Dopo diversi ritardi, i contenuti del favoloso Lessico Qenya furono finalmente pubblicati in Parma Eldalamberon #12 ai primi d'autunno del 1998; il LQ ora forma una controparte al Lessico Gnomico pubblicato in Parma #11 nel 1995. Prefisso al Lessico Qenya proprio, Parma pubblicò anche 28 pagine di dense descrizioni fonologiche, il materiale cui si riferiva Christopher Tolkien in LT1:247: "Qualche iniziale descrizione fonologica esiste per il Qenya, ma ciò divenne attraverso successive alterazioni e sostituzioni una tale sconcertante confusione (quantunque il materiale sia in ogni caso intrinsecamente estremamente complesso) che io non sono stato in grado di farne uso." Gli editori sono probabilmente da encomiare per essere riusciti a presentare tale materiale in un formato ragionevolmente leggibile. In tale recensione io mi concentrerò comunque sul Lessico stesso.
Originariamente scritto nel 1915, il Qenyaqetsa o Lessico Qenya documenta gli inizi dello sviluppo di Tolkien dell'Alto-elfico - un processo che avrebbe seguitato per decenni prima che si fosse pervenuti al Quenya in stile SdA, ed in un certo senso che non terminò prima che inevitabilmente cessasse con la morte di Tolkien. Organizzato per "radicali", un po' come le Etimologie, il Lessico Qenya contiene ben oltre 3,300 vocaboli Qenya. (Una stima degli editori, "oltre 2,500", è tecnicamente corretta ma fin troppo cauta.) Mentre uno degli editori qualche tempo addietro ebbe la peculiare convinzione che apprendessimo l'intero contenuto del Lessico da essi, fatto sta che naturalmente una parte assai consistente del Lessico fu pubblicata già nel 1983-84: presi insieme, i vocaboli citati da Christopher Tolkien nelle appendici a LT1 (p. 248-273) ed LT2 (p. 335-349) ammontano a non meno di un quinto del totale. (Invero è talvolta assunzione d'obbligo degli editori additare occasionali errori nella trascrizione di Christopher Tolkien; vedere le pagine 75, 79, 80, 90, 94, 95, 98, 99, 100, 101, 106.)
Basato sull'assai consistente e rappresentativo estratto nelle appendici a LT1 ed LT2, il linguaggio del Lessico Qenya potrebbe essere stato soddisfacentemente riveduto già quindici anni addietro, ed alcune osservazioni furono invero compiute anche prima che l'intero LQ alfine apparisse. È stato a lungo chiaro che Tolkien nel primissimo periodo immaginò un proto-linguaggio assai differente; sei anni or sono, Anthony Appleyard osservò che molti vocaboli Qenya primevi "vennero invalidati quando egli dismise la versione BoLT [acronimo di Book of Lost Tales, il Libro dei Racconti Perduti, N.d.T.] dell'E[lfico] P[rimordiale] dai suoi linguaggi mito ed avviò le Etimologie con un linguaggio EP completamente nuovo con differente fonologia" (Vinyar Tengwar #30 p. 7; la versione BoLT e la versione LQ sono a tutti gli effetti identiche). In conformità con la generale politica del suo gruppo, Patrick Wynne in una risposta fece del suo meglio per ridimensionare le sostanziali revisioni che le idee di Tolkien subirono nel periodo dal 1915 fino a che Etim fu scritto nella metà degli anni Trenta. Mentre egli aveva ragione nel far notare che parecchie radici e morfemi erano riportate nei concetti posteriori e più maturi di Tolkien , ciò non costituisce per nulla la "forte evidenza contro l'asserzione di Anthony per cui Tolkien rigettò la fonologia ed il sistema di radicali in LQ e li ricostruì dalle fondamenta nelle Etimologie", come Wynne crederebbe: Appleyard non intendeva certo dire che non vi fosse continuità alcuna nell'evoluzione dell'Elfico di Tolkien, ma soltanto fece l'alquanto ovvia osservazione che "Qenya" e Quenya diacronicamente parlando non appartenevano nemmeno alla medesima famiglia di linguaggi.
Il proto-linguaggio contemplato nei primevi Lessici sembra fortemente ispirato dalle proposte ricostruzioni del Proto-Indo-Europeo; in particolare si è colpiti dal grande numero di consonanti sillabiche. Alla fine degli anni Trenta, quando le Etimologie furono scritte, Tolkien aveva raggiunto una nuova visione dell'Elfico Primordiale, come è evidente sia dalle basi stesse che dagli effettivi vocaboli "ricostruiti" citati come l'origine dei vocaboli in varie lingue Elfiche posteriori. Tale nuovo proto-linguaggio, certamente più originale (ed artisticamente parlando pertanto anche più attraente) che non i primissimi esperimenti, soggiace alla specie di Quenya e Sindarin che conosciamo dalle narrazioni di Tolkien famose in tutto il mondo. Dacché l'aspetto diacronico era assai importante per Tolkien - in LR:342 suo figlio fa notare che egli immaginava il linguaggio "in crescita, nel tempo" - si può dire che la similarità tra il "Qenya" del Lessico ed il Quenya in stile SdA è in un assai real senso solamente superficiale.
Parlando del conio di vocaboli individuali di suo padre, Christopher Tolkien nota che "in alcuni casi sembra chiaro che il vocabolo fosse 'là', per così dire, ma la sua etimologia rimaneva da definire certamente, e non viceversa" (LT1:246). Il medesimo principio può essere applicato all'intero linguaggio. Lo stile generale del Q(u)enya era "là" dall'inizio; Tolkien sapeva grosso modo a cosa voleva che il sapore di tale linguaggio somigliasse, ed egli non scartò mai molti dei vocaboli che originariamente apparvero in questo primo Lessico del 1915. Ma la storia diacronica "rimaneva da definire certamente". Vent'anni di sperimentazione dovrebbero sfociare nello sviluppo di un sistema soddisfacente. Soltanto con la scrittura delle Etimologie Tolkien apparentemente percepì che aveva avuto più o meno ragione; l'evidenza è che per il resto della sua vita, egli largamente s'attaccò alle idee che vi manifestò.
Date le comprensive revisioni della storia diacronica, non è sorprendente osservare che la precisa etimologia dei vocaboli individuali potrebbe subire anche grandi modifiche, pure se il vocabolo come tale fosse ritenuto. Due esempi saranno sufficienti: 1) Nella concezione posteriore di Tolkien, il vocabolo Vala fondamentalmente si riferisce ad una "Potenza". Accenni a tale effetto si trovano già nelle Etimologie, in cui la radice BEL "forte" è interlocutoriamente comparata a BAL (LR:352), e Vala è glossato "Potenza" così come "Dio" (LR:350). Nella miglior fonte tarda, Tolkien fece espliciti riferimenti all'etimologia "potenza" (WJ:404). Ma nel primissimo concetto come registrato nel Lessico Qenya, i Valar erano "La gente felice", il loro nome essendo connesso a vocaboli come valin "lieto" e vald- "felicità" (p. 99). Più tardi, non vi sono accenni a che un Vala fosse etimologicamente "uno felice". 2) Nelle Etimologie, il vocabolo Quenya per "libro" (parma) è derivato da una radice PAR "comporre, porre assieme", identificando un libro come un "oggetto che è composto", evidentemente riferendosi agli sforzi dell'autore. Il vocabolo parma apparve già nel LQ, p. 72, ma qui significava primariamente "cute, corteccia" e perciò "pergamena" - "libro, scritti" essendo solamente significati secondari, poetici. Non vi è finora alcun accenno ad una connessione con un vocabolo per "comporre"; invero nessun vocabolo con tale significato appare nel LQ al postutto.
Ad una persona interessata allo scrivere in Quenya in stile SdA, l'attenta lettura del Lessico Qenya è alquanto frustrante. C'è una sensazione di "bene, nella scala sociale che dobbiamo pensare di ciò?" Poiché qui abbiamo un vocabolario assai sostanziale, talvolta colma le lacune nel vocabolario Quenya che ci hanno lungamente infastidito, e finora ci sentiamo incerti circa l'usare tali vocaboli in Quenya in stile SdA: essi vi appartengono al postutto, oppure dovremmo diluire le forme più mature di Tolkien del Quenya con elementi estranei? L'attempato atteggiamento disdegnoso di Tolkien verso i primissimi stadi del "Qenya" non può essere ignorato: egli lo denominò "assai primitivo" (PM:379). Così asserire che i primevi Lessici siano sotto tutti gli aspetti grande materiale rifletterebbe una piuttosto fraintesa fedeltà a Tolkien. Coloro che vogliono sviluppare una forma fruibile, SdA-compatibile del Quenya avranno di che approssimarsi al Lessico Qenya con cautela. Mescolare irrazionalmente "Qenya" e Quenya assieme produrrebbe un linguaggio ibrido che non rappresenta correttamente le intenzioni di Tolkien ad alcuno dei molti stadi che la sua concezione trapassò nei decenni. A proteggere l'integrità del sistema posteriore di Tolkien dobbiamo in ciascun caso assicurare che un vocabolo preso dal Lessico si attagli alla struttura fonologica, morfologica e grammaticale del Quenya in stile SdA. Se no, dobbiamo o ignorare il vocabolo "Qenya" oppure sottilmente alterarlo per renderlo adatto. Dobbiamo anche assicurare che il vocabolo"Qenya" in questione non cozzi contro vocaboli posteriori. Alcuni esempi saranno utili.
Quando nelde nel Lessico Qenya (p. 65) è il vocabolo per "quattro", ma il medesimo vocabolo riappare col significato "tre" in tardo Quenya (LR:376 s.v. NEL), dobbiamo ovviamente optare per il significato posteriore ed ignorare il LQ. Altri casi sono più complessi. Un vocabolo come rakta- "stendere" (p. 78) non può essere usato in Quenya in stile SdA in tale forma, poiché il Quenya come opposto al "Qenya" non ha il gruppo kt. Ad un certo punto dopo la scrittura del LQ, Tolkien decise che kt effettivamente divenisse ht in Quenya; perciò un vocabolo come ektele "fontana" (p. 35) riappare come ehtele nelle Etimologie (LR:363 s.v. KEL). Alla luce di tale esempio, dovremmo alterare rakta- "stendere" in *rahta- se fossimo ad usarlo in Quenya in stile SdA. (Altre fattezze della fonologia "Qenya" che furono più tardi rigettate è che il "Qenya" diversamente dal Quenya permette la finale k, come in auk "stolto", oppure che il "Qenya" possiede quelle che sono evidentemente consonanti finali sillabiche, come la l in findl "ciocca di capelli". - Pp. 33, 38.)
D'altra parte, un vocabolo come vára "altro" (p. 100) deve essere rigettato a dispetto del fatto che esso s'attagli alla fonologia del tardo Quenya: esso avrebbe comlato una lacuna nel nostro vocabolario, ma sfortunatamente cozza col tardo vára "sporco, sudicio" (LR:397). Altri vocaboli possiamo facilmente permetterci di ignorarli, dacché abbiamo vocaboli posteriori per la stessa cosa: come la congiunzione "e" il Lessico (p. 104) ha ya, ma ar è ben attestato in tardo Quenya (ed ya successivamente divenne il pronome relativo "che" - apparentemente così già nella frase "Artica" in Lettere a Babbo Natale). Inevitabilmente rigettando alcuni vocaboli, siamo comunque lasciati con la questione se possiamo allora accettare vocaboli correlati. Non abbiamo vocaboli posteriori per "oppure" (nella disperazione, persone hanno tentato di ricostruirne uno dal Sindarin egor, conducendo a suggestioni tali come *ecar; una ricostruzione più verosimile può essere *ercë). Ora il Lessico Qenya fornisce var per "oppure" (p. 100). Gli scrittori hanno anche sentito la mancanza di un vocabolo per "anche"; il LQ ha yando (p. 104). I vocaboli var e yando sono spesso usati nelle mailing list Quenya, ove tentiamo (e largamente con successo!) di reggere conversazioni in Quenya. Io stesso li adopero. Finora i lettori attenti avranno riconosciuto i riferimenti di pagina: Var "oppure" appartiene al medesimo gruppo di vocaboli di vára "altro", ed yando "anche" è elencato giustamente sotto ya "ed". Rigettando, come abbiamo a fare, ya e vára come vocaboli validi in Quenya in stile SdA, possiamo ancora sentirci liberi di accettare i vocaboli correlati yando ed var giusto in quanto si conviene che colmino lacune nel nostro vocabolario ed a causa del fatto che tali forme-vocabolo come tali non sono in conflitto con vocaboli posteriori? (In tutta verosimiglianza, vocaboli alquanto differenti per "anche" ed "oppure" si trovano in materiale posteriore, ancora non pubblicato - forse un termine per "anche" correlato ad ar come il vocabolo per "e", ed un vocabolo per "oppure" che è invero affine al Sindarin egor.) Non vi sono facili risposte a tali questioni; possiamo soltanto sperare che il materiale più prossimo al periodo SdA sarà alfine pubblicato.
Fortunatamente, il LQ fornisce anche utili vocaboli che danno conferma in tardo Quenya mentre non cozzano con vocaboli posteriori, p.e. net- pa. nente come il vocabolo per "ottenere" (p. 66). Dovrebbe anche essere notato che il Lessico contiene alcuni vocaboli che non si trovano nelle Etimologie di metà anni Trenta, ma si presentano in scritti posteriori, indicando che non lasciarono mai realmente la mente di Tolkien. Un esempio è koirea "vivo, vivace" (p. 48); la nostra prossima attestazione di tale vocabolo è in un documento che fu scritto più di mezzo secolo più tardi: in uno dei suoi saggi, l'attempato Tolkien usò la frase coirëa quenya, "favella vivente" (PM:399). Ciò è in qualche modo incoraggiante per gli studiosi che si domandano se oppure no i vocaboli dal Lessico - che si trovano lì ma non in fonti posteriori tali come le Etimologie - possono tuttora essere accettati come validi in Quenya in stile SdA.
Avendo letto fin qui, il lettore avrà giustamente inferito che questo studioso è molto interessato al Quenya come un linguaggio effettivo, potenzialmente fruibile, e che rendo molte riflessioni sugli aspetti pratici di stabilire uno standard SdA-compatible. Ma se sospendiamo di tentare di adattare il linguaggio del Lessico al tardo Quenya e guardiamo invece al LQ da un angolo più accademico, che apprendiamo circa il giovane Tolkien ed il suo mondo interiore ed esteriore - per non menzionare il suo mondo inventato?
Diversi vocaboli sono piuttosto sorprendenti e possono a stento essere adattati al mondo della Terra di Mezzo (sebbene non vi possa essere dubbio che Tolkien avesse già deciso che questa fosse l'ambientazione cui il Qenya primariamente "appartenne"). Nomi Qenya per vari territori mondiali e regioni primarie sono forniti: Warwickshire, Inghilterra, Irlanda, Germania, Norvegia/Scandinavia, Oxford (pp. 29, 42, 43, 44, 74, 89). Parecchi vocaboli riflettono le credenze religiose di Tolkien. Il vocabolo Atar "padre", anche noto dal Quenya in stile SdA, era già in sito - ma nel LQ, una nota specifica: "Usualmente alla 1a Persona della Santissima Trinità" (p. 33). Il vocabolo Ion (comparare yondo "figlio") è qui definito come un "mistico nome di Dio", la "2nda Persona della Santissima Trinità" (p. 43). Per quanto concerne la Trinità, ciò lascia soltanto lo Spirito Santo, del quale il vocabolo Sâ "Fuoco" è detto essere un "mistico nome" (p. 81). Altri vocaboli con riferimento specificamente Cristiano possono anche trovarvisi: a pagina 36 abbiamo evandl "Cristiano missionario" ed evandilyon "Vangelo" (adattamento Qenya dal Nuovo Testamento Greco euangelion?), e vi si presenta pure un vocabolo per "crocifissione" oppure "crocifisso" (anatarwesta, pp. 31, 89). Pure una persona ignorante della religione di Tolkien potrebbe probabilmente si sarà ulteriormente ristretto sul Cattolicesimo quando l'autore meticolosamente include vocaboli per "santo" (masc. aimo, fem. aire), "monaco" (anustar o anuon), "suora" (qinde oppure qinne), "monastero" (anusta) e "convento" (qindesta) (pp. 34, 31, 77).
Sullo sfondo, udiamo anche i cannoni della I Guerra Mondiale. La Grande Guerra stava già infuriando da un anno quando Tolkien, esso stesso un soldato al tempo, scrisse il Lessico. A p. 94, troviamo l'onomatopeico tompo-tompo, ominosamente glossaro "clamore di tamburi (o cannoni)". Patakatapaka (oppure pataktatapakta) è semplicemente definito "rat-a-tat" (p. 72), ma non v'è dubbio che sia il suono delle mitragliatrici che stiamo udendo. Il giovane Tolkien inevitabilmente non aveva molta stima del nemico. il seguente gruppo di vocaboli (p. 44) è una testimonianza di ciò:
kalimbo (o) un uomo selvaggio, incivile, barbaro. - gigante, mostro, troll.
kalimban (n-) "Barbaria", Germania.
kalimbardi i Germani.
kalimbarie barbarie.
Ma per lasciare indietro le influenze dal nostro proprio mondo, molto del mondo inventato può già vedersi esser giunto sul posto. Molti nomi ben noti, mai modificati lungo tutta la lunga vita di Tolkien, sono già presenti: Manwë e Varda, Aulë e Yavanna, Ulmo, Túrin Turambar, Valinor, Tol Eressëa e molti altri. Anche il titolo di Dio Ilúvatar è sul posto (p. 42), ma qui è interpretato "Padre Celeste", non come più tardi "Padre del Tutto". Nel LQ, il "nome" divino è dato come Enu, nel suono chiaramente il predecessore del tardo Eru, ma il significato sembra essere *"Creatore" piutosto che "L'Uno": è accennato che Enu sia correlato ad un verbo enye "concepire"; vedere p. 35. Destando interesse, alla pagina successiva troviamo la radice ERE "rimanere solo", così gli ingredienti per il tardo nome Eru "L'Uno" sono già in sito. Sembra che Tolkien dapprima intendesse Noldo ad indicare "folletto", ma il classico significato del vocabolo risorse rapidamente (p. 67). Tali strani scostamenti nella concezione di Tolkien non sono sorprendenti ai seri studenti dei suoi linguaggi; comparare la primissima voce nelle Etimologie, la quale mostra che Tolkien a tutta prima intese Avari come il nome degli Elfi che andarono a Valinor, poi cambiò la sua opinione a 180 gradi ed invece lo rese il nome di coloro che rifiutarono le convocazioni dei Valar (LR:347-348).
Vi sono, comunque, anche tracce di concetti più primitivi, come l'idea di Elfi oppure "fate" come piccole, graziose creature dimoranti nei fiori; Ailinóne è il nome di "una fata che dimorava in un giglio in uno stagno", mentre Tetille è "una fata che viveva in un papavero" (pp. 29, 92). Ciò sembra riflettere precisamente una tale nozione popolare di "Elfi" come idee infantili di cui Tolkien più tardi si fece beffe (in SdA Appendice F egli lamenta il fatto che il vocabolo Elfi "forse risveglia nella mente di molti fantasie stupide o graziose, ma in ogni caso tanto diverse dagli antichi Quendi quanto lo sono le farfalle dai rapidi falchi - non che alcun Quendi possedesse ali"!)
Di nuovo volgendo la nostra attenzione al linguaggio come tale, possiamo chiederci se il Lessico dia un resoconto ragionevolmente completo di tale linguaggio. Dopo tutto, i ben oltre tremila vocaboli qui forniti eccedono il numero di vocaboli noti dal tardo Quenya (circa 2,200). Così possiamo ora esprimerci relativamente liberamente in "Qenya", o per lo meno tanto quanto possiamo in Quenya in stile SdA? La risposta a ciò deve essere no. Ciò che abbiamo è una vasta massa di vocaboli isolati, ma poche informazioni su come fletterli o combinarli in effettivo testo. La sola o quasi proposizione reale citata si trova a pagina 73, perilme metto aimaktur perperienta, "noi invero sopportiamo cose ma i martiri sopportatono fino alla fine". Per un sostanziale testo "Qenya" più o meno contemporaneo al Lessico dobbiamo piuttosto rivolgerci al poema Narqelion; con l'aiuto del LQ, Christopher Gilson fu in grado di interpretare plausibilmente la maggior parte di tale primevo poema (il sostanziale contenuto di Vinyar Tengwar #40).
Quanto a quel poco di grammatica che può essere inferito dal Lessico stesso, le informazioni sono per certi aspetti contradittorie. Quello che è già il classico esempio coinvolge le desinenze pronominali -r ed -n. Il gruppo enin (o emin), emil, emir a pagina 35 è glossato "io (etc.) mi chiamo". Lo "etc." che segue il pronome "io" sembrerebbe indicare che le altre forme sarebbero tradotte con altri pronomi, così che se emin oppure l'assimilato enin = "io mi chiamo", emil è probabilmente la 2a persona *"tu ti chiami", mentre emir sarebbe la 3a persona *"egli si chiama" (con ogni possibilità ricoprendo pure *"ella si chiama"). Così le desinenze pronominali sembrerebbero essere -n = "io" (com'è tuttora il caso in Quenya in stile SdA), -l "tu" (cfr. il tardo Quenya -lyë e la corta desinenza -l menzionata in WJ:364) ed -r "egli" (comparare -ro in antaváro "egli darà" in LR:63). Vi sono molti esempi in aggiunta ad enin a indicare che -n è la desinenza di 1a persona, tali come aqin "io colgo", elin "io guido", fengin "io taglio", hatin "io getto", hotin "io starnutisco", iltin "io mi fido", iqin "io prego", kakin "io rido", kapin "io salto" (pp. 31, 35, 38, 39, 41, 42, 43, 44, 45). Finora in una sezione del Lessico le glosse fornite sembrerebbero indicare che non sia -n, ma -r che significa "io"; abbiamo per esempio mokir "io odio" oppure wastar "io dimoro" (pp. 62, 102). La desinenza -n è improvvisamente riassegnata alla terza persona ed è tradotta "egli" o "esso" (p.e. avin "egli parte", hilkin "esso ghiaccia", usin "egli scappa", vildin "egli importa", vilkin "esso taglia" - pp. 33, 39, 98, 102, 101). Tale strana inversione delle desinenze di prima e terza persona ricorre pressoché esclusivamente soltanto in una conclusione del Lessico, così vi è poca ragione di dubitare che questa sia una genuina revisione sepolta mentre il LQ fu scritto, lasciando il documento internamente contradittorio in quanto Tolkien soltanto sporadicamente tornò a modificare ciò che aveva scritto in precedenza. Mentre Christopher Gilson sulla lista TolkLang tentò di argomentare che le desinenze -n "io / egli" ed -r "egli / io" potrebbero invero coesistere entro la medesima variante di "Qenya", il consenso sembra essere [per l'opinione, N.d.T.] che il mantenimento di una tale posizione richieda teorie così elaborate da essere trasparentemente lambiccate. In tardo Quenya, -n è in ogni caso la desinenza di 1a persona ancora una volta; osservare che mentre sia il Lessico che le Etimologie elencano il verbo negativo umin (LQ:98, LR:396), il significato fu modificato da "esso non fa" nel LQ in "io non faccio" in Etim.
Su di un punto soltanto il Lessico Qenya fornisce estese informazioni circa una caratteristica grammaticale: la formazione del tempo passato dei verbi. In ben oltre 300 casi il passato è elencato a fianco della forma più elementare del verbo. Troviamo tutti i tipi con cui siamo in confidenza dal tardo Quenya, tali come passati formati con la desinenza -ne (e.g. sesta- "comparare", pa. sestane), con infissione nasale (e.g. kap- "saltare", pa. kampe) o per allungamento della radice vocalica ed aggiunta della -e (e.g. mel- "amare", pa. méle; vedere pp. 82, 45, 60). Ma vi è anche un gran numero di formazioni altamente esotiche, tali come la desinenza -ya che volge nel passato -sine oppure -tine (e.g. mauya- "gridare", pa. mausine; panya- "arrangiare", pa. pantine, pp. 60, 72), oppure passati che coinvolgono scostamenti di vocale interna (come milk- "avere, tenere, possedere", pa. malke, oppure tump- "costruire", pa. tampe - pp. 62, 93). I tempi passati "Qenya" dovrebbero essere soggetti a studio approfondito. Vero, alcune delle informazioni fornite chiaramente si applicano soltanto al "Qenya", presupponendo la sua propria peculiare storia fonologica; per esempio, spostamenti vocalici nel passato occorrono ove si hanno radici che coinvolgono sillabiche consonanti - le forme milk- > malke e tump- > tampe vengono da radici MLKL e TMPM. Tali radici non sono più possibili nella tarda visione di Tolkien dell'Elfico Primordiale, così in tardo Quenya, neppure scostamenti come milk- > pa. malke sarebbero possibili (non vi è nulla che equivalga a ciò nelle Etimologie). Tuttora in alcuni casi il Lessico Qenya può fornire indizi sui misteri del tardo Elfico di Tolkien. Per esempio, il linnod Sindarin di Gilraen in SdA Appendice A ha onen per "ho dato". Questo deve essere assunto come il tempo passato di 1a persona del verbo "Noldorin"/Sindarin anno "dare", elencato in LR:348 s.v. ANA1 come l'affine del Quenya anta-. Ma come ricavare da anno "dare" onen "ho dato"? Il LQ (p. 31) parimenti elenca il verbo anta- "dare", uno dei molti vocaboli destinato a sopravvivere in tardo Quenya, ma il LQ fornisce anche il passato áne, una forma non elencata nelle Etimologie ma non necessariamente in conflitto con questo stadio posteriore del Quenya - osservare che in Etim stesso, il verbo onta- "generare, creare" ha il passato óne in aggiunta al più regolare ontane (LR:379 s.v. ONO). Se, nel comune linguaggio ancestrale di Quenya e Sindarin, il verbo anta- "dare" aveva il passato áne "diede", donde *ánen- "io diedi", abbiamo solamente di che applicare le normali trasformazioni fonetiche per arrivare dritti dall'arcaico *ánen- al Sindarin onen - precisamente la forma trovata in SdA. Alla luce di ciò, gli scrittori possono considerare áne come una alternativa perfettamente valida ad *antane come il passato del verbo anta- "dare" anche in Quenya in stile SdA.
Insomma, che dire? Ha valore acquisire il Lessico Qenya? Sono naturalmente del massimo interesse se si vuol studiare la produzione del linguaggio di Tolkien come tale, i Lessici Qenya e Gnomico del 1915-17 che si stagliano come punti di riferimento nei pressi dell'inizio di una lunga via. Comunque, trovo deplorevole che tale materiale primaticcio appaia in un tempo in cui la nostra conoscenza dei linguaggi nelle loro più mature incarnazioni fa ancora acqua da tutte le parti. Se avessimo già conosciuto le intenzioni di Tolkien nella fase SdA più pienamente, avremmo potuto gustare il Lessico Qenya per quel che è: la prima stesura per un sistema di grandi sottigliezza e beltà, ulteriormente da raffinare ed abbellire nei decenni a venire. Ma al presente, quando i ricercatori assai giustificabilmente dirottano la maggior parte delle loro energie nella comprensione dei più maturi stadi dei linguaggi basati sulle esigue evidenze disponibili, chi potrebbe essere stato interessato a studiare il "Qenya" per proprio merito pressoché inevitabilmente affogato in un concetto predominante: "Tale informazione è valida per il Quenya in stile SdA?" Dobbiamo sperare che i Lessici Qenya e Gnomico non siano stati completamente dimenticati quando gli scritti posteriori di Tolkien sull'Elfico siano finalmente resi disponibili agli studiosi; si teme che i Lessici trascorreranno anni raccogliendo polvere su molti scaffali prima che studi comparativi comprensivi di Qenya vs. Quenya divengano infine possibili.
Indice del Lessico Qenya - glosse in Italiano
Indice del Lessico Qenya - vocaboli Elfici