I Yessessë

Il Primo Capitolo del Genesi in Quenya

di Helge Fauskanger - traduzione di Gianluca Comastri

I testi Quenya scritti recentemente tendono ad essere in versi. La prosa è rara. Bene, proviamo a produrre un testo Quenya relativamente lungo in prosa. Traduciamo il primo capitolo della Bibbia in Quenya!

Fortunatamente, la maggior parte del vocabolario che necessita è prontamente disponibile. Una delle primissime parole, "principio", è comunque un tantino problematica. Nelle Etimologie abbiamo essë "principio", ma ciò cozza col vocabolo per "nome", ben attestato in fonti successive ed anche listato alla voce precedente in Etim! La voce ESE-, ESET-, che produsse essë "principio", fu marcata con un punto interrogativo: Tolkien ebbe a riflettere su questo! Un altro vocabolo derivato dalla medesima radice era esta "primo", e ciò ci dà un indizio di come Tolkien infine decise di rimuovere l'omofonia: in SdA Appendice D, nelle descrizioni dei calendari, troviamo il vocabolo yestarë, il nome del primo giorno dell'anno. Yestarë a stento può indicare qualcos'altro che "primo-giorno" (l'elemento - "giorno" appare anche in molte altre parole). Sembra, quindi, che Tolkien abbia deciso di prefissare una y alla radice ESE-, ESET- a mantenere i vocaboli derivati da essa separati dai derivativi di ES, avente a che fare con nomi e denominazioni. Esta "primo" così divenne yesta, e dobbiamo presumere che essë "principio" similmente divenne yessë. Così le prime parole della Bibbia, "in principio", possono essere rese i yessessë.

È un peccato che non conosciamo qual è il nominalizzatore "che" (come opposto al pronome "che") in Quenya. Dovrebbe necessitare in proposizioni tali come "Dio vide che la luce era buona". Dovremo giusta omettere il "che"; è possibile in inglese, e per il Quenya difettiamo di esempi: Eru cennë i cálë né mára = "Dio vide che la luce era buona".

Il verbo "essere" è un problema. Le sole forme attestate in Quenya maturo sono "è", nar "sono" e nai "può essere". Il Canto di Fíriel in LR:72 ha ye "è" ed il futuro yéva "sarà". Il primo sembrerebbe essere reso obsoleto da , e dacché yéva palesemente appartiene al medesimo paradigma, è probabilmente obsoleto, e come. Pure così, useremo la forma yéva alcune volte, dacché è almeno "genuina di Tolkien" e non è chiaro che cosa sia "sarà" in Quenya maturo (nauva? náva? núva?). Ma si va necessitanto di un termine per "era", eccome. Se il verbo è regolare, dovremmo aspettarci "era" come qualcosa tipo *nanë, ma chi ha mai sentito di un linguaggio con un regolare verbo "essere"? (Sì, c'è esti, estas, estis, estos, estus, estu, ma l'Esperanto non conta!) Nel suo Basic Quenya, Nancy Martsch puntualizza che vi è qualche tradizione per usare come il termine Quenya per "era", e tale forma è valida quanto un'altra fino a quando i carteggi linguistici di Tolkien siano pubblicati. Come l'imperativo di , un'altra forma non attestata, useremo na nella congiunzione con l'indipendente particella imperativa á - perciò ána = "o sia!"; comparare áva "non" dal più semplice radicale BA avente a che fare col rifiuto (vedere WJ:370-371). Ma dove il verbo "essere" non è una mera copula, ma acquisisce un senso più assoluto ("esistere"), utilizzeremo il verbo ëa, passato *ëanë (come in ëanë mornië or i undumë = "vi era oscurità (l'oscurità esisteva) sull'abisso". L'Ainulindalë narra di come Eru diede la Musica esistenza indipendente con questa parola: "Eä! Che queste cose siano!" Pertanto, possiamo probabilmente usare costruzioni come ëa cálë! = "sia la luce!"

Andiamo anche necessitando di un verbo "dividere". Le Etimologie ci forniscono di una primitiva radice KIL avente tale significato, ma nessun verbo Quenya. Potremmo semplicemente usare *cil-, ma cilmë, che dovrebbe essere il corrispondente sostantivo verbale, è usato per "scelta" in opere posteriori. Perciò cil- = "scegliere"? Questo può rappresentare la medesima idea elementare "dividere": scegliendo voi preferite una alternativa, in tal modo dividendo o separandola dalle altre opzioni. Eppure, per "dividere" dovremmo probabilmente tentare di trovare un altro termine che non cil-. Dall'aggiunta di un'assai frequente desinenza verbale a KIL deriviamo *cilta- (un verbo che credo d'aver visto in un altro testo Quenya, non mio). La desinenza -ta può avere un significato causativo, come in tulta- "convocare" (far venire) come comparato alla radice TUL "venire", ma talvolta essa non aggiunge nulla al significato del radicale elementare, come quando la radice LEK "liberare, scatenare" fornisce il verbo Quenya lehta- dal significato similare (*kt divenendo ht in Quenya). Pertanto un verbo cilta- può avere lo stesso significato della radice elementare KIL, "dividere". (Cilta- è tradotto "separare" sotto.)

Quindi vi è il problema degli ordinali. Abbiamo vocaboli per "primo, secondo, terzo" (minya, tatya, nelya), ma che dire di "quarto", "quinto" e "sesto"? Andiamo necessitandone, eccome. Bene, minya, tatya, nelya "primo, secondo, terzo" corrispondono a minë, atta, neldë "uno, due, tre", che sono derivati dalle primitive radici MINI, AT(AT) e NÉL-ED. Sembrerebbe che gli ordinali siano formati con la ben nota desinenza aggettivale -ya. I vocaboli per "quattro, cinque, sei" sono canta, lempë, enquë, dalle radici KÁNAT, LEP (LEPEN) e ÉNEK. Dacché la desinenza -ya discende dal primitivo -, potremmo avere i primitivi ordinali *kanatjâ "quarto", *lepjâ, *lepenjâ "quinto" e *enekjâ "sesto", che dovrebbero divenire canatya/cantya, lepya/lepenya e enetya in Quenya. Ma KÁNAT sembra essere una forma estesa di una più corta radice *KAN, da non confondersi con la radice KAN- "osare" data in LR:362. Tale più breve forma evidentemente soggiace al prefisso can- *"quattro-". Dacché l'attestato ordinale nelya "terzo" viene da nel (WJ:421) piuttosto che dalla più lunga radice NÉL-ED data nelle Etimologie, penso che dovremmo optare per canya (dalla corta radice *KAN-) piuttosto che per cantya come il vocabolo per "quarto", sebbene questo produca un conflitto conun termine per "baldanzoso" dato in LR:362 (ivi compitato kanya). Non sono interamente favorevole alle forme lepya/lepenya e enetya, nemmeno; esse sono troppo diverse dai numerali lempë, enquë. Penso che preferirò lempëa e enquëa per "quinto" e "sesto", derivandoli dai vocaboli per "cinque" e "sei" con la frequente desinenza aggettivale -a.

Vi sono pochi altri problemi, per giunta; dovremo avere di che inventarci un termine per "insetto" nel procedere (che dire di celvallë, diminutivo di celva "animale"?) Ma sotto vi sono commenti verso per verso per ciò di cui necessitiamo. Voci di vocabolario non specialmente menzionate possono trovarsi (spero) nell'Indice delle Etimologie Elfico-Inglese e/oppure nel Vocabolario del Corpus Quenya.

E va bene... facciamolo!

1 I yessessë Eru ontanë Menel ar Cemen. 2 Cemen né cumna ar lusta, ar ëanë mornië or i undumë, nan Eruo Súlë willë or i neni.

3 Ar equë Eru: "Eä cálë!" Ar ëanë cálë. 4 Eru cennë i cálë né mára, ar Eru ciltanë i cálë i morniello. 5 Ar Eru estanë i cálë Aurë, ar i mornië estanéro Lómë. Ar ëanë sinyë, ar ëanë arin, i minya aurë.

6 Ar equë Eru: "Eä telluma endessë i nenion, ar ciltuvas nén nenello." 7 Ar Eru carnë i telluma ar ciltanë i neni or i telluma i nenillon nu i telluma. Ar nés ve ta. 8 Ar Eru estanë i telluma Menel. Ar ëanë sinyë, ar ëanë arin, i tatya aurë.

9 Ar equë Eru: "Ána i neni nu menel hostainë minë menessë, ar ána i parca nór cénina!" Ar nés ve ta. 10 Ar Eru estanë i parca nór Cemen, nan i hostainë neni estanéro Eär. Ar Eru cennë ta né mára.

11 Ar equë Eru: "A cola cemen salquë, olvar carila erdi, yávaldar colila yávë nostalentassen, mi cemen." Ar nés ve ta. 12 Cemen collë salquë, olvar carila erdi, nostalentassen, ar aldar colila yávë yassë ëar erdentar, nostalentassen. Ar Eru cennë ta né mára. 13 Ar ëanë sinyë, ar ëanë arin, i nelya aurë.

14 Ar equë Eru: "Eä calmar tellumassë menelo ciltien aurë lómello, ar yévantë tannar asarion ar aurion ar coranárion. 15 Yévantë calmar tellumassë menelo caltien cemenna." Ar nés ve ta. 16 Eru carnë i atta altë calmar, i analta calma turien auressë ar i pitya calma turien lómessë, ar i eleni. 17 Ar Eru panyanë te tellumassë menelo caltien cemenna 18 ar turien auressë ar lómessë ar ciltien cálë morniello. Ar Eru cennë ta né mára. 19 Ar ëanë sinyë, ar ëanë arin, i canya aurë.

20 Ar equë Eru: "A ëa úvë cuinë onnolíva i nenissen, ar a wila aiweli tellumassë menelo." 21 Ar Eru ontanë i altë ëarcelvar ar ilya úvë cuinë onnaiva i rihtar i nenissen, nostalentassen, ar ilyë rámavoiti onnar nostalentassen. Ar Eru cennë ta né mára. 22 Ar Eru laitanë te ar quentë: "Ána yávinquë ar ána rimbë, quata nén i ëarion, ar i aiwi yévar rimbë mi cemen!" 23 Ar ëanë sinyë, ar ëanë arin, i lempëa aurë.

24 Ar equë Eru: "A cola cemen cuinë onnar nostalentassen, lamni ar celvaller ar cemeno hravani celvar, nostalentassen." 25 Ar Eru carnë cemeno hravani celvar nostalentassen, ar i lamni nostalentassen ar ilyë celvar i vantar mi cemen, nostalentassen. Ar Eru cennë ta né mára.

26 Ar equë Eru: "A caralmë Atan venwelmassë, canta ve me; ar turuváro ëaro lingwi ar menelo aiwi ar i lamni ar ilya cemen ar ilyë celvar i vantar mi cemen." 27 Ar Eru ontanë Atan venweryassë, Eruo venwessë ontanéros; hanu ar ní ontanéro te. 28 Ar Eru laitanë te, ar equë Eru na te: "Ána yávinquë ar ána rimbë, quata cemen ar panya ta nu le, ar tura ëaro lingwi ar menelo aiwi ar ilyë cuinë onnar i vantar mi cemen." 29 Ar equë Eru: "Cena, antan len ilyë olvar carila erdi, ilya i ëar ilya palúressë cemeno, ar ilyë aldar carila yávi yassen ëar erdi. Ta ná ya mantuval. 30 Ar ilyë hravani celvain ar ilye menelo aiwin ar ilyan i vanta mi cemen, ilya cuinan, antan ilyë laiquë olvar matië."

31 Ar Eru cennë ilya ya carnéro, ar cena, nés ammára. Ar ëanë sinyë, ar ëanë arin, i enquëa aurë.

O verso per verso:

1. I yessessë Eru ontanë Menel ar Cemen.
In principio Dio creò i Cieli e la Terra. [Non penso che Menel "Cieli" e Cemen "Terra" richiedano l'articolo i "il" in Quenya; essi sono quasi nomi propri.]

2. Cemen né cumna ar lusta, ar ëanë mornië or i undumë, nan Eruo Súlë willë or i neni.
La Terra era [*né] vuota e deserta, e vi era la tenebra sopra l'abisso, ma lo Spirito di Dio si librava sulle acque. [Altri colgono il significato del testo Ebraico "in principio, quando Dio creò i Cieli e la Terra, la Terra era vuota e deserta..." = i yessessë, írë Eru ontanë Menel ar Cemen, Cemen né cumna ar lusta...]

3. Ar equë Eru: "Eä cálë!" Ar ëanë cálë.
E Dio disse, "Sia la luce!" E la luce fu. [In tale testo, possiamo fare buon uso del verbo senza tempo equë "dice, disse". Secondo WJ:392, esso era usato ad introdurre citazioni. Tolkien annotò che questa strana forma era utilizzata prima di un nome o un pronome indipendente, l'intera frase di verbo e nome/pronome quindi essendo seguita dall'effettiva citazione. Versioni antecedenti di tale testo non tenevano in couto le note di Tolkien sull'ordine dei vocaboli, e si aveva il nome Eru che precedeva equë invece di seguirlo.]

4. Eru cennë i cálë né mára, ar Eru ciltanë i cálë i morniello.
Dio vide [che] la luce era buona, e Dio separò la luce dalle tenebre. (Verbo *cilta- "separare" basato sulla radice KIL- "dividere", LR:365.)

5. Ar Eru estanë i cálë Aurë, ar i mornië estanéro Lómë. Ar ëanë sinyë, ar ëanë arin, i minya aurë.
E Dio chiamò la luce Giorno, e la tenebra Notte. E fu sera, e fu mattina, primo giorno.

6. Ar equë Eru equë: "Eä telluma endessë i nenion, ar ciltuvas nén nenello."
E Dio disse, "Vi sia un firmamento nel mezzo delle acque, ed esso separi le acque dalle acque."

7. Ar Eru carnë i telluma ar ciltanë i neni or i telluma i nenillon nu i telluma. Ar nés ve ta.
E Dio fece il firmamento e separò le acque sopra il firmamento dalle acque sotto di esso. E fu [divenne? rimase?] così [ve ta = "come quello"!]

8. Ar Eru estanë i telluma Menel. Ar ëanë sinyë, ar ëanë arin, i tatya aurë.
E Dio chiamò il firmamento Cielo. E venne sera, e venne mattina, secondo giorno.

9. Ar equë Eru: "Ána i neni nu menel hostainë minë menessë, ar ána i parca nór cénina!" Ar nés ve ta.
E Dio disse: "Le acque sotto i cieli si radunino in un luogo, ed appaia la terra asciutta!" E fu [divenne?] così. [*Ána = "sia", imperativo, perciò letteralmente "siano le acque... radunate..., e sia vista la terra asciutta".]

10. Ar Eru estanë i parca nór Cemen, nan i hostainë neni estanéro Eär. Ar Eru cennë ta né mára.
E Dio chiamò il terreno asciutto Terra, ma le acque [che erano] radunate le chiamò Mare. E Dio vide [che] ciò era buono.

11. Ar equë Eru: "A cola cemen salquë, olvar carila erdi, yávaldar colila yávë nostalentassen, mi cemen." Ar nés ve ta.
E Dio disse: "La terra rechi [d'ora in poi] erbe, piante che facciano semi, alberi fruttiferi che facciano [d'innanzi] frutti secondo la loro specie, sulla terra." E fu [divenne? rimase?] così. [Nostalë "specie": Lessico Qenya p. 66, anche LT1:272. Pl. locativo nostalentassen è letteralmente "nelle loro specie".]

12. Cemen collë salquë, olvar carila erdi, nostalentassen, ar aldar colila yávë yassë ëar erdentar, nostalentassen. Ar Eru cennë ta né mára.
La terra recò [d'innanzi] erbe, piante che fanno semi, secondo le loro specie, ed alberi che recano frutto nel quale vi è il loro seme, secondo la loro specie. E Dio vide [che] era buono.

13. Ar ëanë sinyë, ar ëanë arin, i nelya aurë.
E venne sera, e venne mattina, terzo giorno.

14. Ar equë Eru: "Eä calmar tellumassë menelo ciltien aurë lómello, ar yévantë tannar asarion ar aurion ar coranárion.
E Dio disse: "Siano luminari [oppure, lampade] nel firmamento dei cieli a separare il giorno dalla notte, e siano segni dei tempi e dei giorni e degli anni. [Sostantivo tanna "segno": MR:385.]

15. Yévantë calmar tellumassë menelo caltien cemenna." Ar nés ve ta.
Siano luminari nel firmamento dei cieli a splendere sopra la terra." E fu [divenne?] così.

16. Eru carnë i atta altë calmar, i analta calma turien auressë ar i pitya calma turien lómessë, ar i eleni.
Dio fece i due grandi luminari, il luminare più grande a reggere il giorno ed il luminare minore a reggere la notte, e le stelle. [Minore: lett. piccolo, come nell'originale Ebraico.]

17. Ar Eru panyanë te tellumassë menelo caltien cemenna
E Dio li pose nel firmamento dei cieli a splendere sopra la terra

18. ar turien auressë ar lómessë ar ciltien cálë morniello. Ar Eru cennë ta né mára.
ed a reggere il giorno e la notte ed a separare la luce dalla tenebra. E Dio vide [che] ciò era buono.

19. Ar ëanë sinyë, ar ëanë arin, i canya aurë.
E venne sera, e venne mattina, quarto giorno.

20. Ar equë Eru: "A eä úvë cuinë onnolíva i nenissen, ar a wila aiweli tellumassë menelo."
E Dio disse: "Vi sia uno sciame [úvë = "abbondanza"] di creature viventi nelle acque, e volino gli uccelli nel firmamento dei cieli." [In questo verso uso li-plurali per "creature" ed "uccelli"... giusto mia intuizione!]

21. Ar Eru ontanë i altë ëarcelvar ar ilya úvë cuinë onnaiva i rihtar i nenissen, nostalentassen, ar ilyë rámavoiti onnar nostalentassen. Ar Eru cennë ta né mára.
E Dio creò i grandi animali del mare e l'intera abbondanza di creature viventi che muovono nelle acque, secondo le loro specie, e tutte le creature alate secondo la loro specie. E Dio vide [che] ciò era buono.

22. Ar Eru laitanë te ar quentë: "Ána yávinquë ar ána rimbë, quata nén i ëarion, ar i aiwi yévar rimbë mi cemen!"
E Dio li benedisse e disse, "Siate fecondi e siate moltitudini, riempite le acque degli oceani, e gli uccelli siano moltitudini sulla terra!" [*Yávinqua pl. *yávinquë "fruttifero", yávë + -inqua; rimbë pl. di rimba "numeroso". - Quando nessun nome o pronome segue, preferiamo quentë a equë per "disse".]

23. Ar ëanë sinyë, ar ëanë arin, i lempëa aurë.
E venne sera, e venne mattina, quinto giorno. [Lempë "cinque" > agg. *lempëa "quinto"?]

24. Ar equë Eru: "A cola cemen cuinë onnar nostalentassen, lamni ar celvaller ar cemeno hravani celvar, nostalentassen."
E Dio disse: "La terra produca [lett. rechi] creature viventi secondo la loro specie, bestie ed insetti e gli animali selvaggi della terra, secondo la loro specie." [*Celvallë: "insetto", lett. "piccolo animale", diminutivo di celva; per la desinenza -llë cfr. nandë "arpa", ñandellë "piccola arpa", LR:377. L'ebraico remes sembra riferirsi a qualcosa che striscia o si muove.]

25. Ar Eru carnë cemeno hravani celvar nostalentassen, ar i lamni nostalentassen ar ilyë celvar i vantar mi cemen, nostalentassen. Ar Eru cennë ta né mára.
E Dio creò gli animali selvaggi della terra secondo la loro specie, le bestie secondo la loro specie e tutti gli animali che si muovono sulla terra, secondo la loro specie. E Dio vide [che ciò] era buono.

26. Ar equë Eru: "A caralmë Atan venwelmassë, canta ve me; ar turuváro ëaro lingwi ar menelo aiwi ar i lamni ar ilya cemen ar ilyë celvar i vantar mi cemen."
E Dio disse: "Facciamo l'Uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza [lett. formato come noi, N.d.T:]; ed egli domini sopra i pesci del mare e su gli uccelli del cielo e le bestie e su tutta la terra e sopra tutti gli animali che si muovono sulla terra." [Venwë "forma, *immagine": Lessico Qenya p. 100, anche LT1:254.]
NOTA del Traduttore: l'uso dell'imperativo plurale
facciamo non solo supplisce la 1° persona del singolare, che non esiste, ma fornisce un interessante spunto di riflessione sulla sorta di dialogo cooperativo fra le tre "persone" divine durante l'atto supremo della Creazione.

27. Ar Eru ontanë Atan venweryassë, Eruo venwessë ontanéros; hanu ar ní ontanéro te.
E Dio creò l'Uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò.

28. Ar Eru laitanë te, ar equë Eru na te: "Ána yávinquë ar ána rimbë, quata cemen ar panya ta nu le, ar tura ëaro lingwi ar menelo aiwi ar ilyë cuinë onnar i vantar mi cemen."
E Dio li benedisse, e Dio disse loro: "Siate prolifici e moltiplicatevi, riempite la terra ed assoggettatela [ponetela sotto di voi], e dominate sopra i pesci del mare e su gli uccelli del cielo e sopra tutte le creature viventi che si muovono sulla terra." [Yávinquë, evidentemente da yávë "frutto" con la desinenza aggettivale plurale -inquë, significa quindi "fruttuosi", ma riferito alla coppia di uomini, e in accordo al testo biblico, è qui reso in italiano con "prolifici", N.d.T.]

29. Ar equë Eru: "Cena, antan len ilyë olvar carila erdi, ilya i ëar ilya palúressë cemeno, ar ilyë aldar carila yávi yassen ëar erdi. Ta ná ya mantuval.
E Dio disse: "Ecco, Io vi do ogni pianta che fa seme, tutte quelle che sono sull'intera superficie della terra, e tutti gli alberi che fanno frutti nei quali vi è seme. Questo è ciò che mangerete. [Mantuva- futuro di mat- "mangiare"; mi baso sull'infissione nasale nel futuro del verbo quantuva "empirà" in Namárië. La forma più elementare di tale verbo è data come quat- in WJ:392.]

30. Ar ilyë hravani celvain ar ilye menelo aiwin ar ilyan i vanta mi cemen, ilya cuinan, antan ilyë laiquë olvar matië."
E a tutti gli animali selvaggi e [a] tutti gli uccelli del cielo e a tutto ciò che cammina sulla terra, a tutto ciò che vive, Io do ogni erba verde per cibo."

31. Ar Eru cennë ilya ya carnéro, ar cena, nés ammára. Ar ëanë sinyë, ar ëanë arin, i enquëa aurë.
E Dio vide tutto quello che [aveva] fatto, ed ecco, era molto buono. E venne sera, e venne mattina, il sesto giorno. [ammára < an-mára, sc. mára "buono" col prefisso "superlativo od intensivo" an- menzionato nelle Lettere:385. *Enquëa "sesto" < enquë "sei".]

Bene, questo era il primo capitolo della Bibbia. 1188 capitoli alla conclusione...

Ardalambion