessico Qenya del 1915 (p. 64), riapparve nelle Etimologie della metà degli anni Trenta (LR:374 menziona come la "radice del verbo 'essere' in Q") e fu finalmente fissata come la parola Quenya per "è" dall'apparizione in Namárië in SdA (sí vanwa ná...Valimar, "ora perso è...Valimar"). Númenor "Númenor" (Ovesturia; númen = "ovest").

9. Nan úye sére indo-ninya símen, ullume; "Ma il mio cuore non riposerà qui per sempre,": nan "ma". Nelle Etimologie (LR:375 s.v. NDAN), il vocabolo Quenya per "ma" è nán con una lunga vocale. In Quenya maturo, nán potrebbe esser interpretato "io sono" (- + la desinenza pronominale -n "I"), così quando scrivo testi Quenya, effettivamente preferisco la forma nan dal Canto di Fíriel ad evitare ogni possibile confusione. úye *"non è". Questa è la parola ye "è" (come in írima ye Numenor "incantevole è is N." alla riga precedente) col prefisso negativo ú- "no, non" (LR:359 s.v. ). Evidentlemente a causa di tale esempio, molti scrittori usano questo prefisso ad esprimere negazione nei loro componimenti Quenya (p.e. hónya ú-hiruva sére "il mio cuore non troverà riposo" in un poema di Arandil Erenion). Questo è anche ciò che Nancy Martsch insegna nel suo Basic Quenya. Personalmente io preferisco usualmente adoperare il vocabolo indipendente "non" (LR:367 s.v. LA), dacché il prefisso è spesso alquanto farraginoso. sére *"riposo", sostantivo. In LR:385 s.v. SED, un termine sére "ristoro, riposo, pace" è elencato. Il significato letterale del testo Elfico sembra essere, non realmente "il mio cuore non ristette", ma piuttosto *"non vi è [alcun] riposo per il mio cuore". indo-ninya "mio cuore". Tolkien originariamente scrisse hondo-ninya, con un altro termine per "cuore". Secondo LR:364 s.v. KHO-N, la parola Quenya hón (= hondo?) si riferisce al cuore fisico piuttosto che metaforico, così può essere questo il perché Tolkien decise di procedere invece con indo. La parola indo "cuore, umore" è anche elencata nelle Etimologie (LR:361 s.v. ID), ma l'elemento suffisso ninya è attestato soltanto qui nel Canto di Fíriel. Sembrerebbe indicare "mio", ma in tardo Quenya, la desinenza pronominale "mio" è -nya (tatanya "mio padre", UT:191, così "mio cuore" dovrebbe probabilmente divenire indonya; confrontare Anarinya "mio sole" nella riga finale del Canto di Fíriel stesso). Per avere senso in tale contesto, indo-ninya "mio cuore" dovrebbe essere stato l'oggetto indiretto, e in un simile linguaggio estremamente inflesso dovremmo aspettarci un marcatore dativo ad indicare il senso "(non v'è riposo) per il mio cuore", ma nessun elemento dativo sembra essere presente. símen "qui". Tale termine è attestato solamente qui, ma gli elementi sono trasparentemente -, una forma della radice SI "questo, qui, ora" (LR:385), oltre a men "punto, luogo" (LR:372 s.v. MEN), perciò letteralmente "questo luogo". (In SdA troviamo sinome per "in questo luogo", ma símen può ancora essere valido.) Alla riga 10, la più corta parola è usata per "qui", ma è tradotto "ora" sia nelle Etimologie (LR:385 s.v. SI) che in Namárië in SdA. ullume "non... per sempre". Comparare un altro vocabolo avente a che fare col tempo, yallume "infine" alla riga 11, letteralmente *"in quel tempo". Le Etimologie elencano un vocabolo lúme "tempo" (LR:370 s.v. LU), e l'elemento -lume qui ricorrente è sicuramente correlato, mentre il prefisso u- è certamente più o meno identico al prefisso negativo ú- (come in úye sopra). Forse ullume significa qualcosa come "non [per ogni] tempo". La doppia ll in ullume può suggerire che l' elemento prefisso u- "non" originariamente terminasse in alcune consonanti che furono poi assimilate a produrre una doppia consonante. Un elemento negativo UMU è menzionato in LR:396; forse dobbiamo presumere che ullume rappresenti qualcosa come *umlume?

10. ten sí ye tyelma, yéva tyel ar i narqelion, "perché qui è l'epilogo, e vi sarà una fine e l'Estinzione,": ten "per", un vocabolo che è attestato solamente qui; Namárië in SdA ha invece an (an sí Tintalle...máryat ortanë "per ora la Vampa... ha sollevato le sue mani"). "qui". Come notato sopra, tale termine è usato per "ora" in altre fonti, e la riga 9 ha símen per "qui". Gli scrittori probabilmente non dovrebbero usare per "qui", dacché dovrebbe normalmente essere inteso come "ora". ye "è", come alla riga 8 (írima ye Númenor). tyelma "fine", un vocabolo che è attestato soltanto qui. Comunque, esso è ovviamente derivato dalla radice KYEL "giungere alla fine" (LR:366); l'originale KY divenne ty in Quenya. Tyelma potrebbe essere regolarmente derivato da *kyelmâ (*kjelmâ), ma la desinenza - è alquanto sorprendente, poiché è normalmente adoperata a derivare sostantivi che denotano oggetti concreti, spesso utensili (WJ:416). Dalla sua etimologia, tyelma dovrebbe più similmente indicare "oggetto usato per terminare (qualcosa)", non "fine" come un astratto. Ciò è lungi dall'essere conclusivo, ma ci si interroga se tyelma sia un travisamento per tyelme, dacché -me è una ben attestata desinenza astratta. Non sarebbe il primo caso di e ed a confuse dagli editori tentando di decifrare la calligrafia di Tolkien. yéva "vi sarà", letteralmente semplicemente *"sarà". (Prima di "vi sarà", Tolkien inserì una congiunzione "e" nella sua traduzione, ma non vi sono congiunzioni nel testo Elfico - solo una virgola.) Yéva è il futuro di ye "è"; vedere il commento ad antáva alla riga 13 per una possibile ricostruzione delle regole grammaticali che Tolkien teneva in mente scrivendo il Canto di Fíriel, e per la mia opinione su come esse si relazionano al sistema usato in Quenya maturo. Il verbo yéva può essere suffisso come una desinenza stativa verbale, -iéva, vista in hostainiéva alla riga 11. tyel "una fine" - letteralmente semplicemente "fine"; il Quenya non ha l'articolo indefinito "un, uno", e nel tradurre il Quenya in inglese si deve semplicemente provvedere un articolo indefinito ove la grammatica inglese ne richiede uno. (Confrontare l'inizio del saluto Elfico "una stella brilla sull'ora del nostro incontro": elen síla... "[una] stella brilla...") Il sostantivo tyel "fine" è ovviamente correlato a tyelma "conclusione"; diversamente da tyelma esso è elencato nelle Etimologie (LR:366 s.v. KYEL), ivi con una forma alternativa, più lunga tyelde. Il termine tyel ricorre anche all'ultima riga del Canto di Fíriel. ar "e", i "la", narqelion "Estinzione". Nelle Etimologie (LR:366 s.v. KWEL), è fornita la glossa più letterale "fuoco-estinzione", l'elemento prefisso nar- "fuoco" evidentemente riferentesi al calore del Sole (Quenya Anar). Le Etimologie forniscono la glossa addizionale "autunno". Nel Canto di Fíriel, tale vocabolo normalmente usato per "autunno" sembra essere adoperato con un riferimento più ampio: l'"autunno" o "evanescenza" del mondo, la Fine che si profila da presso. In SdA Appendice D, troviamo Narquelië come il nome del mese di Ottobre; ciò può essere l'equivalente in maturo Quenya di narqelion. (Un termine astratto in -ion dovrebbe essere più inusual nello stile SdA del Quenya, mentre astratti in - sono comuni.)

11. íre ilqa yéva nótina, hostainiéva, yallume: "quando tutto è valutato, e tutto infine enumerato,": íre "quando" (non come interrogativo, ma usato per puntare ad un tempo specifico: "quando tutto è valutato" qui, e "quando il mio Sole cadrà" all'ultima riga). Per gli scrittori, questa è forse la voce di vocabolario più preziosa che il Canto di Fíriel fornisce; essa è attestata solo qui. Anthony Appleyard ha puntualizzato che íre sembra contenere l'elemento -re, - "giorno" (l'elemento finale in molti composti similari - cfr. per esempio mettarë, in SdA Appendice D detto essere il nome dell'ultimo giorno dell'anno, trasparentemente dal significato "fine-giorno", dacché metta indica "fine"). Può essere che íre ilqa yéva nótina sia letteralmente *"il giorno in cui tutto sarà valutato". Tuttavia, gli scritttori hanno usato íre per "quando" nel senso più generale, e finché abbiamo qualche evidenza dell'una o dell'altra via, v'è qualche ragione di analizzarlo. ilqa "tutto", o "ogni cosa"; vedere il commento a ilqainen (modificato in ilyain) alla riga 6 sopra. yéva "è", o letteralmente "sarà", come alla riga 10: stiamo parlando di eventi futuri. nótina "valutato". Questo è il participio passato di un verbo not- "contare". Tale verbo è elencato nelle Etimologie (LR:378 s.v. NOT), ivi glossato "calcolare", ma la radice NOT stessa è definita "contare, calcolare". Cfr. anche la parola correlata únótimë "incalcolabile, innumerevole" in Namárië in SdA. Il participio passato è regularmente formato con la desinenza -ina e l'allungamento della radice vocalica: o diviene ó. (Tale allungamento non occorre quando vi è un gruppo di consonanti a seguire la radice vocalica, cfr. *hostaina nella discussione seguente - non **hóstaina.) hostainiéva "[sarà] enumerato". Questo è il solo esempio di un futuro di verbo stativo. La parola soggiacente è chiaramente un participio passato *hostaina, formato (con la medesima desinenza -ina di nótina) da un verbo hosta-. Tale verbo è elencato nelle Etimologie (LR 364 s.v. KHOTH), ivi glossato "collezionare". *Hostaina dovrebbe quindi significare "collezionato"; qui la traduzione è invece "enumerato", ma il divario semantico tra tali glosse non è troppo ampio. *Hostaina è quindi volto in un verbo stativo dal suffisso -iéva, la variante del tempo futuro della desinenza stativa verbale, con la stessa relazione col termine indipendente yéva che la desinenza presente -ie ha col termine indipendente ye. Come la desinenza -ie, -iéva spiazza la vocale finale di un vocabolo cui è aggiunta: hostainiéva, non **hostainaiéva. yallume "infine". Questo termine è attestato soltanto qui. Come notato sopra, l'elemento finale deve essere correlato a lúme "tempo" (LR:370 s.v. LU). Invero un vocabolo assai simile, yalúme, è elencato nelle Etimologie - ma tale termine indica "primo tempo" (LR:399 s.v. YA). Yallume deve essere assunto come lúme "tempo" con un elemento prefisso che dovrebbe indicare qualcosa come "quello", perciò "in quel tempo" = "infine". Le Etimologie forniscono una parola yana "quello" (LR:399 s.v. YA), ma vi è detto che con riferimento al tempo, tale vocabolo si riferisce al passato: "il primo". Yallume potrebbe essere derivato da yana-lúme > yan-lúme, ma secondo l'informazione fornita nelle Etimologie, dovrebbe significare "quel tempo (nel passato)". Nel Canto di Fíriel, yallume chiaramente si riferisce al futuro. Sembrerebbe che Tolkien, al tempo in cui scrisse questo canto, non presumesse che yana fosse riferito al passato piuttosto che al futuro. Non raccomanderei il termine yallume "infine" agli scrittori, specialmente dacché alternative più solide sono facili da costruire (p.e. *mettassë, "a(lla) fine", locativo di metta "fine").

12. ananta úva táre fárea, ufárea! "ma ancora non sarà sufficiente, non sufficiente": ananta "ma ancora". Le Etimologie danno a-nanta con un trattino, glossato "e ancora, ma ancora" (LR375 s.v. NDAN). Sembrerebbe che l'elemento prefisso a indichi "e" (confrontare a alla riga 1), mentre nanta stia per "ancora", sebbene nn è noto se tale parola possa essere o meno utilizzata indipendentemente. úva "ciò non sarà", letteralmente semplicemente *"non sarà". Questo sembra essere il futuro dello stesso verbo negativo che nelle Etimologie è elencato nell'aoristo in prima persona: uin, "non faccio, non sono" (la desinenza -i- denotando l'aoristo ed il suffisso pronominale -n indicando "io", lasciando u- come la radice; per la formazione futura úva, confrontare yéva da ye). táre *"(in) quel dì". Non vi è corrospondenza di tale parola nella traduzione di Tolkien, ma sembra combinare ta "quel" (LR:389 s.v. TA) ed are "giorno" (LR:349 s.v. AR1). Un altro vocabolo analogo è enyáre alla riga 14. fárea "sufficiente". Il termine occorre nelle Etimologie (LR:381 s.v. PHAR), ma là la prima vocale è corta: farea "abbastanza, sufficiente". ufárea "non sufficiente". Questo è semplicemente fárea "enough" col comune prefisso negativo, sebbene usualmente appaia con una vocale lunga: ú-. Forse Tolkien non voleva avere due vocali lunghe che ne seguissero un'altra, sebbene ciò ricorra in Namárië in SdA (únótima "incalcolabile, innumerevole" - perciò penso che dobbiamo leggere úfárea per "non sufficiente").

13. Man táre antáva nin Ilúvatar, Ilúvatar "Che mi darà il Padre, O Padre": man "che cosa". Tale vocabolo è usato per "cosa" qui e nella domanda di Elendil in LR:61 (immediatamente suseguente al Canto di Fíriel nella narrazione): E man antaváro? "Che darà egli invero?" In fonti successive, il termine man è usato per "chi": cfr. la domanda sí man i yulma nin enquantuva? "chi riempirà ora per me la coppa?" in Namárië in SdA. La parola man = "chi" ricorre anche molte volte nel poema Markirya. Mentre non possiamo essere assolutamente certi che man non valga sia "chi" che "che cosa", il vocabolo è solamente attestato col significato "chi" in Quenya maturo. PM:395, 402 sembra indicare che Tolkien più tardi decise che il termine Quenya per "che cosa" fosse effettivamente mana. Quindi, man può non essere ora ambiguo, indicando solamente "chi". táre *"in quel giorno". Qui, come alla riga precedente, tale parola non è effettivamente tradotta da Tolkien. Un altro termine per "in quel giorno", enyáre, occorre alla riga seguente, e quel termine è tradotto; forse Tolkien tentò di evitare ripetizioni. antáva "darà", il futuro del verbo anta- "dare"; altre forme ricorrono alle righe 2 e 6. Allorché Tolkien scrisse il Canto di Fíriel, sembra abbia usato le seguenti regole grammaticali per formare tempi futuri: se la radice del verbo termina in una vocale, la allunga ed aggiunge la desinenza -va: perciò antáva da anta qui, e yéva (-iéva) "sarà" da ye (-ie) "è" alle righe 10 e 11. Se la radice del verbo termina in una consonante, aggiunge la desinenza -uva, come in qeluva da qel- alla riga 14 (vedere sotto per il significato). In Quenya maturo, Tolkien sembra aver espanso l'uso della più lunga desinenza -uva, e non è affatto certo che la più breve desinenza -va sopravviva in Quenya maturo (forse poiché Tolkien non volle che fosse confusa con la desinenza del caso possessivo?) In SdA, troviamo laituva come il futuro di un verbo laita-, mentre le regole apparentemente usate nel Canto di Fíriel dovrebbero aver prodotto invece *laitáva. Le nuove regole, così come possiamo raffigurarcele, sembrano essere semplificate: 'Il futuro è formato con la desinenza -uva. Se la radice del verbo termina in una vocale, tale vocale decade prima che -uva sia aggiunto.' Così in Quenya maturo, dovremmo forse leggere *antuva per antáva, seguendo il modello di laituva. nin "me" (= dativo, *"a me"). Questo è ni "io" con la desinenza dativa -n. Tale pronome ricorre anche nella domanda sí man i yulma nin enquantuva? "chi riempirà ora per me la coppa?" in Namárië in SdA. Ilúvatar "il Padre", letteralmente "Padre del Tutto" - vedere i commenti alla riga 1. Ilúvatar "o Padre". L'epiteto divino è ripetuto; la traduzione di Tolkien suggerisce che la seconda occorrenza iè da intendersi come un vocativo: Dio è apostrofato direttamente. (La particella vocativa "o" è in Quenya a, ma essa qui non è adoperata, sebbene la traduzione di Tolkien reciti "o Padre".)

14. enyáre tar i tyel, íre Anarinya qeluva? "in quel giorno oltre la fine quando il mio Sole cadrà?": enyáre "in quel giorno". Tale vocabolo è attestato solamente qui. Esso sembra essere un composto di *enya ed are. Il secondo indica "giorno" (vedere la nota su táre alla riga 12), mentre *enya è evidentemente un aggettivo formato dalla base EN (da non confondere con l'aggettivo attestato enya < endya "mezzo" dalla distinta radice ÉNED). Come notato sopra, Etim attesta (LR:399 s.v. YA, cfr. LR:356 s.v. EN) che "en quello (...) di tempo che punta al futuro". Così *enya-are > enyáre è evidentemente "(in) quel giorno (futuro)". tar "oltre". Tale tremine si trova soltanto qui; Namárië in SdA ha invece pella, piazzato dopo il sostantivo come una posposizione (Andúnë pella, "oltre l'Occidente"; cfr. anche elenillor pella "d'oltre le stelle" nel poema Markirya). Se tar sia ancora una parola valida o meno per "oltre" in Quenya maturo è pertanto incerto e forse dubbio. i "la", tyel "fine", come alla riga 10. íre "quando", come alla riga 11. Anarinya "il mio Sole". Questo è Anar "sole" (LR:348 s.v. ANÁR) con la desinenza -nya "mio", che sembra preferire i come sua vocale connettiva quand'è aggiunta ad una desinenza di radice sostantiva in una consonante (altre desinenze pronominali dovrebbero forse avere e come vocale connettiva, sebbene difettino buoni esempi). qeluva "sarà caduto", effettivamente tempo futuro *"cadrà": tale verbo non è elencato nelle Etimologie, ma deve sicuramente essere riferito alla radice KWEL- "sbiadire, avvizzire" (LR:366). Tale radice potrebbe fornire un verbo Quenya qel- (o quel- secondo l'ortografia posteriore di Tolkien). Qui esso appare con la desinenza futura -uva. Dacché Tolkien adopera altrove nel Canto di Fíriel la più corta desinenza -va, può essere che pensasse a qeluva come alla radice qel- con la desinenza -va + una vocale connettiva u quando egli scrisse tale song. La più lunga desinenza -uva sembra esser divenuta universale nella sua concezione posteriore del Quenya (vedere i commenti a antáva alla riga 13). In ogni caso, la forma qeluva (queluva) dovrebbe certamente essere valida in Quenya maturo.

Ammodernamento del Canto

Parlando di Quenya maturo, come potrebbe essere il canto di Fíriel in quel linguaggio? Bene, qui c'è la mia proposta alquanto ipotetica (provo deliberatamente ad usare vocaboli noti da fonti successive, e in alcuni casi prendo l'enunciazione Quenya più prossima alla traduzione di Tolkien):

Ilu Ilúvatar carnë Eldain ar Fírimain
Il Padre creò il Mondo per Elfi e Mortali
ar antanéros mannar Valaron: ëantë Númessë.
e lo diede nelle mani dei Signori. Essi stanno all'Occidente.
Nantë ainë, mánë ar meldë - hequa morion:
Essi sono santi, benedetti, e amati: salvo quello oscuro.
alantiéro. Melkor Mardello lendë: nás mára.
Egli è caduto [/cadde]. Melkor se ne è andato dala Terra: ciò è bene.
Carnentë Eldain Isil, Hildoin Úr-anar,
Per gli Elfi essi crearono la Luna, ma per gli Uomini il Sole rosso,
i nar írimë. Ilyain antanentë lestanen i annar
che sono belli. A tutti essi diedero in giusta misura i doni
Ilúvataro. Ilu ná vanya, fanya, ëari,
di Ilúvatar. Il Mondo è leggiadro, il cielo, i mari,
i cemen, ar ilya i ëa tessen. Írima ná Númenor.
la terra, e tutto ciò che è in essi. Incantevole è Númenor.
Nan lá ëa sére indonyan sinomë tennoio,
Ma il mio cuore non riposerà [lett. non c'è riposo per il mio cuore] qui per sempre,
an sinomë ëa tyelma, ar euva metta ar i narquelië,
perché qui è l'epilogo, e vi sarà una fine e l'Estinzione,
írë ilya nauva nótina, ar ilya hostaina, i mettassë:
quando tutto è valutato, e tutto infine enumerato,
ananta úva tárë fárëa, úfárëa!
ma ancora non sarà sufficiente, non sufficiente.
Mana tárë antuva nin Ilúvatar, Ilúvatar
Che cosa il Padre, O Padre,
enyárë i metta pella, írë Anarinya queluva?
mi darà in quel giorno oltre la fine quando il mio Sole cadrà?

(La parola tárë *"in quel giorno" è lasciata ancora intradotta.)

Ardalambion