Anche pronunciato: Qenya, Qendya, Quendya
Anche chiamato: Alto-elfico, L'Alta Lingua dei Noldor, l'Antica Lingua, la lingua degli Elfi di Valinor, Latino Elfico, Valinoreano, Avalloniano, Eressëano, parmalambë (favella letteraria), tarquesta (alto-idioma), Nimriyê (in Adûnaico), Goldórin o Goldolambë (in Telerin), Cweneglin or Cwedhrin (in Gnomico).
Il Quenya o Alto-efico è il linguaggio più rinomato del ramo Amanya della famiglia dei linguaggi Elfici. In Aman vi erano due dialetti del Quenya, il Vanyarin ed il Noldorin. Per ragioni storiche, solo il secondo fu usato nella Terra di Mezzo. L'unico altro linguaggio Eldarin parlato in Aman, il Telerin, potrebbe anche essere consideraro un dialetto del Quenya, ma esso fu usualmente ritenuto un linguaggio separato e non è discusso qui (vedere l'articolo separato).
Comparato a molti altri linguaggi Elfici, il Quenya era arcaico. Esso preservò le caratteristiche principali dell'originale linguaggio Elfico, inventato dagli Elfi quand'essi dapprima si destarono sul lago di Cuiviénen - una lingua con "molte... belle parole, e molti ingegnosi artifizi linguistici" (WJ:422). Di fatto, l'Indice del Silmarillion si riferisce al Quenya come alla "antica lingua, comune a tutti gli Elfi, nella forma che prese in Valinor" in Aman - come se il Quenya fosse così simile all'Elfico Primordiale da essere meramente una sua tarda forma, non un nuovo linguaggio. Invero l'Elfico Primordiale ed il Quenya possono essere stati mutuamente intelligibili, ma non si deve pensare che essi fossero pressoché identici. In Valinor, l'antica lingua Elfica subì talune modifiche: "Le sue alterazioni... [volsero] nella creazione di nuovi vocaboli (per oggetti antichi e nuovi) e nell'ammorbidimento ed armonizzazione dei suoni e dei modelli della lingua Quenya a forme che sembrarono più belle ai Noldor" (WJ:20). I suoni b e d divennero v ed l (o n) inizialmente, le vocali finali lunghe furono abbreviate, le vocali mediali atone spesso sparirono, e molti gruppi di consonanti subirono metatesi o altre modifiche, generalmente rendendoli più semplici da pronunciare. Il Quenya adottò ed adattò anche pochi vocaboli dal linguaggio dei reggenti di Aman - i Valar, Le Potenze Angeliche a guardia del mondo per mandato del loro Creatore. Comunque, i Valar stessi incoraggiarono gli Elfi a "creare nuovi vocaboli secondo il loro proprio stile, o... tradurre il significato dei nomi in eleganti forme Eldarin" invece di mantenere o adattare termini Valarin (WJ:405). Si afferma che i Noldor "erano mutevoli nel parlato, poiché ebbero grande amore delle parole, e sempre cercarono di trovare nomi più adatti per ogni oggetto che conoscevano o immaginavano" (Silm. cap. 5).
In Aman, il Quenya non era parlato soltanto dai Vanyar e dai Noldor, ma anche dai Valar: "I Valar paiono aver rapidamente adottato il Quenya" dopo l'arrivo degli Elfi, e la loro propria lingua, il Valarin, non fu udita spesso dagli Eldar: "Invero è detto che spesso i Valar ed i Maiar potevano essere uditi parlare Quenya tra loro stessi" (WJ:305). Pengolodh il saggio di Gondolin osserva: "Nelle storie i Valar sono sempre presentati come parlanti Quenya in ogni circostanza. Ma ciò non può provenire da traduzione da parte degli Eldar, pochi dei quali conoscevano il Valarin. La traduzione dev'essere stata effettuata dai Valar o Maiar stessi. Invero queste storie o leggende che trattano dei tempi anteriori al risveglio dei Quendi, o del passato più remoto, o di cose che gli Eldar non possono aver conosciuto, devono essere state presentate dapprima in Quenya dai Valar o dai Maiar quand'essi istruirono gli Eldar." Egli menziona l'Ainulindalë come un esempio: "Deve... esserci stato dapprima presentato non soltanto con le parole del Quenya, ma anche secondo i nostri modi di pensiero." Invero pure Melkor apprese il Quenya, e lo apprese bene. "Sfortunatamente," osserva Pengolodh, "in Valinor Melkor adoperò il Quenya con tale maestria che tutti gli Eldar furono meravigliati, giacché il modo in cui ne faceva uso non poteva essere migliorato, e pure scarse volte eguagliato, dai poeti e dai maestri di tradizione." (VT39:27)
Allorché Rúmil inventò le lettere, il Quenya divenne il primo linguaggio ad essere documentato in scritti (Silm. cap. 6, SdA Appendice F). Ma al di fuori del Reame Benedetto di Aman, il Quenya non sarebbe mai stato conosciuto se non fosse stato per la ribellione dei Noldor nella Prima Era. La maggior parte dei membri di tale clan lasciò Aman e si recò in esilio nella Terra di Mezzo, recando seco la favella Alto-elfica. Nella Terra di Mezzo i Noldor furono grandemente superati nel numero dai nativi Sindar o Elfi Grigi, che parlavano un linguaggio chiaramente correlato, eppure affatto differente. La lingua Sindarin aveva da lunga pezza abbandonato le flessioni dei casi che erano ancora preservate in Quenya, e la sonorità generale dei due linguaggi differiva parecchio - il Quenya era molto più vocalico del Sindarin ed aveva una distribuzione assai limitata delle occlusive sonore b, d, g, che erano frequenti in Sindarin. Come si manifestò, "i Noldor... erano rapidi nell'apprendere la favella del Beleriand [i.e. Sindarin], laddove i Sindar erano lenti nel padroneggiare quella di Valinor [i.e. Quenya]". Venti anni dopo la venuta dei Noldor nella Terra di Mezzo, accadeva che "la lingua degli Elfi Grigi fosse la più parlata, finanche dai Noldor" (Silm. cap. 13). Quando Re Thingol del Doriath finalmente apprese che i Noldor avevano ucciso molti dei suoi consanguinei tra i Teleri e sottratto loro le navi quando lasciarono Valinor, egli bandì l'uso del Quenya in tutto il suo reame. Conseguentemente, "gli Esiliati presero l'abitudine di servirsi, nell'uso quotidiano, del Sindarin, e l'Alta Lingua dell'Occidente fu parlata soltanto dai signori dei Noldor tra loro. Ed essa continuò a vivere come favella sapienziale, ovunque i Noldor stessi vivessero" (Silm. cap. 15).
Quindi il Quenya sopravvisse, anche nell'oscura Prima Era. Di fatto, il vocabolario fu espanso: i Noldor adottarono ed adattarono alcuni vocaboli da altre lingue, come Casar "nano" dal Nanesco Khazad e certa "runa" dal Sindarin certh (WJ:388, 396). Alcuni termini già in uso svilupparono un nuovo significato o lo modificarono nel Quenya Esule, come urco, un vocabolo che in Quenya Valinoreano era usato per "ogni cosa che causava paura agli Elfi, ogni sagoma od ombra dubbia, o creatura guardinga" che fosse rimembrata in antichi racconti della Marcia da Cuiviénen. In Quenya Esule, comunque, urco era riconosciuto come un affine del Sindarin orch ed era adoperato per tradurlo; perciò il significato di urco era ora semplicemente "Orco" (WJ:390; era usata anche la forma influenzata Sindarin orco). Quando gli Edain giunsero nel Beleriand, essi non appresero solo il Sindarin, ma "anche il Quenya in qualche misura" (WJ:410). Sebbene il Quenya "non sia mai stata una lingua parlata fra gli Uomini" (Lettera Plotz), nomi Alto-elfici come Elendil divennero popolari fra gli Edain. Túrin si diede il nome Quenya Turambar o "Padrone della Sorte", e sua sorella Nienor gridò alcune parole Alto-elfiche prima di uccidersi (Silm. cap. 21).
Vi sono anche numerosi esempi di Quenya usato o ricordato dagli Esuli Noldorin stessi: quando Turgon edificò la sua città nascosta, "comandò che il nome ne fosse Ondolindë... nel linguaggio degli Elfi di Valinor", sebbene la forma adattata Sindarin Gondolin divenne l'usuale nome della città. Pure in Gondolin, il Quenya "era divenuto un linguaggio letterario" per la maggior parte del popolo, "e come gli altri Noldor essi utilizzavano il Sindarin nel parlato quotidiano". Nondimeno, Tuor udì la Guardia di Gondolin parlare "nell'Alta Lingua dei Noldor, che non conosciamo". È anche affermato che "il Quenya era di uso quoridiano nella casa di Turgon, e fu la lingua dell'infanzia di Eärendil" (UT:44, 55). PM:348 conferma che "Turgon dopo la fondazione della sua città segreta di Gondolin ebbe a ristabilire il Quenya come favella corrente nel suo nucleo famigliare". Aredhel lasciò Gondolin e fu catturata da Eöl, al quale diede un figlio, e "in cuor suo gli diede un nome nella lingua proibita dei Noldor, Lómion, che significa Figlio del Crepuscolo" (Silm cap. 16). Eöl più tardi chiamò suo figlio col nome Sindarin Maeglin, ma Aredhel "insegnò a Maeglin la lingua Quenya, sebbene Eöl gliel'avesse proibito" (WJ:337).
Tuttavia, il Quenya parlato dagli Esiliati subì inizialmente alcune modifiche minori, probabilmente prima che l'editto di Thingol contro il suo uso congelasse largamente tutti i processi di modifiche linguistiche. In una lettera a Dick Plotz, Tolkien descrisse la declinazione sostantiva di un'antica forma di Quenya, il cosiddetto "Quenya Letterario". Tolkien scrisse che "così com'era noto agli uomini [mortali] - agli studiosi Númenoreani, e aquelli fra coloro che sopravvissero in Gondor [nella Terza Era] - queste erano le forme usate in scrittura". Ma successivamente osservò: "Il Quenya come linguaggio parlato fu modificato in una certa estensione fra i Noldor prima che cessasse di esserne una lingua natìa [i.e. inizialmente nel loro esilio]... In tale forma 'colloquiale' esso continuò ad essere parlato fra gli Elfi di origine Noldorin, ma fu preservato da ulteriori cambiamenti dacché fu appreso daccapo tramite gli scritti da ogni generazione [successiva, N.d.T.]." L'implicazione sembra essere che anche tale forma "colloquiale" del Quenya potrebbe essere adoperata in scrittura, e che questo era il Quenya delle scritture dal quale ogni generazione apprese il linguaggio daccapo. Questi sarebbero testi scritti dai Noldor durante il loro esilio, dopo che il loro linguaggio ebbe debolmente deviato dal Quenya Amaniano (in particolare con la perdita del caso accusativo): "Le condizioni degli Esiliati... resero necessario mettere di nuovo per iscritto le memorie di molte delle opere di sapienza e canti precedenti l'Esilio" (PM:332). Gli studiosi Númenoreani possono avere ripreso una forma più arcaica del Quenya poiché essi erano in contatto con gli Eldar di Eressëa e Valinor, non soltanto con gli Esuli Noldorin nella Terra di Mezzo. Oggi, la maggior parte degli scrittori non fa uso del Quenya Letterario, ma della forma di Alto Elfico degli Esuli Noldorin, il linguaggio del Lamento di Galadriel (SdA1/II cap. 8).
La Prima Era terminò con la Guerra d'Ira. All'inizio della Seconda Era, alcuni dei Noldor ritornarono in Aman, ma "alcuni rimasero per molte ere ancora nella Terra di Mezzo" (Silm. cap. 24). Quindi, i madrelingua Quenya erano ancora presenti nelle Terre-di-qua. Invero pure il loro più grande nemico ideò un nome Quenya per se stesso quando apparve agli Elfi in una forma attraente per raggirarli: Annatar, il Signore di Doni (Degli Anelli di Potere in Silm). Anche il suo vero nome era Quenya, ma si può ben comprendere che non gli andasse a genio: Sauron, l'Aborrito (vedere l'Indice del Silm.). Posteriormente, i Fabbri dell'Eregion diedero nomi Quenya alle loro maggiori opere: Narya, Nenya, e Vilya, i più gradi degli Anelli di Potere salvo l'Unico Anello stesso.
Comunque, la storia della Seconda Era è dominata dalla saga di Númenor, l'immensa isola data agli Edain dai Valar. Originariamente tutti gli Edain erano Amici degli Elfi, e la maggior parte di loro conosceva il Sindarin (sebbene la favella corrente dei Númenóreani fosse l'Adûnaico, una lingua Umanica). Si è narrato che "i maestri di dottrina fra loro appresero anche l'Alto Eldarin del Reame Beato, nel quale molte narrazioni e canti si conservavano fin dall'origine del mondo... Accadde così che, accanto ai loro nomi, i signori dei Númenóreani ne avessero anche in Eldarin [Quenya e/o Sindarin]; e lo stesso vale per le città e i luoghi di delizia che fondarono in Númenor e sui rivi delle Terre-di-qua" (Akallabêth). Esempi di nomi Quenya in Númenor comprendono Meneltarma, Armenelos, Rómenna ed il nome Númenor stesso. Malgrado ciò rimase il fatto che "il Quenya non era una lingua parlata in Númenor. Era conosciuto soltanto agli istruiti ed alle famiglie di alta discendenza, ai quali era stato insegnato nella loro prima giovinezza. Esso era usato in documenti ufficiali di cui ci si prefiggeva la preservazione, come le Leggi, ed i Rotoli e gli Annali dei Re..., e spesso in più recondite opere di sapienza. Fu anche largamente adoperato in nomenclatura: i nomi ufficiali di ogni luogo, regione, e configurazione geografica della terra erano in forma Quenya (sebbene essi usualmente avessero anche nomi locali, generalmente dal medesimo significato, in Sindarin o in Adúnaico [Númenoreano]. I nomi di persona, e specialmente i nomi ufficiali e pubblici, di tutti i membri della casa reale, e della Linea di Elros in generale, erano resi in forma Quenya" (UT:216). I Re presero nomi Quenya in quanto l'Alto Elfico era "la più nobile lingua al mondo" (UT:218). Comunque, i tempi cambiarono.
I Númenoreani presero ad invidiare l'immortalità degli Elfi, e l'amicizia con Aman gradualmente divenne fredda. Quando il ventesimo Re di Númenor ascese al trono nell'anno 2899 della Seconda Era, egli ruppe gli antichi costumi e prese lo scettro con un titolo in Adûnaico anziché in Quenya: Ar-Adûnakhôr, Signore dell'Ovest. Nel suo regno "le lingue elfiche non furono utilizzate a lungo, nè fu permesso di insegnarle, ma furono mantenute in segreto dai Fidi; e da quel momento le navi da Eressëa vennero di rado e segretamente alle rive occidentali di Númenor" (UT:222). Nel 3102 Ar-Gimilzôr divenne il ventitreesimo Re, e "vietò del tutto l'uso delle lingue Eldarin, e non permise ad alcuno degli Eldar di giungere nella sua terra, e castigò quelli che aveva accolto" (UT:223). Invero "le lingue Elfiche furono proscritte dai Re ribelli, e del solo Adûnaico fu consentito l'uso, e molti degli antichi libri in Quenya o in Sindarin furono distrutti" (PM:315).
Tuttavia, il figlio di Gimilzôr, Inziladûn provò d'essere di un carattere assai differente allorquando divenne Re nel 3177 (o 3175 secondo una fonte - vedere UT:227). Egli si pentì della condotta dei Re prima di lui e prese un titolo in Quenya secondo l'antica usanza: Tar-Palantir, il Lungimirante. Tar-Palantir "avrebbe voluto ritornare all'amicizia con gli Eldar ed i Signori dell'Ovest", ma era troppo tardi (UT:223). Il suo unico erede, una figlia, la nominò Míriel in Quenya. Ella avrebbe dovuto essere Regina dopo la sa morte nel 3255, ma fu costretta a sposare Pharazôn, figlio del fratello di Tar-Palantir Gimilkhâd. Pharazôn la prese in moglie contro il suo volere per usurpare lo scettro di Númenor. Evidentemente non poté mantenerle il nome Quenya e lo cambiò in Zimraphel in Adûnaico. Fiero e arrogante, Ar-Pharazôn sfidò Sauron nella Terra di Mezzo. Il perfido Maia astutamente fece mostra di arrendersi, al che Pharazôn "nella follia del suo orgoglio lo riportò prigioniero a Númenor. In breve tempo, Sauron riuscì ad ammaliare il Re e a divenire padrone delle sue decisioni; presto attrasse i cuori di tutti i Númenoreani, eccetto i Fidi, verso l'oscurità" (SdA Appendice A). Sauron fece dredere al Re che sarebbe divenuto immortale se fosse riuscito a carpire il governo di Aman ai Valar, ed alla fine Pharazôn tentò di invadere il Reame Benedetto. Come Sauron ben sapeva, i Númenoreani non avrebbero mai potuto soggiogare le Potenze, e come egli aveva previsto, l'armata di Pharazôn's fu completamente sconfitta. Comunque, Sauron non aveva previsto che i Valar avrebbero invocato l'Uno, e che Egli avrebbe usato il Suo potere per cambiare l'intera conformazione del mondo. Il Reame Benedetto fu rimosso dal mondo visibile nel regno delle cose celate, e con esso se ne andarono tutti i madrelingua Quenya salvo quelli dei Noldor che si trattennero nella Terra di Mezzo. Númenor stessa scomparve nel mare, e non conosceremo mai il numero di libri scritti in Quenya che andarono perduti nella rovina dell'Isola dei Re. All'isola sommersa fu dato un nuovo nome Alto-elfico: Mar-nu-Falmar, Terra (lett. Casa) sotto i Flutti, ed Atalantë, la Decaduta.
Gli unici sopravvissuti alla Caduta furono Elendil, Isildur, Anárion e quelli che li seguirono sulle loro navi. Come i loro nomi Quenya rivelano, essi erano Amici degli Elfi e non avevano parte nella ribellione contro i Valar. Nella Terra di Mezzo essi fondarono i Regni in Esilio, Arnor e Gondor. Sauron presto attaccò Gondor, ma fu sconfitto nella Battaglia di Dagorlad, e dopo sette anni di assedio dovette abbandonare la Barad-dûr e fu ucciso da Gil-galad, Elendil, ed Isildur; soltanto l'ultimo di costoro sopravvisse. Così terminò la Seconda Era del Mondo, ma i Regni in Esilio sopravvissero nella Terza Era, e fra gli studiosi di Arnor e Gondor la conoscenza del Quenya fu preservata.
I Re di Arnor e Gondor adoperarono nomi Quenya, come facevano i fedeli Re Númenoreani dell'antichità. (Dopo 861 anni della Terza Era, tuttavia, Arnor fu diviso nei reami secondari di Arthedain, Rhudaur, e Cardolan; i Re di tali regni adoperarono nomi Sindarin.) Anche i Sovrintendenti di Gondor adoperarono nomi Quenya fino al tempo di Mardil, il primo dei Sovrintendenti Reggenti (così chiamati poiché non vi furono Re in Gondor nel periodo 2050-3019 della Terza Era, ed i Sovrintendenti ebbero ad assumersene tutte le responsabilità). Comunque, i successori di Mardil cessarono di adoperare nomi Alto-elfici. I Sovrintendenti non presero mai il titolo di Re, e potrebbero aver dedotto che sarebbe stato presuntuoso adoperare nomi Quenya alla maniera dei Re. Ma quando Aragorn fu incoronato Re nel 3019, egli chiamò se stesso Elessar Telcontar in Quenya, seguendo l'antica usanza. Allora iniziò la Quarta Era, e gli ultimi dei Noldor salparono dai Porti e lasciarono la Terra di Mezzo per sempre, ritornando ad Aman. Gli ultimi madrelingua Quenya se n'erano andati dal mondo, ma come Gandalf fece notare ad Aragorn, fu suo compito "conservare ciò che va conservato" (SdA3/VI cap. 5) - inclusa la conoscenza dei linguaggi Eldarin. Sappiamo che Aragorn diede un nome Alto-elfico a suo figlio Eldarion, che gli successe sul trono di Gondor quando egli morì nell'anno 120 della Quarta Era. Sebbene poco sia noto circa tale Era, possono esservi pochi dubbi sul fatto che quanto a lungo perdurò il regno di Gondor, il Quenya fu rammentato.
La parola Quenya, nel dialetto Vanyarin Quendya, è un aggettivo formato sulla medesima radice di Quendi "Elfi"; il significato elementare è quindi "Elfico, Quendico". Ma il vocabolo Quenya era anche associato alla radice quet- "parlare", ed invero le radici quet- e quen- possono essere correlate: Tolkien speculò sul fatto che "le più antiche forme di tale radice riferentesi al discorso vocale erano *KWE, del quale *KWENE e *KWETE erano elaborazioni" (WJ:392). I maestri di trazizione Elfici ritenevano che Quendi significasse "coloro che parlano con voci", e secondo Pengolodh, Quenya significa propriamente "linguaggio, idioma" (WJ:393). Comunque, ciò può semplicemente riflettere il fatto che il Quenya era l'unico linguaggio noto dove l'aggettivo Quen(d)ya "Quendico" fu dapprima applicato all'idioma Elfico (ellitticamente per Quenya lambë "lingua Quendica"). Successivamente il vocabolo Quenya fu usato esclusivamente come un nome di tale linguaggio, non come un generale aggettivo indicante "Elfico, Quendico". I Noldor, tuttavia, "non dimenticarono la loro connessione con l'antico termine Quendi, ed ancora reputarono che il nome sottintendesse 'Elfico', che è la lingua Elfica principe, la più nobile, e l'unica che più da presso conservasse l'antico carattere delle lingue Elfiche" (WJ:374).
Il Quenya è anche chiamato parmalambë "la lingua letteraria" e tarquesta "alto idioma" (LR:172; cfr. "l'Alta Lingua dei Noldor" in UT:44). Siccome il Quenya fu originato in Valinor, potrebbe anche essere definito Valinoreano (SdA3/V cap. 8) o "il linguaggio degli Elfi di Valinor" (Silm. cap. 15). Dopo il termine della Prima Era, molti Noldor dimorarono sull'isola di Tol Eressëa, prossima alle coste di Aman. Di conseguenza, il Quenya è anche noto come Eressëano, o Avalloniano dalla città Eresseäna di Avallónë (LR:41, SD:241). Per i Teleri Amaniani, il Quenya era Goldórin o Goldolambe, evidentemente intendendo "Noldoico" e "Noldo-lingua", rispettivamente (WJ:375). In Gnomico, il primo tentativo di Tolkien di ricostruire il linguaggio che molto dopo si rivelò come Sindarin, il termine per Quenya ("Qenya") era Cwedeglin o Cwedhrin, ma tali parole non sono certamente valide in Sindarin maturo (Parma Eldalamberon No. 11 p. 28). L'Elfo Gildor si riferisce al Quenya come "l'Antica Lingua" (SdA1/I cap. 3), ed essendo il linguaggio più prestigioso al mondo, fu anche denominato "l'Alta Lingua dell'Occidente", "l'Alto Eldarin" (Silm. cap. 15, Akallabêth) o "Alto Elfico Antico" (WR:160). Dai Númenóreani, il Quenya fu chiamato Nimriyê o "lingua Nimriana", come i Dúnedain chiamavano gli Elfi Nimîr, i Bellissimi. (SD:414, cf. WJ:386). Successivamente, Frodo si riferì al Quenya come "l'antica lingua degli Elfi al di là del Mare" e "il linguaggio... dei canti Elfici". (SdA1/II cap. 8) In inglese, Tolkien adoperò anche designazioni come "Alto-elfico" (occasionalmente nelle Lettere: "Alto-Elfico") e "Latino-Elfico, Elfico-Latino" (Lettere p. 176). Nella Terra di Mezzo, il Quenya finalmente divenne un linguaggio di cerimonia e sapienza, così Tolkien lo reputò comparabile al latino in Europa.
Il Quenya, originariamente pronunciato "Qenya", risale almeno al 1915. Sembra che sia stato in quest'anno che il 23enne Tolkien compilò il "Lessico Qenya", uno dei primi veri dizionari Elfici (vedere LT1:246). Innumerevoli revisioni influenti sia sulla grammatica che sul vocabolario separano il primevo "Qenya" dalla forma più o meno finale che è esemplificata ne Il Signore degli Anelli, ma lo stile fonetico generale era presente dal principio. Forme più sviluppate del Quenya emersero negli anni Trenta, ma revisioni minori furono effettuate pure mentre SdA era in corso di scrittura, come la modifica alla desinenza genitiva da -n a -o. Vi sono anche poche modifiche nella seconda edizione riveduta di SdA, come quando Tolkien decise che il vocabolo vánier nel Lamento di Galadriel doveva piuttosto essere avánier.
Durante tutta la sua vita, Tolkien continuò a rifinire la lingua Alto-Elfica, che secondo suo figlio Christopher era "il linguaggio che egli voleva, il linguaggio del suo cuore" (dal programma TV J.R.R. Tolkien - A Portrait a cura della Landseer Productions). In una delle sue lettere, Tolkien stesso scrisse: "L'arcaico linguaggio di sapienza è inteso come una specie di 'Latino Elfico', e nel trascriverlo in un'ortografia strettamente somigliante a quella del latino... la somiglianza col latino è stata visibilmente incrementata. Effettivamente potrebbe dirsi che sia composto su di una base latina con altri due ingredienti (principali) che mi danno piacere 'fonoestetico': il finnico ed il greco. È comunque meno consonantico di ognuna delle tre. Tale linguaggio è l'Alto-elfico o nei suoi propri termini Quenya (Elfico)" (Lettere:176). Il Quenya fu l'esperimento conclusivo in eufonia e fonoestetica, e secondo il gusto di molti, ebbe un glorioso successo. La struttura grammaticale, che coinvolge un gran numero di casi ed altre inflessioni, è chiaramente ispirata al latino ed al finnico.
Il campione più lungo di Quenya ne Il Signore degli Anelli è il Lamento di Galadriel, sc. il poema Namárië quasi alla fine del capitolo Addio a Lórien (SdA1/II cap. 8, che inizia Ai! laurië lantar lassi súrinen...) Molti degli esempi di riferimento nella discussione seguente sono tratti da tale poema. Altri importanti testi Quenya comprendono il poema Markirya in MC:222-223 ed il Canto di Fíriel in LR:72, sebbene la grammatica del secondo differisca alquanto dal Quenya in stile SdA; esso rappresenta una delle primitive varianti "Qenya" di Tolkien. (Markirya è assai posteriore e presumibilmente inteso come interamente compatibile con SdA.)
Negli anni recenti a milioni di persone sono stati esposti i linguaggi di Tolkien non solo nella versione scritta fornita da Tolkien medesimo, ma anche attraverso i film di Peter Jackson. La maggior parte dell'Elfico udito in tali film (inclusi tutti i dialoghi sottotitolati) è Sindarin, il vernacolo Elfico, piuttosto che Quenya, l'antica lingua cerimoniale. Pure vi sono almeno tre esempi preminenti di Quenya parlato nei film: l'invocazione di Saruman quando tenta di rovesciare la montagna sulla Compagnia (nai yarvaxëa rasselya taltuva notto-carinnar, "possa il tuo corno macchiato di sangue crollare su teste nemiche"), Frodo "che parla in lingue" nella Tana di Shelob (aiya Eärendil Elenion Ancalima, "salve Eärendil più brillante delle stelle"), e la formula dell'incoronazione di Aragorn, originariamente il giuramento di Elendil quando giunse alla Terra di Mezzo dalla rovina di Númenor (et Eärello Endorenna utúlien. Sinomë maruvan, ar hildinyar, tenn' Ambar-metta, "Giungo dal Grande Mare nella Terra di Mezzo. Sarà questa la mia dimora, e quella dei miei eredi, sino alla fine del mondo"). Il primo di questi tre campioni fu composto dal linguista Tolkieniano David Salo usando vocaboli e grammatiche Tolkieniane; gli altri due sono presi direttamente dal libro.
Il Quenya ha cinque vocali, a, e, i, o, u, brevi e lunghe; le vocali lunghe sono marcate con un accento: á, é, í, ó, ú. La vocale a è estremamente frequente. La qualità delle vocali rassomiglia al sistema in spagnolo o italiano piuttosto che all'inglese. Per chiarificare la pronuncia per lettori avvezzi all'ortografia inglese, Tolkien talvolta aggiunge una dieresi su alcune vocali (e.g. Manwë piuttosto che Manwe ad indicare che la finale e non è muta, o Eärendil ad indicare che le vocali e ed a sono pronunciate separatamente e non avvinte assieme come nell'inglese ear - i punti non sono necessari per il significato e possono essere omessi senza rischio in e-mail). I dittonghi sono ai, au, oi, ui, eu, iu. (Un settimo dittongo ei sembra occorrere in una o due parole, ma il suo status è incerto.) Le consonanti sono per la maggior parte le medesime dell'inglese, con le sibilanti come eccezione principale: ch come in church non ricorre, e nemmeno j come in joy, ed invece di sh, zh (l'ultima come s in pleasure), Il Quenya ha un suono come il tedesco ich-Laut, pronunciato hy da Tolkien (e.g. hyarmen "sud"). La h dell'inglese huge, human è talvolta pronunciata come una debole variante del suono in questione. Il Quenya difetta anche di th (sordo come in thing o sonoro come in the); il th sordo ricorre ad uno stadio iniziale, ma si confuse con s poco tempo prima della ribellione dei Noldor (vedere PM:331-333). Dovrebbe anche essere notato che le esplosive sonore b, d, g occorrono solamente nei gruppi mb, nd/ld/rd ed ng (alcune varietà del Quenya hanno anche lb invece di lv). Non vi sono gruppi di consonanti iniziali, eccetto qu (= cw), ty, ny e nw se si contano le semi-vocali y, w come consonanti. Normalmente non vi sono neppure gruppi finali; i vocaboli finiscono o in una delle singole consonanti t, s, n, l, r o in una vocale, più spesso in queste ultime. Frammezzo a vocali, può ricorrere un limitato numero di gruppi di consonanti; quelli descritti da Tolkien come "frequenti" o "favoriti" sono in italico: cc, ht, hty, lc, ld, ll, lm, lp, lqu, lt, lv, lw, ly, mb, mm, mn, mp, my, nc, nd, ng, ngw, nn, nqu, nt, nty, nw, ny, ps, pt, qu (per cw), rc, rd, rm, rn, rqu, rr, rt, rty, rs, rw, ry, sc, squ, ss, st, sty, sw, ts, tt, tw, ty, x (per ks). Poche altre combinazioni possono ricorrere in composti. La fonologia Quenya è alquanto restrittiva, conferendo al linguaggio uno stile ed un carattere chiaramente definiti.
Osservare che nella compitazione Quenya, la lettera c è sempre pronunciata k (così cirya "nave" = kirya). Tolkien fu incoerente a riguardo; in molte fonti è adoperata la lettera k, ma in SdA egli decise di compitare il Quenya più similmente possibile al latino. In alcuni casi, la k della fonte è stata regolarizzata in c nella discussione seguente.
I sostantivi Quenya sono declinati in nove o dieci casi. (Vi sono anche quattro numeri, ma noi ci manterremo per la maggior parte al singolare nell'elencazione dei casi.) I discenti non dovrebbero essere scoraggiati dal gran numero di casi. Ove l'inglese usa un preposizione a fronte di un sostantivo, il Quenya spesso preferisce aggiungere invece una desinenza al sostantivo; vi è ben poco più di questo.
IL nominativo singolare è la forma elementare, non inflessa del sostantivo; non ha speciali desinenze. La tipica funzione di un sostantivo nominativo è d'essere il soggetto di un verbo, come lómë "notte" o aurë "giorno" nelle grida udite prima e durante la Nirnaeth Arnoediad: Auta i lómë! "La notte sta per finire!" Aurë entuluva! "Il giorno risorgerà!" (Silmarillion capitolo 20).
Il Quenya parlato in Valinor ha unn accusativo il quale era formato per allungamento della vocale finale del sostantivo: cirya "nave" (nominativo), ciryá "nave" (accusativo). Sostantivi terminanti in una consonante presumibilmente non avevano un distinto accusativo. Al plurale, pure sostantivi terminanti in una vocale avevano la desinenza i, e.g. ciryai "navi" (nominativo ciryar). La funzione dell'accusativo era primariamente di contrassegnare che il sostantivo era l'oggetto di un verbo; non abbiamo esempi ma possiamo costruirne uno come haryan ciryá, "io ho una nave" (haryan ciryai "io ho [diverse] navi"). Ma nella Terra di Mezzo, il caso accusativo distinto sparì dall'idioma dei Noldor (cose simili accadono quando si è occupati a contrastare Orchi, Balrog, e Dragoni), ed il nominativo acquisì le sue funzioni precedenti. Così da allora fu OK dire haryan cirya, haryan ciryar. Scrittori moderni sembrano non adoperare mai l'accusativo distinto.
Il genitivo ha la desinenza -o, generalmente corrispondente alla desinenza inglese 's, sebbene un genitivo Quenya spesso sia reso meglio da una costruzione of- in inglese. Un esempio da Namárië è Vardo tellumar "le Varda-volte" o "(le) volte di Varda". Osservare che la desinenza -o rimpiazza la finale -a, perciò Vardo, non Vardao - ma la maggior parte delle altre vocali (sembra) non sono rimpiazzate: in MR:329 troviamo Eruo per "dell'Uno, di Eru". (Se il sostantivo termina già in -o, la desinenza diviene "invisibile"; normalmente il contesto indicherà che il sostantivo è un genitivo e non un nominativo. Un esempio attestato è Indis i Ciryamo "la moglie del marinaio"; cfr. ciryamo "marinaio".) Infrequentemente il genitivo porta il significato "da", cfr. Oiolossëo "dal Monte Semprebianco, da Oiolossë" in Namárië - ma ciò è usualmente espresso invece per mezzo del caso ablativo (vedere sotto). La desinenza genitiva plurale è -on, che può essere osservata nel titolo Silmarillion, "dei Silmaril", la frase completa essendo Quenta Silmarillion, "(la) Storia de(i) Silmaril". Un esempio da Namárië è rámar aldaron, "ali degli alberi", una circonlocuzione poetica per le foglie. La desinenza -on è aggiunta, non alla più semplice forma del sostantivo, ma al nominativo plurale. Così sebbene "albero" sia alda, "degli alberi" non è **aldon, ma aldaron in quanto il nominativo plurale "alberi" è aldar. Cfr. anche Silmaril, plurale Silmarilli, genitivo Silmarillion. (il raddoppio della finale l di Silmaril prima di una desinenza è un esempio di variazione della radice; alcune radici cambiano lievemente ove sia aggiunta una desinenza, spesso riflettendo una più antica forma del sostantivo.)
Quindi vi è il possessivo, da alcuni denominato "caso associativo" o "aggettivale"; Tolkien stesso ne parla come di un "genitivo... possessivo-aggettivale" in WJ:369. Tale caso ha la desinenza -va (-wa in sostantivi terminanti in una consonante). La sua funzione generale è quella del genitivo inglese, ad esprimere proprietà: Mindon Eldaliéva "Torre degli Eldalië". La funzione del possessivo fu a lungo scarsamente compresa. In Namárië occorre nella frase yuldar...miruvóreva, "sorsi... di idromele". Quest'unico esempio, che per più di vent'anni fu l'unico che avemmo, fece concludere a molti che la funzione di tale caso era di mostrare di cosa è composto qualcosa - invero il caso stesso fu chiamato "compositivo". Fortunatamente, The War of the Jewels p. 368-369 ci diede finalmente la spiegazione propria di Tolkien delle più normali funzioni di tale caso, e di come esso differisce dal genitivo. Il possessivo può, come già affermato, denotare possesso o proprietà. Tolkien diede l'esempio róma Oroméva, "corno di Oromë", usato per un corno che appartenne/appartiene ad Oromë al tempo di cui si sta narrando (passato o presente). Anche il genitivo róma Oromëo dovrebbe tradursi come "corno di Oromë", ma propriamente dovrebbe intendere "un corno proveniente da Oromë", implicando che il corno sia stato levato dal possesso di Oromë al tempo di cui si sta narrando. Comunque, il genitivo interferì nelle funzioni del possessivo in epoche successive. Cfr. il genitivo Vardo tellumar, non il possessivo *tellumar Vardava, per le "volte di Varda" in Namárië (se il genitivo non implica che le volte furono originate da Varda piuttosto che essa le possegga).
Il dativo ha la desinenza -n. Tale desinenza generalmente si traduce come la preposizione "per" o "a"; il pronome dativo nin "per me" (da ni "io") si trova in Namárië: Sí man i yulma nin enquantuva? "Chi riempirà ora per me la coppa?" Spesso il dativo corrisponde ad un oggetto indiretto in inglese: *I nís antanë i hínan anna, "the woman gave the child a gift [lett. 'la donna diede il bambino un dono', N.d.T.]" (diede un dono al bambino).
Il locativo ha la desinenza -ssë, che reca il significato "su" o "in". Nella versione Tengwar di Namárië che si trova in RGEO, il poema ha l'intestazione Altariello Nainië Lóriendessë, "Lamento di Galadriel in Lóriendë (Lórien)". Al plurale, tale desinenza ha la forma -ssen, vista nel vocabolo mahalmassen "sui troni" in UT:305 cfr. 317 (mahalma "trono"). Tale desinenza occorre anche nel pronome relativo ya in Namárië: yassen "in cui, nel quale" (Vardo tellumar...yassen tintilar i eleni, *"volte di Varda ove le stelle tremolano"). Rimandando ad una singola parola, "nel quale" dovrebbe presumibilmente essere yassë. L'uso delle desinenze dei casi piuttosto che delle preposizioni ad esprimere "in, da, a, con" (cfr. i prossimi paragrafi) è un tratto caratteristico della grammatica Quenya.
Sostantivi che terminano in -l od -n possono avere forme locative in -dë, e.g. meneldë, cemendë come forma locativa di menel "cieli", cemen "terra" (VT43:13,17). Tale -dë apparentemente discende dal più antico -zë (anche le forme menelzë, cemenzë sono attestate), e -zë a sua volta proverrebbe da *-së, una più breve variante della desinenza piena -ssë.
L'ablativo ha la desinenza -llo, che reca il significato "da" o "fuori di". Un esempio da Namárië è sindanóriello, "fuori dalla grigia campagna" (sinda-nórie-llo: "grigia-campagna-da"). Vi è anche il termine Rómello, *"da(ll') Est", contrazione di *Rómenello (Rómen "[l'] Est"). Cfr. anche il vocabolo Ondolindello "da Ondolindë (Gondolin)" in J. R. R. Tolkien - Artist and Illustrator p. 193.
L'allativo ha la desinenza -nna, indicante "a", "entro" o "sopra". Sia l'ablativo che l'allativo sono esemplificati nelle parole pronunciate da Elendil quando giunse alla Terra di Mezzo dopo la Caduta di Númenor, ripetute da Aragorn alla sua incoronazione (SdA3/VI cap. 5): Et Eärello Endorenna utúlien. "Giungo dal [lett. fuori dal] Grande Mare nella Terra di Mezzo" (Endor(e)-nna "Terra di Mezzo-ta"). L'allativo può anche recare il significato "sopra"; cfr. i falmalinnar "sulle onde spumeggianti" in Namárië (-linnar essendo la desinenza per il partitivo plurale allativo; vedere sotto).
Il caso strumentale ha la desinenza -nen e contrassegna lo strumento col quale qualcosa è fatto, o semplicemente la ragione del perché qualcosa avviene. Esempi da Namárië sono laurië lantar lassi súrinen, "come oro cadono [le] foglie al [o nel] vento", i eleni [tintilar] airetári-lírinen, "le stelle tremolano alla voce del suo canto, voce sacra di regina", letteralmente *"le stelle tremolano al suo canto sacro e regale". Un esempio di uno strumentale più tipicamente "strumentale" è fornito dalla frase i carir quettar ómainen, "coloro che formano parole con voci" (WJ:391), ómainen essendo il plurale strumentale di óma "voce".
Rispettivo (?): questo è il modo in cui alcuni hanno chiamato un caso che è elencato in una lettera che Tolkien spedì a Dick Plotz nella seconda metà degli anni sessanta (la cosiddetta Lettera Plotz è invero la nostra principale fonte di informazione circa i casi Quenya). La desinenza è -s (plurale -is), ma Tolkien non identificò tale caso con alcun nome, né lo abbiamo mai visto usato in un testo. La sua funzione è pertanto completamente ignota; esso è invero stato denominato Caso Misterioso. Alcuni scrittori lo hanno usato semplicemente come una desinenza locativa alternativa. Essi non hanno avuto visite notturne di Tolkien successivamente, così forse ciò è per lui accettabile.
Se le desinenze dei casi sono aggiunte ad un sostantivo che termina in una consonante, spesso una e è inserita tra il sostantivo e la desinenza a prevenire l'insorgere di un gruppo difficile: Elendil con la desinenza allativa -nna "a" diviene Elendilenna "a Elendil" (PM:401), non **Elendilnna. Comunque, se il sostantivo è plurale, una i è inserita tra il sostantivo e la desinenza: elenillor "da(lle) stelle" (elen "stella") (MC:222).
I numeri Quenya: i numeri [qui inteso come 'generi', N.d.T.] sono singolare, plurale, partitivo plurale e duale. Il singolare ed il plurale non necessitano di spiegazione. La funzione del partitivo plurale (così definito da Tolkien in WJ:388) come opposto al normale plurale non è totalmente compresa, ma sembra che esso denoti qualche esterno di un gruppo più ampio. Combinato con l'articolo definito i, può semplicemente denotare "molti": l'elemento li nella frase i falmalinnar "sulle onde spumeggianti" in Namárië fu tradotto "molte" da Tolkien nella sua traduzione interlineare in RGEO:66-67. Dacché -li è la desinenza per il partitivo plurale, fu a lungo chiamata "plurale multipla"; invero si era pensato che essa intendesse semplicemente "molti" degli oggetti in questione, mentre il normale plurale ne indica solo "diversi". Ciò può essere corretto in alcuni casi, ma non può essere l'intera storia. Il duale è usato con riferimento ad una coppia naturale, come due mani appartenenti ad una persona (cfr. il vocabolo máryat "le sue mani" in Namárië, -t essendo una desinenza duale, letteralmente "il suo paio di mani").
Il nominativo plurale è formato con una di due desinenze. La desinenza -r è usata se il sostantivo termina in qualche vocale eccetto -ë; ben noti esempi sono Vala pl. Valar, Elda pl. Eldar, Ainu pl. Ainur. Se il sostantivo termina in una consonante o in -ë, la desinenza plurale è -i, ed essa rimpiazza la finale -ë: Atan pl. Atani, Quendë pl. Quendi. (Ma se il sostantivo termina in -ië, esso forma il suo plurale in -r ad evitare una i seguente ad un'altra: tië "sentiero", tier "sentieri" - non **tii.) Negli altri casi, la desinenza plurale è o -r o -n; per esempio, la desinenza allativa -nna ha una forma plurale -nnar, la desinenza locativa -ssë diviene -ssen, e l'ablativa -llo può formare il suo plurale sia in -llon che in -llor. Nel dativo, nello strumentale e nel "relativo", il plurale è indicato dell'elemento i, inserito tra la radice del sostantivo e la medesima desinenza di caso come nel singolare. (Vedere l'elenco completo delle desinenze sotto.)
Il partitivo plurale ha la desinenza -li, presumibilmente *-eli in un sostantivo che termina in una consonante, ma può anche essere adoperata una contrazione o una forma assimilata (per esempio, il partitivo plurale di casar "nano" è casalli, per *casarli). Le desinenze per altri casi sono semplicemente aggiunte di seguito alla desinenza -li, e.g. ciryali "alcune navi" > allativa ciryalinna (o ciryalinnar) "ad alcune navi". Notare, tuttavia, che la vocale di -li è allungata prima delle desinenze -va e -nen per il possessivo e lo strumentale, rispettivamente: -líva, -línen.
Come il nominativo plurale, il nominativo duale è formato da una di due desinenze. La maggior parte dei sostantivi prendono la desinenza -t, come nel vocabolo máryat "le sue mani" (due mani, un paio di mani) in Namárië. "Due navi, una coppia di navi" è parimenti ciryat (cirya "nave"). Ma se l'ultima consonante della radice è t o d, la desinenza -u è preferita: Alda "albero", Aldu "i Due Alberi". Negli altri casi, una t è in qualche modo inserita nelle o aggiunta alle varie desinenze; per esempio, le desinenze -ssë, -nna e -llo per il locativo, l'allativo e l'ablativo, rispettivamente, volgono in -tsë, -nta e -lto (ciryatsë, ciryanta, ciryalto = "su/a/da una coppia di navi"). La desinenza strumentale -nen diviene -nten, mentre la desinenza dativa -n diviene -nt (ciryant "per una coppia di navi" - questo è, a proposito, il solo caso conosciuto di un gruppo di consonanti che sia permesso alla fine di un vocabolo in Quenya).
Queste, allora, sono le desinenze dei casi Quenya:
Nominativo: Sg. nessuna desinenza, pl. -r o -i, part. pl. -li (Quenya Letterario -lí), duale -t o -u.
Accusativo (solamente in Quenya Letterario): Sg. allungamento della vocale finale (se ve n'è una), pl. -i, part. pl. lí, duale: probabilmente allungamento della finale u in ú (nessun distinto accusativo nel caso di t-duali?)
Dativo: Sg. -n, pl. -in, part.pl. -lin, duale -nt (ma con ogni possibilità -en seguendo un duale in -u)
Genitivo: Sg. -o, pl. -on (aggiunto al nom.pl.), part.pl. -lion, duale -to.
Possessivo: Sg. -va, pl. -iva, part.pl. -líva, duale -twa.
Locativo: Sg. -ssë, pl. -ssen, part.pl. -lisse(n), duale -tsë.
Allativo: Sg. -nna, pl. -nnar, part.pl. -linna(r), duale -nta.
Ablativo: Sg. -llo, pl. -llon or -llor, part.pl. -lillo(n), duale -lto.
Strumentale: Sg. -nen, pl. -inen, part.pl. -línen, duale -nten.
Rispettivo: Sg. -s, pl. -is, part.pl. -lis, duale -tes.
(Vedere l'Appendice per esempi di sostantivi Quenya declinati in tutti i casi.)
Il Quenya ha un articolo definito i [generico come l'inglese "the", N.d.T.], e.g. i eleni "le stelle" in Namárië. Non vi è un articolo indefinito come l'Italiano "un, uno"; l'assenza dell'articolo i usualmente indica che il sostantivo è indefinito: Elen "stella" deve essere tradotto "una stella" quando la grammatica Italiana richiede un articolo, come nel famoso saluto Elen síla lúmenn' omentielvo "una stella brilla sull'ora del nostro incontro" (SdA1/I cap. 3). Ma talvolta la traduzione di Tolkien introduce un "the" ove non vi sia i nell'originale, cfr. la prima riga di Namárië: Ai! laurië lantar lassi... "Ah! come oro cadono le foglie..." piuttosto che solo "(alcune) foglie".
La maggior parte dei verbi Quenya può dividersi in due categorie. Il gruppo più piccolo può definirsi verbi di base (o primari). La radice d'un tal verbo rappresenta un radicale elementare senza addizioni. Per esempio, il verbo mat- "mangiare" proviene direttamente dal vocabolo radicale Eldarin MAT- d'accezione similare (LR:371); il verbo tul- "giungere" è semplicemente una manifestazione del vocabolo radicale TUL "giungere, arrivare" (LR:395).
Il secondo, più ampio gruppo di verbi Quenya può definirsi radici in A-, o verbi derivati. Essi mostrano tutti la vocale finale -a, ma essa non è parte del radicale elementare; le loro radici hanno annessa qualche desinenza a tale radicale. Le desinenze -ya e -ta sono di gran lunga le più comuni. per esempio, la radice TUL "giungere" fornisce non solo il verbo elementare tul- "giungere", ma anche le radici in A- più lunghe tulta- "convocare" e tulya- "portare". Qui le desinenze son viste modificare il significato della radice; in tal caso sia -ta che -ya sono causative, dacché "convocare" e "portare" sono variazioni dell'idea "far venire". Ma sovente, le desinenze sembrano non fare differenza per l'accezione (la radice SIR "fluire" produce il verbo elementare Quenya sir- dallo stesso senso, ma in una lingua correlata il verbo derivato sirya- è usato nella medesima accezione: LR:384). Taluni verbi con radici in A- mostrano desinenze meno frequenti come -na (e.g. harna- "ferire", apparentemente derivato dall'aggettivo o participio harna "ferito"); vi sono anche poche radici in A- che terminano nella semplice desinenza -a, e.g. ora- "incitare".
Sono noti cinque tempi Quenya: aoristo, presente, passato, perfetto, e futuro. (In tutta verosimiglianza, Tolkien immaginò anche altri tempi, come il piuccheperfetto - ma tali forme non sono esemplificate nel nostro materiale.)
L'aoristo è la più forma semplice per il suo significato e conformazione. Il significato di base del verbo non è modificato o limitato in alcun modo particolare. L'aoristo può esprimere verità generali, senza tempo, come quando gli Elfi son descritti come i carir quettar "coloro che creano parole" (WJ:391). Tuttavia, può descrivere egualmente bene un'azione semplice, in corso, come nel grido di battaglia udito prima della Nirnaeth Arnoediad: Auta i lómë! "La notte sta passando! [tradotto 'sta per finire' nell'edizione italiana, N.d.T.]" In tale contesto la traduzione "sta passando" è la versione più naturale in inglese [che ha un presente continuativo che all'Italiano manca e nel quale viene reso di solito con formazioni gerundie, N.d.T.], ma l'aoristo auta come tale indica semplicemente "passa" e non contrassegna esplicitamente l'azione come in-corso (come fa il presente Quenya, vedere in basso). Generalmente parlando, l'aoristo Quenya apparentemente corrisponde al semplice presente inglese (come opposto alla costruzione "is ...-ing"). Tolkien lo tradusse così spesso, e.g. nel primo rigo del Namárië: Ai! laurië lantar lassi súrinen, "ah! come oro cadono le foglie nel vento".
L'aoristo di un verbo di base originariamente mostrava la desinenza -i. In Quenya, la finale corta -i dei primissimi stadi dell'Elfico era mutata in -ë, così ora l'aoristo di un verbo primario come car- "creare, fare" appariva invece come carë (tale forma può essere tradotta "fa" oppure "crea"). Tuttavia, dacché la vocale era mutata soltanto quando occorreva alla fine di un vocabolo, si vede tuttora -i- ogniqualvolta ogni sorta d'ulteriore desinenza è annessa. Quando un verbo Quenya finito ricorre con un soggetto plurale, il verbo riceve la desinenza plurale -r, così l'aoristo carë "creano" corrisponde a carir "creano" nella frase "coloro che creano parole" citata sopra. Si vede anche -i- prima di tutte le desinenze pronominali; invero Tolkien assai sovente cita i verbi primari Quenya come forme aoristo con la desinenza -n "io" annessa (e.g. carin "faccio", LR:362, tulin "giungo", LR:395). Verbi con radici in A- non mostrano variazioni, ma terminano in -a se ogni ulteriore desinenza segua o no (e.g. lanta "cade", lantar "cadono" con un soggetto plurale, lantan "io cado", etc.)
A quel ch'è talvola chiamato il presente Quenya ci si riferisce anche come alla forma continuativa. Si riferisce ad un'azione che è esplicitamente identifivata come in corso, ed è spesso meglio tradotta per mezzo della costruzione inglese "is ...-ing". Il presente di un verbo elementare è formato aggiungendo la desinenza -a ed allungando la vocale del tema verbale stesso (la vocale lunga essendo marcata da un accento). Quindi il verbo sil- "splendere" ha la forma presente síla "splende"; il verbo mat- "mangiare" ha la forma presente máta "mangia" (o con soggetti plurali sílar "splendono", mátar "mangiano"). Talvolta Tolkien traduce le forme presenti Quenya per mezzo del semplice presente inglese, come nel famoso saluto elen síla lúmenn' omentielvo = "una stella splende sull'ora del nostro incontro". Sembra che l'aoristo ed il presente siano in certa misura intercambiabili; in una versione in bozze di tale saluto, Tolkien invero usò l'aoristo silë "splende" invece della forma presente síla "sta splendendo" (vedere RS:324).
Quanto al presente dei verbi con radice in A-, l'interpretazione tradizionale della grammatica Quenya era che la desinenza -a si fuse semplicemente con la -a finale già presente alla fine del tema verbale, così che (diciamo) lanta- "cadere" avrebbe il presente lanta "cade". Tale forma appariva attestata nel primo rigo del Namárië (con la desinenza -r per accompagnarsi al soggetto plurale lassi "foglie"): Laurië lantar lassi, "auree cadono fogiles", oppure "foglie d'oro stanno cadendo". Tuttavia, sembra che la forma lantar sia effettivamente un aoristo (cfr. sopra). Nel luglio 2000, nuovi esempi apparvero in Vinyar Tengwar #41: il verbo radice in A- ora- "incitare" mostrò d'avere il presente órëa "incita". Ciò sembrerebbe indicare che le radici in A- effettivamente hanno forme presenti in -ëa: apparentemente la -a finale del tema subisce dissimilazione in -ë- ad evitare due a in sequenza quando è annessa la desinenza -a associata al presente. Ove non vi è un gruppo di consonanti che segue la vocale-radice, è allungata proprio come nel caso dei verbi di base: quindi órëa da ora-. Comunque, la maggior parte delle radici in A- ha un gruppo consonantico a seguire la vocale-radice, ed a fronte di un gruppo, il Quenya non può avere una vocale lunga. Non si hanno esempi, ma si può assumere che una radice in A- come lanta- "cadere" abbia il presente lantëa "cade" (pl. lantëar "cadono"): dacché la vocale-radice non può essere allungata in tale posizione, soltanto la desinenza -ëa dice che questa è una forma presente (o continuativa).
Il passato Quenya mostra sempre la vocale finale -ë (sebbene desinenze secondarie possano di certo essere annesse; per esempio, si vede -er ove il verbo ha un soggetto plurale). Tale vocale -ë è assai sovente parte della desinenza -në, la quale sembra essere il più generale marcatore del passato in Quenya. Verbi con radice in A- tipicamente aggiungono questa desinenza. Per esempio, un verbo orta- "salire/sorgere" è elencato nelle Etimologie (voce ORO, LR:379), ed il canto Namárië in SdA dimostra che il suo passato è ortanë. Altri esempi attestati:
ulya- "mescere", passato ulyanë (LR:396 s.v. ULU)
hehta- "abbandonare", passato hehtanë (WJ:365)
ora- "incitare", passato oranë (VT41:18)
Quanto ai verbi primari, il quadro è alquanto diverso. Quando tali verbi terminano in -r od -m, possono assumere la desinenza -në proprio come le radici in A-, dacché i risultanti gruppi rn ed mn sono permessi dalla fonologia Quenya. Esempi dalle Etimologie includono tirnë come passato di tir- "guardare" e tamnë come passato Di tam- "picchiettare" (vedere alle voci TIR, TAM). Dacché anche la doppia nn è un gruppo Quenya permissibile, si può presumere che anche verbi primari in -n ricevano la desinenza -në; per esempio, sembra corretto supporre che il verbo cen- "vedere" abbia il passato cennë "vidi" (non attestato nel materiale pubblicato).
Comunque, verbi primari in -p, -t, e -c non possono ricevere la desinenza -në, dacché i gruppi pn, tn, cn che sorgerebbero non sono permessi in Quenya. Tale problema è risolto rimpiazzando l'elemento nasale della desinenza -në con infissione nasale che s'intrude prima della consonante finale del tema verbale. L'infisso nasale appare come m prima della p; prima della t è semplicemente n, e prima della c (k) è pronunciato come l'ng dell'inglese king, ma è tuttora compitato n: comparare la pronunzia dell'"nk" ortografico inglese come in think. Esempi dalle Etimologie (vedere alle voci TOP, SKAT, TAK):
top- "coprire", passato tompë
hat- "rompere", passato hantë
tac- "allacciare", passato tancë
Verbi primari che hanno -l come loro consonante finale sembrano arrendersi completamente all'elemento nasale; il passato di vil- "volare" è dato come villë (LR:398 s.v. WIL). Forse vil- (più antico wil-) originariamente formava il suo passato per mezzo di infissione nasale come i verbi in alto, ma *winle alla fine volse in villë per assimilazione. (Per tale sviluppo del più antico gruppo nl in Quenya, comparare il sostantivo nellë "ruscello", che Tolkien derivò dal più antico nenle: vedere alla voce NEN nelle Etimologie, LR:376.)
Il perfetto esprime l'idea di un'azione che è stata completata nel passato, ma che è tuttora "rilevante" al momento presente, usualmente in quanto i suoi effetti sono ancora sentiti. L'inglese non ha un perfetto unitario, ma impiega una circonlocuzione che coinvolge il verbo "to have" [avere, N.d.T.], come in "he has come" [che in italiano suona differentemente in quanto si impiega l'altro ausiliario, risultandone 'egli è giunto', N.d.T.]. Il Quenya ha un perfetto unitario. La sua formazione è alquanto complessa. Tutte le forme perfette ricevono la desinenza -ië (o con un soggetto plurale, -ier). La vocale della radice verbale è, se possibile, allungata. Quindi dal tema tul- "giungere" si ha il perfetto utúlië "è giunto". Come si vede, qui compare anche un prefisso u-. Tale prefisso, chiamato aumento, è effettivamente variabile nella forma, dacché è sempre identico alla vocale della radice verbale stessa. Perciò:
mat- "mangiare" vs. amátië "ha mangiato"
tec- "scrivere" vs. etécië "ha scritto"
ric- "torcere" vs. irícië "ha torto" (attestato in VT39:9)
not- "contare" vs. onótië "ha contato"
tuv- "trovare" vs. utúvië "ha trovato" (nel trovare l'arboscello dell'Albero Bianco, Aragorn esclama utúvienyes = "l'ho trovato")
In alcune delle primissime forme del Quenya di Tolkien, si trovano forme perfette senza aumenti, per esempio lendië (piuttosto che elendië) per "è andato" od "ha viaggiato" (la forma lendien in SD:56 - incorporando il suffisso -n "io" - può essere interpreted "ho viaggiato"). Occasionalmente, l'aumento è omesso in pure in fonti post-SdA, e.g. fírië piuttosto che ifírië per "è spirato" in MR:250 (verbo fir- "spirare, svanire, morire"). L'esempio lendië difetta anche della lunga vocale-radice normalmente associata al perfetto (non *léndië). Questo perché il Quenya non può avere una vocale lunga immediatamente a fronte di un gruppo consonantico, e la maggior parte dei verbi con radici in A- ha un gruppo consonantico che segue la vocale-radice che normalmente sarebbe allungata al perfetto. Buoni esempi Tolkieniani mancano, ma può presumersi che eccetto che per tale allungamento, il perfetto dei verbi derivati sia formato come nel caso di verbi primari: prefiggendo la vocale-radice come un aumento ed aggiungendo la desinenza -ië (tale desinenza rimpiazza la finale -a di tali verbi derivati):
panta- "aprire" vs. apantië "ha aperto"
menta- "inviare" vs. ementië "ha inviato"
tinta- "accendere" vs. itintië "ha acceso"
costa- "litigare" vs. ocostië "ha litigato"
tulta- "convocare" vs. utultië "ha convocato"
Comunque, anche i più semplici verbi derivati, con soltanto la breve desinenza -a, possono mostrare il normale allungamento della vocale-radice (dacché non vi è gruppo consonantico che segue la vocale). Un verbo come mapa- "ghermire, afferrare" può pertanto formare il suo perfetto proprio come se fosse un verbo primario **map-: perfetto presumibilmente amápië. I numerosi verbi con radice in A- in -ya possono comportarsi in un modo simile. Quando la desinenza perfetta -ië è annessa ad un verbo in -a, regolarmente destituendo la finale -a, ci si aspetterebbe la combinazione finale **-yië, ma il Quenya non può avere y + i. Pertanto, -yi- è semplificato in -i-, cosicché nulla si lascia dell'originale desinenza -ya. In breve, il perfetto di un verbo in -ya può essere formato come se tale desinenza non fosse presente affatto, lasciando solamente il radicale di base del verbo, il quale necessariamente si comporta come un verbo primario al perfetto. Si può avere un esempio attestato: nelle Etimologie, Tolkien elencò un verbo vanya- "andare, partire, sparire" (LR:397 s.v. WAN). Quel che potrebbe essere il suo perfetto, avánië, appare in Namárië (ivi con la desinenza plurale -r per accompagnarsi ad un soggetto plurale; Galadriel canta yéni avánier, tradotto "i lunghi anni sono passati", more letteralmente "...sono trascorsi"). La forma avánië esibisce tutte le caratteristiche che un verbo al perfetto può avere: prefisso della vocale-radice come un aumento a-, allungamento della vocale-radice in á nella sua normale posizione, e suffisso della desinenza -ië (che destituisce completamente lo -ya di vanya-). In una fonte post-SdA, Tolkien discusse tale forma perfetta ricorrente in Namárië e (re-?)interpretata come perfetto dell'assai irregolare verbo auta- "andarsene": vedere WJ:366. Comunque, sembra per intero possibile che quando Tolkien effettivamente scrisse il Namárië più di un decennio innanzi, concepisse un avánië come perfetto del verbo vanya-. Se così, tale esempio rivela come i numerosi verbi in -ya si comportano in questo tempo. Forse il verbo vanya- fu posteriormente abbandonato in quanto cozzava con l'aggettivo vanya "bello".
Il futuro ha la desinenza -uva (oppure con un soggetto plurale, -uvar). Per esempio, il futuro del verbo elementare mar- "dimorare, abitare" ricorre nel Giuramento di Elendil: maruva "abiterò" (ivi con la desinenza pronominale -n "io" annessa: sinomë maruvan, "in questo luogo abiterò"). La vocale finale delle radici in A- sembra decadere prima della desinenza -uva; esempi attestati includono linduva come il futuro di linda- "cantare" ed apparentemente oruva come il futuro di ora- "incitare". La forma antáva come futuro di anta- "dare" (LR:63) è un esempio divergente; qui si impiega la più semplice desinenza -va, combinata con allungamento della vocale finale del tema verbale. Tuttavia, la forma antáva proviene da una fonte precedente a SdA; Tolkien può aver rivisitata la lingua a posteriori. Gli altri esempi che si hanno suggeriscono che in Quenya in stile SdA, il futuro di anta- dovrebbe essere antuva (non attestato).
Il futuro è usato anche in una sorta di "formula augurale" introdotta dal vocabolo nai "sia che" o "desidero che". Perciò una forma futura come tiruvantes "essi lo terranno" (tiruva "guarderanno/terranno" + -nte "essi" + -s "lo") può essere usata ad esprimere un desiderio prefiggendo nai: il Giuramento di Cirion ha nai tiruvantes per "possano mantenerlo" oppure "sia che essi lo mantengano" (UT:305, 317).
Altre forme: in aggiunta ai cinque tempi (noti), il verbo Quenya può anche apparire in forme tali come l'infinito, il gerundio e l'imperativo. L'infinito di un verbo elementare (e.g. quet- "parlare") mostra la desinenza -ë, come nell'esempio polin quetë "posso parlare" (VT41:6). Verbi con radici in A- apparentemente non mostrano desinenze speciali all'infinito; la radice e l'infinito sono semplicemente identici (per esempio, il verbo lelya- "andare" avrebbe l'infinito lelya "andare"). Quindi, l'infinito è identico nella forma ad un aoristo (privo di desinenza). Il Quenya ha anche un infinito esteso che aggiunge la desinenza -ta; quando annessa all'infinito di un verbo di base, la sua desinenza -ë appare invece come -i-: mentre il più semplice infinito del verbo car- "fare, creare" è carë, i suo infinito esteso è perciò carita. L'infinito esteso può ricevere desinenze pronominali denotanti l'oggetto dell'infinito, e.g. -s "it" in caritas "farlo".
L'infinito esteso può anche funzionare come un gerundio, vale a dire, un sostantivo verbale l'equivalente inglese del quale è formato con la desinenza -ing. (Tale desinenza inglese è utilizzata anche a formare participi attivi, ma essi sono affatto distinti in Quenya, terminando invece in -la.) Un infinito esteso è visto funzionare come un gerundio nella frase lá carita i hamil mára alasaila ná, "non fare quel che tu giudichi buono non sarebbe saggio" (VT42:33). Un'altra desinenza infinita/gerundia è -ië, come nel sostantivo verbale tyalië "gioco" vs. il verbo elementare tyal- "giocare". La finale -a di un verbo con radice in A- sarebbe apparentemente omessa prima che la desinenza -ië sia annessa (e nel caso di un verbo che termina in -ya, tale desinenza intera se ne andrebbe, dacché **-yië sarebbe una combinazione impossibile). Combinati con la desinenza dativa -n "a, per", tali gerundi in -ië possono esprimere l'accezione di infiniti inglesi che significano "[al fine] di fare": il verbo enyal- "richiamare" è attestato nella forma enyalien "[al fine] di rievocare/commemorare", che Tolkien spiegò come un gerundio flesso per il dativo (UT:317).
L'imperativo può essere formato piazzando la particella imperativa indipendente á a fronte di una forma simile al più semplice infinito (od aoristo privo di desinenza). Quindi da carë "fare" può formarsi la frase imperativa á carë "fa'!" oppure "crea!" La particella imperativa può anche apparire nella forma più breve a, come quando i Portatori dell'Anello furono acclamati al grido a laita te! "benediteli!" al Campo di Cormallen. (Con ogni possibilità la forma corta a è preferita quando vi è una vocale lunga o dittongo nel seguente tema verbale, come il dittongo ai del verbo laita- "benedire, encomiare".) Un imperativo negativo può esser introdotto da áva "non!", e.g. áva carë "non far[lo]!" (WJ:371).
Vi sono anche poche forme imperative attestate che non includono la particella imperativa indipendente, ma impiegano la desinenza correlata -a. Perciò si hanno esclamazioni come ela! "guarda!" oppure heca! "vattene!" (WJ:364). Cfr. anche ëa! come l'imperativo del verbo "esistere", usata da Eru Ilúvatar quando concesse esistenza indipendente alla Musica degli Ainur: "Eä! Che queste cose Siano!" Non è noto quanto Tolkien intendeva che tale formazione fosse produttiva. Può essere che di base verbi possano avere forme imperative alternative con la desinenza -a (distinta dal presente dacché la vocale-radice non è allungata). Per esempio, forse l'imperativo di car- "fare" può essere *cara! così come á carë!
Verbi speciali: non tutti i verbi Quenya s'attagliano prontamente al sistema tratteggiato sopra. Le "irregolarità" sono sovente storicamente giustificate nei termini della soggiacente evoluzione fonologica che Tolkien aveva in mente, ed in tale prospettiva i verbi non sono al postutto irregolari. Così si parla di verbi "speciali" piuttosto che "irregolari".
Un esempio di una "irregolarità" storicamente giustificata è dato dal verbo rer- "seminare". Ci si potrebbe aspettare che il suo passato fosse **rernë; cfr. esempi tali come tir- "osservare", passato tirnë. Ma l'effettivo passato "seminò" è rendë. La discrepanza è facilmente spiegata: laddove il verbo tir- "osservare" riflette direttamente un primitivo radicale TIR, così che la r sia divenuta r in ogni parte, la -r finale del verbo rer- "seminare" effettivamente proviene da una primissima d: la radice originale è RED (LR:383). Il passato rendë è formato dalla semplice infissione nasale di tale radicale, così tale passato effettivamente è interamente analogo a (diciamo) quentë come regolare passato di quet- "dire, parlare". Comunque, siccome il Quenya evolvette dall'Elfico primitivo, una d originale che segua una vocale normalmente divenne z e quindi r. Così il radicale RED produceva un verbo primario rez- > rer-, ma nella forma passata rendë, la nasale infissa "schermava" l'originale d dalla precedente vocale. Perciò rimase d. - Altri verbi che possono appartenere a tale categoria includono hyar- "fendere", ser- "riposare" e nir- "premere, spingere", dacché essi sono derivati da radicali SYAD, SED, NID (vedere VT41:17 circa quest'ultimo). Comunque, le forme passate hyandë, sendë, nindë non sono esplicitamente menzionate nel materiale pubblicato.
Una forma attestata che apparterrebbe a tale categoria è lendë "andò" come passato del verbo "andare, viaggiare". La forma lendë sorge per infissione nasale di una base LED (elencata nelle Etimologie; in confomità col WJ:363 è ri-formato dal pure più antico DEL). La forma di base del verbo "andare" è lelya- (dal più antico ledyâ), così il passato lendë illustra anche un altro fenomeno: alcuni verbi in -ya dismettono tale desinenza al passato, che quindi è formato proprio come se avessimo a che fare con un verbo primario. Specialmente interessante a tal riguardo è il verbo ulya- "versare", che Tolkien annotò abbia un doppio passato: "versato" nel tempo transitivo, come in "l'uomo versò acqua in una coppa", è ulyanë con la normale desinenza passata -në annessa a -ya: una forma perfettamente "regolare" in conformità con le regole delineate sopra. Tuttavia, il passato "versato" in senso intransitivo, come in "il fiume si versava nella gola", è ullë. Osservare come la desinenza -ya sia soppressa ed il passato è formato direttamente dal tema UL. Non si ha abbastanza materiale per dire se tale soppressione di -ya prima della desinenza passata -në sia qualcosa che ha regolarmente corso. Può notarsi che il passato del verbo farya- "essere sufficiente" è dato come farnë (non **faryanë); tale forma sembra supportare una tal teoria (LR:381 s.v. PHAR).
Come già touched on, Tolkien può aver rimpiazzato il verbo vanya- "sparire" con auta- "andare via, lasciare", il quale ha un doppio insieme di passati e perfetti: passato oantë con perfetto oantië se il verbo è usato con riferimento a lasciare fisicamente un luogo ed andare a un altro, ma passato vánë con perfetto avánië quando il verbo è usato [nel senso, N.d.T.] di sparire o morire. Il vocabolo vanwa "andato,perduto, svanito, dipartito" è detto essere il "participio passato" di tale verbo, sebbene sembri così irregolare che potrebbe benissimo essere trattato come un aggettivo indipendente. Vedere WJ:366.
Mentre il passato della maggior parte dei verbi coinvolge una nasale, o nella forma di infissione nasale come in quentë "disse" da quet- "dire") oppure come parte della lunga desinenza passata -në, vi sono taluni verbi che non mostrano elemento nasale al passato. Invece, il passato è formato da allungamento della vocale-radice ed aggiunta della desinenza -ë. Il passato di lav- "lambire" è visto come lávë (composto in Namárië: undulávë = "sotto-lambito", i.e. "coperto completamente"). Il verbo negativo um- "non essere" o "non fare" parimenti ha il passato úmë. Tuttavia, la maggior parte dei vocaboli formati da verbi in tal maniera non sono forme passate, ma sostantivi astratti. Per esempio, il vocabolo sérë connette con il verbo ser- "riposare", ma sérë non è il passato "riposò"; esso indica "riposo" come un sostantivo. La formazione passata rappresentata da vocaboli come lávë ed úmë è pertanto ambigua dalla sua forma, e sembra piuttosto inusuale.
Alcuni verbi in -ta possono perdere tale desinenza al passato, e quel che rimane del tema verbale forma la sua forma passata secondo il modello úmë. Per esempio, il verbo onta- "procreare, creare" può avere la forma di tempo passato ónë (come alternativa alla forma regolare ontanë). Prove indirette da SdA suggeriscono che il verbo anta- "dare" può comportarsi nella medesima maniera: passato ánë piuttosto che (oppure così come) la regolare forma antanë, in sé non attestata (laddove ánë appare in materiale primevo). La forma
Il verbo "essere": le sole forme attestate di tale verbo sono ná "è", nar "sono" e nauva "sarà". Il passato "fu" può essere né. Le forme infinita e perfetta non sono attestate e sono incerte.
Molti aggettivi Quenya terminano nella vocale a:
laiqua"verde"
Vi sono anche un certo numero di aggettivi che terminano in ë, come carnë "rosso", varnë "scuro" o inimeitë "femmina". Può essere osservato che in Quenya in stile SdA, non sembrano esservi aggettivi in -o o -u. Relativamente pochi aggettivi terminano in una consonante - tipicamente n, come in firin, qualin "morto" (per causa naturale e accidentale, rispettivamente).
Gli aggettivi si accordano nel numero col sostantivo che descrivono. Aggettivi in -a hanno forme plurali in -ë, aggettivi in -ë o in una consonante hanno forme plurali in -i, ed aggettivi in -ëa hanno forme plurali in -ië:
vanya vendë"una bellissima fanciulla" > vanyë vendi "bellissime fanciulle"
Perciò nella prima riga di Namárië troviamo laurië lantar lassi, "come oro (lett. dorate) cadono le foglie", mentre "dorata cade una foglia" dovrebbe essere laurëa lanta lassë (sia il verbo che l'aggettivo accordandosi con lassë, lassi "foglia, foglie" in numero).
Il presente autore una volta pensava che il nome del giornale Vinyar Tengwar contenesse un errore; se il significato inteso era "Nuove Lettere", esso dovrebbe essere stato Vinyë Tengwar (vinya "nuovo", tengwa "lettera"). Ma come Carl F. Hostetter susseguentemente spiegò, il significato inteso è "Notiziario" [qualcuno riesce a rendere meglio in italiano "News Letters"? N.d.T.], così vinya è inflesso come un sostantivo. Questo autore era ancora scettico circa l'intera costruzione e pensò che avrebbe dovuto essere Tengwar Vinyaron "Lettere Notiziarie" o qualcosa di similare, ma il materiale che da allora è stato pubblicato mostra che "composti laschi" di tal fatta sono realmente possibili. (Ultima riga di querula difesa: tengwa "lettera" è attestata solamente con il significato "carattere", non "lettera" = "corrispondenza, missiva"!) Può essere notato che in alcune varianti iniziali del Quenya (o "Qenya"), gli aggettivi effettivamente avevano forme plurali in -r; cfr. LR:47, ove raikar è usato come la forma plurale di raika "erboso". Tolkien rivisitò la grammatica successivamente.
Una forma intensiva o superlativa dell'aggettivo è derivata dal prefisso an-: Calima "brillante", Ancalima "brillantissimo" (Lettere:279). Non sappiamo come costruire il comparativo ("più brillante"). Il vocabolo indipendente lil "più" da una fonte primeva può forse essere utilizzato, sebbene la fonte in questione descriva una variante iniziale del "Qenya" piuttosto che forme del Quenya di Tolkien più sviluppate (Parma Eldalamberon #14, p. 80). La medesima fonte menziona una forma combinata comparativa/superlativa in -lda, ma se sia tuttora concettualmente valida in Quenya in stile SdA è opinabile.
Il participio presente (o attivo) descrive la condizione in cui si è quando si fa qualcosa: se tu vai, tu stai andando; se tu pensi, tu stai pensando [le corrette declinazioni sarebbero "andante" e "pensante", N.d.T.]. In inglese, il participio presente è derivato dalle corrispondenti radici verbali con aggiunta della desinenza -ing. La corrispondente desinenza Quenya è -la. Vi sono molti esempi di essa nel poema Markirya (MC:221-222 cfr. 223). Per esempio, il participio falastala "spumeggiante" è derivato da una radice verbale falasta- "spumeggiare". Se la radice vocalica non è seguita da un gruppo di consonanti (o un'altra vocale), essa è allungata: il participio di hlapu- "volare" (nel vento, di spruzzi etc.) è hlápula. Radici verbali elementari come sil- possono essere volte in "radici continuative" (con vocale lunga e finale a: síla-) prima che la desinenza participia sia aggiunta, così "splendente" può essere sílala (attestato nel poema Markirya con una radice "frequentativa" sisílala, con raddoppio della prima sillaba). Ma la vocale connettiva può anche essere i, senza allungamento della radice vocalica; cfr. itila "brillante, sfavillante" in PM:363 (radice it-, sebbene sia data anche una radice verbale ita-).
Il participio passato (o passivo) descrive la condizione in cui ci si trova se si è esposti all'azione del corrispondente verbo (se qualcuno vi vede, voi siete visti; se qualcuno vi uccide, da quel momento sarete uccisi), o, nel caso di alcuni verbi, la condizione in cui si è dopo aver completato l'azione descritta dal verbo (se voi andate, da quel momento sarete andati). In Quenya, la maggior parte dei participi passati sono derivati dal corrispondente verbo con la desinenza -na o -ina. Il participio passato di car- "creare" è carna "creato"; la radice rac- indica "rompere", mentre rácina è "rotto" (se non vi è un gruppo di consonanti in seguito alla radice vocalica, tale vocale sembra essere allungata quando la desinenza participia è aggiunta, come a > á in tal caso). Se la radice termina in l, la desinenza -na è dissimilata in -da: mel- "amare", melda "amato" (la glossa di Tolkien di quest'ultimo, "amore, caro" piuttosto che "amato", indica che la distinzione tra gli aggettivi ed i participi talvolta diviene confusa).
Il participio pasto probabilmente si accorda in numero col sostantivo che descrive (la finale -a divenendo -ë al plurale, così come coi normali aggettivi), ma il participio presente non cambia -la in -lë come ci si potrebbe aspettare; sembra essere indeclinabile (MC:222: rámar sisílala "ali splendenti", non **rámar sisílalë). Forse questo è per evitare confusione con la desinenza sostantiva verbale -lë "-ing" (come in Ainulindalë "la Musica degli Ainur", letteralmente *"Ainu-canto").
I pronomi sono sempre stati un problema. Vi sono molti punti incerti, ed il soggetto è ulteriormente intorbidito dal fatto che Tolkien sembra aver riveduto il sistema pronominale ripetutamente. Il sistema delineato qui è rimesso assieme da molte fonti e comporta sia estrapolazioni, ricostruzioni che alcune scelte inoppugnabilmente arbitrarie. Nemmeno per un istante penserò che sia al 100 % corretto secondo le intenzioni finali di Tolkien.
Una cosa, almeno, è perfettamente chiara: i pronomi Quenya usualmente appaiono come desinenze direttamente suffisse ad un verbo o sostantivo, non così spesso come parole indipendenti, come in inglese. Esempi da Namárië sono i termini máryat e hiruvalyë. Máryat significa "le sue mani", "sue" [di lei, N.d.T.] essendo espresso dalla desinenza pronominale -rya (qui seguita dalla desinenza duale -t a denotare un naturale paio di mani). Hiruvalyë è "tu troverai", "tu" essendo espresso dalla desinenza pronominale -lyë aggiunta al verbo hiruva "troverai" [la versione inglese adotta la locuzione "shall (shalt) find", N.d.T.]. Cfr. anche la desinenza -n "io" nelle parole di Elendil Endorenna utúlien, "Giungo... nella Terra di Mezzo" (utúlië-n "giungo-io").
Questo è un tentativo, e nulla più, di compilare una tabella delle desinenze pronominali adoperate nei verbi:
1. persona sg: -n o -nyë "io"
2. persona sg e pl, di cortesia: -l o -lyë "tu"
2. persona sg e pl, familiare: *-ccë "te" (basato su di una desinenza Sindarin -ch, assai ipotetica!)
3. persona sg.: -s "egli, ella, esso" (possono anche esservi forme specifiche di genere ro "egli", rë "ella")
1. persona pl. -lmë: "noi" (esclusivo), -lvë oppure -lwë "noi" (inclusivo)
3. persona plurale -ntë "essi"
Si dovrebbe notare che vi è una distinzione tra il "noi" esclusivo e l'inclusivo, dipendente dal fatto che la persona in indirizzo sia inclusa nel "noi" o meno. In aggiunta alle desinenze -lvë (-lwë) per il "noi" inclusivo ed -lmë per l'esclusivo, vi è anche la desinenza -mmë per il "noi" duale, un "noi" che coinvolge solamente due persone. Non è, tuttavia, chiaro se tale -mmë sia inclusivo (sc. "tu ed io") oppure esclusivo (sc. "egli/lla ed io"), od invero se la distinzione inclusivo/esclusivo sia qui mantenuta. Se lo è, -mmë è più verosimilmente esclusivo. - Dovrebbe notarsi che Tolkien rivide le desinenze per "noi" più di una volta. Un altro sistema che adoperò, che si riflesse in versioni iniziali di tale articolo e allo stesso modo del mio corso Quenya, aveva -mmë come la desinenza per il "noi" esclusivo (plurale), laddove -lmë era la desinenza per il "noi" inclusivo (plurale). This system Tolkien apparentemente abbandonato ad un certo punto negli anni Sessanta.
Esempi: lendë "andai", lenden o lendenyë "io andai", lendel o lendelyë "tu [cortese] andasti", *lendeccë "tu [familiare] andasti", lendes "egli/ella/esso andò", lendelmë "noi [esclusivo] andammo", *lendelvë "noi [inclusivo] andammo", lendemmë "noi [= duale] andammo", lendentë "essi andarono". L'oggetto può anche essere espresso come una desinenza pronominale aggiunta direttamente al verbo, seguendo la desinenza che denota il soggetto. Cfr. l'esclamazione di Aragorn quando trovò l'arboscello dell'Albero Bianco: Utúvienyes!, "l'ho trovato!" (utúvie-nye-s "ho trovato-io-esso"; SdA3/VI cap. 5), o una parola dal Giuramento di Cirion: tiruvantes "essi lo prenderanno" (tiruva-nte-s "prenderanno-essi-esso, UT:317).
Come indicato dal vocabolo máryat "le sue mani" discusso sopra, pure i pronomi possessivi come "suo, mio" sono espressi da desinenze in Quenya, aggiunte direttamente al sostantivo (in tal caso má "mano"). le desinenze possessive adoperate sui sostantivi per la maggior parte corrispondono alle desinenze pronominali usate sui verbi, ma terminano in -a:
1. persona sg: -nya "mio"
2. persona sg e pl, di cortesia: -lya "tuo"
2. persona sg e pl, familiare: *-cca "tuo" (basato su id una desinenza Sindarin, assai ipotetica!)
3. persona sg: -rya "suo" (e con probabilità "loro")
1. persona pl: *-lma: "nostro" (esclusivo), *-lva "nostro" (inclusivo)
1. persona duale: *-mma: "nostro" (duale, o inclusivo "tuo e mio", oppure esclusivo "suo e mio" - se vi sia qui una distinzione tra pronomi inclusivi ed esclusivi)
3. persona pl.: *-nta "loro"
Esempio: parma "libro", *parmanya "mio libro", *parmalya "tuo (cortese) libro", *parmacca "tuo (familiare) libro", *parmarya "suo/?loro libro", *parmalma "nostro (esclusivo - non tuo!) libro", *parmalva "nostro (includendo tuo) libro", *parmamma "nostro (duale) libro", *parmanta "loro libro" (l'ultimo dei quali non deve essere confuso col duale allativo "ad una coppia di libri"). Nel caso di sostantivi terminanti in una consonante, una e può essere inserita tra il sostantivo e la desinenza possessiva, e.g. nat "oggetto", *naterya "suo oggetto". Al plurale, la desinenza plurale -i può servire a separare sostantivo e desinenza, e.g. *nati "oggetti", *natiryar "suoi oggetti" - ma come vediamo, una desinenza plurale aggiuntiva r appare dopo il suffisso; cfr. il prossimo paragrafo. Vi sono alcune indicazioni che la desinenza -nya "mio" prediliga sempre i come sua vocale connettiva, sempre al singolare, come in Anarinya "mio Sole" in LR:72 (Anar "Sole"). Perciò *natinya "mio oggetto".
Le forme con desinenze possessive sono flesse come normali sostantivi. Esempi costruiti: nominativo parmanya "mio libro" (pl. parmanyar "miei libri"), genitivo parmanyo "del mio libro" (pl. *ìparmanyaron), possessivo parmanyava "del mio libro" (pl. parmanyaiva), dativo parmanyan "per il mio libro" (pl. parmanyain), locativo parmanyassë "nel mio libro" (pl. parmanyassen), allativo parmanyanna "al mio libro" (pl. parmanyannar), ablativo parmanyallo "dal mio libro" (pl. parmanyallon, parmanyallor), strumentale parmanyanen "dal mio libro" (pl. parmanyainen) - e rispettivo parmanyas pl. parmanyais, qualunque cosa significhi. Esempi attestati sono tielyanna "sul tuo cammino" in UT:22 cfr. 51 (tie-lya-nna "sentiero-tuo-sopra") e omentielvo "del nostro incontro" nel famoso saluto Elen síla lúmenn' omentielvo "una stella brilla sull'ora del nostro incontro" (omentie-lva-o "incontro-nostro-del", la desinenza genitiva -o spiazzando la finale -a della desinenza pronominale; cfr. Vardo per **Vardao).
Tuttavia, il Quenya possiede pronomi indipendenti in aggiunta alle numerose desinenze discusse sopra. Alcuni di essi sono enfatici. Le righe finali di Namárië ci forniscono di un buon esempio di ciò. Nella frase nai hiruvalyë Valimar "Forse un giorno troverai Valimar", "tu" è espresso con la desinenza -lyë unita al verbo hiruva "troverai", come spiegato sopra. Ma nella frase seguente, nai elyë hiruva "pure tu forse un giorno [lo] troverai", è usato il corrispondente pronome indipendente elyë per enfasi: perciò la traduzione "pure tu". Un altro pronome indipendente attestato è inyë "(pure) io". Si presume che la maggior parte dei pronomi indipendenti siano formati dal prefisso e- alla corrispondente desinenza pronominale, come *elmë "(pure) noi", ma tali forme non sono attestate nel nostro piccolo corpus. Le parole enfatiche per "egli, ella, esso" sono incerte.
Altri pronomi indipendenti, apparentemente non enfatici, comprendono ni "io" (dativo nin "per me" in Namárië), nye "me", ce "tu" (come soggetto), tye "te, tu" (come oggetto), lye "tu" (forse più formale che non ce), le "tu" (forse plurale "voi" in alcune versioni del linguaggio), ta "esso, quello" (un'altra versione di Quenya ha ta come un pronome plurale "essi" riferentesi a oggetti inanimati), te "essi" (e *"loro"?), me "noi" (duale met "noi due" in Namárië). "Egli, ella" possono essere so, se (cfr. LR:385) sebbene possano anche esistere talune forme di Quenya che hanno se come un pronome di genere neutrale "he/she", che contrasta con sa "esso".
I seguenti esempi sono per la maggior parte quelli elencati da Tolkien nella cosiddetta Lettera Plotz, inviata a Dick Plotz a metà degli anni Sessanta; riprodotta da Nancy Martsch in Basic Quenya Appendice A:
1. CIRYA "nave" (un plurale in R)
Singolare: nominativo cirya "una nave", (accusativo ciryá solamente in arcaico Quenya Letterario,) dativo ciryan "per una nave", genitivo ciryo "di/da una nave", possessivo ciryava "di una nave", locativo ciryassë "su/in una nave", allativo ciryanna "ad una nave", ablativo ciryallo "da una nave", strumentale ciryanen "con/per una nave", rispettivo ciryas (significato sconosciuto).
Plurale: nominativo ciryar "navi", (accusativo ciryai in Quenya Letterario, tardo ciryar,) dativo ciryain, genitivo ciryaron, possessivo *ciryaiva (non in Plotz), locativo ciryassen, allativo ciryannar, ablativo ciryallon (o *ciryallor, non in Plotz), strumentale ciryainen, rispettivo ciryais.
Partitivo plurale: nominativo ciryali *"alcune navi" (in arcaico "Quenya Letterario" ciryalí sia al nominativo che all'accusativo), dativo ciryalin, genitivo ciryalion, possessivo ciryalíva, locativo ciryalissë o ciryalissen, allativo ciryalinna o ciryalinnar, ablativo ciryalillo o ciryalillon, strumentale ciryalínen, rispettivo ciryalis.
Duale: Nominativo ciryat "due navi, una coppia di navi" (nessun distinto accusativo pure in arcaico Quenya?), dativo ciryant, genitivo ciryato, possessivo ciryatwa, locativo ciryatsë, allativo ciryanta, ablativo ciryalto, strumentale ciryanten, rispettivo ciryates. Nel caso di un duale in u, comunque, la dualità è già sufficientemente espressa dal suffisso -u, così le normali desinenze di caso senza t sono (presumibilmente) usate: nominativo aldu "due alberi", (accusativo *aldú,) genitivo *alduo, possessivo *alduva, dativo *alduen, allativo *aldunna, ablativo *aldullo, locativo *aldussë, strumentale *aldunen, rispettivo *aldus.
2. LASSË "foglia" (un plurale in I)
Singolare: Nominativo. lassë "foglia", (acc. lassé,) dativo lassen "per una foglia", genitivo lassëo "di una foglia", possessivo lasséva "di una foglia", locativo lassessë "in/su una foglia", allativo lassenna "ad una foglia", ablativo lassello "da una foglia", strumentale lassenen "con una foglia", rispettivo lasses (significato sconosciuto).
Plurale: Nom. lassi "foglie", (acc. lassí,) dat. lassin, gen. lassion, poss. *lassiva (non in Plotz), loc. lassessen, all. lassennar, abl. lassellon o lassellor, st. lassenen, risp. lassis.
Partitivo plurale: Nom. lasseli (in "Quenya Letterario" lasselí sia al nom. che all'acc.), gen. lasselion, poss. lasselíva, dat. lasselin, loc. lasselisse/lasselissen, all. lasselinna/lasselinnar, abl. lasselillo/lasselillon, str. lasselínen, risp. lasselis.
Duale: Nom/acc lasset "una coppia di foglie", dat. lassent, gen. lasseto, poss. lassetwa, loc. lassetsë, all. lassenta, abl. lasselto, st. lassenten, risp. lassetes.
La Lettera Plotz non dà l'esempio che coinvolga un sostantivo terminante in una consonante, ma deve essere qualcosa come questo:
3. NAT "oggetto"
Singolare: Nominativo nat "oggetto", dativo *naten "per un oggetto", genitivo *nato "di un oggetto", possessivo *natwa "di un oggetto", locativo *natessë "in/su un oggetto", allativo *natenna "ad un oggetto", ablativo *natello "da un oggetto", strumentale *natenen "per/con un oggetto", rispettivo *nates (significato sconosciuto).
Plurale: Nom. *nati "oggetti", (acc. *natí,) dat. *natin, gen. *nation, poss. *nativa, loc. *natissen, all. *natinnar, abl. *natillon o *natillor, st. *natinen, risp. *natis.
Partitivo plurale: Nom. *nateli (in "Quenya Letterario" *natelí sia in nom. che in acc.), dat. *natelin, gen. *natelion, poss. *natelíva, loc. *natelisse/natelissen, all. *natelinna/natelinnar, abl. *natelillo/natelillon, instr. *natelínen, risp. *natelis.
Duale: Nom/acc *natu "una coppia di oggetti" (la desinenza -u essendo preferita dacché la radice termina in una t): dat. *natuen, gen. *natuo, poss. *natuva, loc. *natussë, all. *natunna, abl. *natullo, str. *natunen, risp. natus. Ma una radice consonantica non terminante in -t o -d, come elen "stella", dovrebbe presumibilmente essere come questo: Nom/acc. *elenet "una coppia di stelle", dat. *elenent, gen. *eleneto (*elento?), poss. *elenetwa, loc. *elenetsë, all. *elenenta (forse contratto in *elenta), abl. *elenelto, st. *elenenten (forse contratto in *elenten), risp. *elenetes (*elentes?).