Namárië

Chiamato anche: Lamento di Galadriel
A torto (?) chiamato: Canto degli Elfi al di là del Mare

di Helge Fauskanger - tradotto da Gianluca Comastri

Namárië è il più lungo testo Quenya in SdA. Assieme al poema Markirya in MC:220-221 è il nostro principale esempio di un testo in Quenya maturo. Presso gli studenti di Elfico il canto è pressoché invariabilmente referenziato come Namárië, "Addio", essendo questo il titolo che Tolkien usò per esso in The Road Goes Ever On. Tuttavia, è anche noto come il Lamento di Galadriel. Taluni si sono anche riferiti a questo lamento come al Canto degli Elfi al di là del Mare, un titolo evidentemente trovato nell'indice di SdA. Comunque, questo deve veramente essere il titolo di un altro canto, quello intonato da Galadriel all'inizio di questo capitolo ("Cantavo delle foglie, di foglie d'oro, e foglie d'oro là crescevano"...) In un'edizione di SdA, l'Indice include una voce "Canto degli Elfi al di là del Mare" che si riferisce alla pagina ove si trova Namárië - ma nel materiale pubblicato, Tolkien da nessuna parte si riferisce a tale canto con un tale titolo.

In The Road Goes Ever On (RGEO) il poema è dato in tre versioni. La prima è Namárië scritta in Tengwar, il solo nostro sostanziale esempio di un testo Quenya in scrittura Elfica. Le altre due versioni sono date in RGEO:66-67. Una è (quasi) identica al testo in SdA, ma Tolkien ha aggiunto accenti marcanti, denotando ogni maggiore e minore tonicità. Esso è seguito da una versione con una traduzione interlineare. La seconda versione differisce in qualcosa dagli altri testi, principalmente nell'ordine dei vocaboli, Poiché Tolkien lo ri-arrangiò in "uno stile più chiaro e normale". Egli spiegò che il testo in SdA ha un ordine di parole e uno stile "poetico", con concessioni alla metrica.

Una versione molto antica di Namárië, solo la prima linea del quale sopravvive in SdA, fu pubblicata in TI:284-285: Ai! laurie lantar lassi súrinen / inyalemíne rámar aldaron / inyali ettulielle turme márien / anduniesse la míruvórion / Varda telúmen falmar kírien / laurealassion ómar mailinon. / Elentári Vardan Oiolossëan / Tintallen máli ortelúmenen / arkandavá-le qantamalle túlier / e falmalillon morne sindanórie / no mírinoite kallasilya Valimar. La maggior parte dei vocaboli può essere identificata, ma una traduzione corrente è difficile da dare, e in ogni modo questo può non essere al 100 % maturo Quenya. Tale prima versione non sarà successivamente discussa qui. (Per una quasi esaustiva discussione delle varie fasi e varianti del Lamento, vedere l'articolo di David Salo in Tyalië Tyelelliéva #12.)

NAMÁRIË, con la traduzione di Tolkien inframmezzata (la maggior parte delle linee traduce il testo Quenya soprastante, ma in alcuni casi le linee non possono essere perfettamente confrontate con la traduzione, dacché l'ordine delle parole non è il medesimo):


          Ai! laurië lantar lassi súrinen,
         
Ah! come oro cadono le foglie al vento,
         
yéni únótimë ve rámar aldaron!
         
lunghi anni innumerevoli come le ali degli alberi!
         
Yéni ve lintë yuldar avánier
         
I lunghi anni sono passati come rapidi sorsi
         
mi oromardi lissë-miruvóreva
         
del dolce idromele in alti saloni
         
Andúnë pella, Vardo tellumar
         
oltre l'Occidente, sotto le azzurre volte di Varda
         
nu luini yassen tintilar i eleni
         
ove le stelle tremolano
         
ómaryo airetári-lírinen.
         
alla voce del suo canto, voce sacra di regina.

          Sí man i yulma nin enquantuva?
         
Chi riempirà ora per me la coppa?

          An sí Tintallë Varda Oiolossëo
         
Per ora la Vampa, Varda, la Regina delle stelle,
         
ve fanyar máryat Elentári ortanë
         
dal Monte Semprebianco ha sollevato le sue mani come nuvole
         
ar ilyë tier undulávë lumbulë
         
ed ogni sentiero è immerso nella profonda oscurità;
         
ar sindanóriello caita mornië
         
e fuori dalla grigia campagna l'ombra si distende
         
i falmalinnar imbë met,
         
sulle onde spumeggianti poste fra di noi,
         
ar hísië untúpa Calaciryo míri oialë.
         
e la bruma ricopre i gioielli di Calacirya per sempre.
         
Sí vanwa ná, Rómello vanwa, Valimar!
         
Ed ora perso, perso per chi è in Oriente è Valimar!
         
Namárië! Nai hiruvalyë Valimar!
         
Addio! Forse un giorno troverai Valimar!
         
Nai elyë hiruva! Namárië!
         
Pure tu forse un giorno lo troverai! Addio!

Nella versione Tengwar del canto che si trova in RGEO, vi è l'intestazione Namárië. Altariello Nainië Lóriendessë ("Addio. Lamento di Galadriel in Lorien").
         

ANALISI PAROLA PER PAROLA

Ai! laurië lantar lassi súrinen "ah! come oro cadono le foglie al vento": Ai! interezione di dolore, qui tradotta "ah!"; la traduzione interlineare in RGEO:66 ha "alas!" laurië "dorato" (qui tradotto "come oro"), la forma plurale dell'aggettivo laurëa (pl. da accordare con lassi "foglie", vedere sotto). In un certo numero di passaggi, Tolkien dichiarò che il corrispondente sostantivo laurë non fa riferimento all'oro metallico, ma al colore dorato della luce. lantar: la forma plurale del verbo lanta "cadere", qui nel tempo presente "cadono" o "stanno cadendo": la desinenza presente -a e plurale -r. (Nel caso delle desinenze verbali in -ta, la radice del verbo e il tempo presente sono identici nella forma, eccetto laddove il verbo ha una desinenza pronominale o - come qui - plurale.) Il verbo è al plurale in accordo col suo soggetto, vale a dire lassi: pl. di lassë "foglia", cfr. il nome Legolas "Verdefoglia" (esso stesso variante dialettale del Sindarin). súrinen: "nel vento", súrë "vento" (MC:222) + la desinenza strumentale -nen "da, con", qui denotando cosa fa accadere l'azione verbale (cosa fa cadere le foglie). "Al vento" dovrebbe essere una traduzione più letterale di quella di Tolkien "nel vento". Non è ben chiaro perché la finale ë di súrë diviene i ove è aggiunta la desinenza -nen; forse i è preferita dove c'è una vocale lunga nella sillaba precedente, come ú in tal caso. Si può anche argomentare che súrë potesse anticamente essere *súri, finché la i corta a fine parola divenne ë in Quenya, mentre *i fu invariata quando non finale.
          Nella versione in prosa, Tolkien emendò l'ordine delle parole in Ai! lassi lantar laurië súrinen, "ah! [le] foglie cadono dorate in [nel] vento". Notare che il soggetto lassi qui si trova prima del suo verbo lantar; ciò è apparentemente l'ordine normale, "non poetico".
          yéni únótimë ve rámar aldaron "lunghi anni innumerevoli come le ali degli alberi": yéni: pl. di yén. Da Tolkien, yéni fu tradotto alquanto ipoteticamente come "lunghi anni". Uno yén è il termine Quenya per un periodo di 144 anni solari, un "secolo" elfico - gli Elfi spesso usavano un sistema di conteggio duodecimale, nel quale 144 è il primo numero di tre cifre, come il nostro 100. (In lavori antecedenti, però, sembra che Tolkien intendesse yén a indicare un normale anno solare: vedere YEN nelle Etimologie.) únótimë "incalcolabile" < prefisso ú- "in", not- "calcolare" e la desinenza aggettivale -ima, qui nella forma plurale -imë, che spesso ha significato "-abile". Quando aggiunta ad una radice verbale di base, tale desinenza fa sì che la vocale diventi lunga, perciò not > -nót-. Nella traduzione interlineare data in The Road Goes Ever On, Tolkien non dice esplicitamente che únótimë è un aggettivo plurale, sebbene l'abbia fatto con altri verbi plurali e aggettivi. In ragione di ciò, An Introduction to Elvish conclude che la desinenza -imë è sia singolare che plurale (p. 32). Ciò è errato; la forma singolare -ima è ora ben attestata (sebbene la forma *únótima può solo apparire in un dizionario; per ovvie ragioni semantiche, un aggettivo che significa "incalcolabile" non può mai essere singolare in un contesto testuale). ve: "come". rámar pl. di ráma "ala". aldaron "degli alberi", genitivo plurale di alda "albero". Tale termine ha una doppia marcatura plurale: il nominativo plurale è aldar, del quale è appendice la desinenza genitiva -o, che richiede ancora un altro marcatore plurale -n ove essa sia suffissa ad un sostantivo plurale. Questa è la medesima desinenza genitiva plurale -on come in Silmarillion, "(la Storia) dei Silmaril".
          Nella versione in prosa, Tolkien emendò l'ordine delle parole in yéni únótime ve aldaron rámar, col genitivo aldaron che precede rámar "ali", la parola che governa. Perciò letteralmente "ali degli alberi".
          yéni ve lintë yuldar avánier "[i] lunghi anni sono passati come rapidi sorsi": yéni: di nuovo "lunghi anni". ve: di nuovo "come". lintë: "rapidi", pl. dell'aggettivo *linta, non attestato altrimenti. Tale vocabolo ritorna dall'infanzia di Tolkien; nel primitivo linguaggio Nevbosh che ideò assieme ad altri bambini, lint indica "svelto, abile, agile" (MC:205). Lintë è plurale in accordo con yuldar pl. di *yulda "sorso". avánier: "sono passati via", il tempo perfetto alquanto irregolare del verbo auta- "passare", che ricorre anche nel grido prima della Nirnaeth Arnoediad: Auta i lómë! "La notte è passata!" (Silmarillion cap. 20). Malgrado le irregolarità, avánier ha la desinenza -ië che è caratteristica dei perfetti (qui con la desinenza plurale -r in accordo con il suo soggetto plurale yéni). Esso ha anche il prefisso aumentato: la radice vocalica (qui a) è raddoppiata in principio del vocabolo (confrontare utúlië come perfetto di tul- "venire"). La radice vocalica stessa è allungata se non è seguita da un gruppo di consonanti.
          Sospetto che quando Tolkien scrisse Namárië, pensò a avánier - o piuttosto alla forma senza aumento vánier, che fu la lezione nella prima edizione di SdA - come al tempo perfetto del verbo trovato nelle Etimologie: vanya- "andare, partire, sparire" (LR:397, radice WAN). Soltanto a posteriori apparve il verbo auta- e le sue coniugazioni irregolari; vedere WJ:366.
          In una versione registrata di Namárië, il poema letto da Tolkien stesso, ricorre una variazione nella lettura: Inyar únóti nar ve rámar aldaron! Inyar ve lintë yulmar vánier... *"Gli anni incalcolabili sono come le ali degli alberi! Gli anni sono passati come rapide coppe..." (Vedere An Introduction to Elvish p. 5.) Qui ricorre un altro termine per "anni", inyar, e vi è un verbo nar "sono", in uso presso gli scrittori.
          mi oromardi lissë-miruvóreva Andúnë pella "[sorsi...] del dolce idromele in alti saloni oltre l'Occidente": mi "nei". Nelle Etimologie, la radice MI, mi è semplicemente glossata "in, entro" (LR:373), non "nel". Il testo Namárië in RGEO:66 ha con una vocale lunga (due volte, questo non è un refuso). Dacché "il" è i, la forma sembrerebbe rappresentare mi i, suggerendo che la lezione corretta dovrebbe essere mi = "in" e = "nel". (Ma in UT:317, mi con una vocale corta è di nuovo specificato come "nel".) oromardi "alti saloni". L'elemento oro- è evidentemente la parte tradotta "alto"; cfr. la radice ORO "su; risalire; alto; etc." nelle Etimologie (LR:379). Mardi potrebbe essere il plurale di un vocabolo altrimenti inattestato *mardë "salone"; può anche essere una forma di mar "casa" (come in Eldamar "Casa degli Elfi"), assumendo che esso abbia una radice mard- (cfr. sar "pietra", pl. sardi). lissë-miruvóreva "del dolce idromele". Lissë è chiaramente l'elemento tradotto "dolce"; le Etimologie danno lis "miele", dativo sg. lissen (LR:369, radice LIS). Miruvóreva è la forma possessiva di miruvórë, qui tradotto "idromele". Secondo RGEO:69, miruvórë era "un vocabolo derivato dal linguaggio dei Valar; il nome che essi diedero alla bevanda che mescevano durante le loro feste" (vedere mirub- nel vocabolario in appendice all' articolo sul Valarin per ulteriori informazioni). Il caso possessivo, o genitivo "possessivo aggettivale" come lo chiama Tolkien in WJ:369, è qui usato aggettivamente - a denotare che qualcosa è fatto o composto da. (Tale caso fu infatti chiamato "compositivo" mentre questo ne era il solo esempio che avevamo.) Miruvóreva "del dolce idromele" si riferisce agli lintë yuldar o "rapidi sorsi" nella riga precedente: "rapidi sorsi del dolce idromele". Andúnë "Occidente", derivato dalla stessa radice NDU come il termine più usuale Númen (come in Númenor, Ovesturia). Nelle Etimologie, Andúnë è glossato "tramonto" (LR:376), mentre è usato per indicare la "sera" nel poema Markirya (MC:222 cf. 214-215) pella "oltre"; notare che in Quenya, questo sembra essere una posposizione piuttosto che una preposizione: Andúnë pella "(l') Occidente oltre". Confrontare elenillor pella, "dalle stelle oltre" = "d'oltre (le) stelle" nel poema Markirya.
          Vardo tellumar nu luini yassen tintilar i eleni ómaryo airetári-lírinen "sotto le azzurre volte di Varda ove le stelle tremolano alla voce del suo canto, voce sacra di regina": Vardo è il genitivo di Varda; la desinenza genitiva -o rimpiazza la finale -a; un altro esempio da Namárië è Calaciryo "del Calacirya" (per *Calaciryao, vedere sotto). tellumar "volte", pl. di telluma. WJ:399 spiega che questa è un'alternativa di una parola originale Quenya telumë "cupola, specialmente del cielo" (cfr. LR:391, radice TEL, TELU). Essa fu alterata in telluma sotto l'influenza del Valarin delgûmâ. Il nuovo termine telluma fu applicato specialmente alla "Volta di Varda" sopra Valinor; fu anche usato per le cupole della magione di Manwë e Varda su Taniquetil. Il primo significato sembra essere qui rilevante. nu "sotto". luini "azzurro", plurale in accordo con tellumar; la forma sg. è sia *luin che *luinë. L'ordine delle parole dà grandi concessioni alla metrica; invero il testo minaccia di sgretolarsi in un nonsenso ("le volte di Varda sotto l'azzurro" per "sotto le azzurre volte di Varda"). yassen "nel quale" o *"in cui": pronomerelativo ya "quale" + la desinenza -ssen per locativo plurale (plurale in accordo con le tellumar o "volte"; la forma singolare dovrebbe essere *yassë, p.e. *Vardo telluma yassë... "le volte di Varda in cui...") tintilar "tremolare", più letteralmente "scintillare" (così nella traduzione interlineare in RGEO:67). Apparentemente una radice tintil- + la desinenza presente -a + la desinenza plurale -r in accordo con il seguente soggetto plurale, "le stelle". Può tintil- essere effettivamente una radice passiva o riflessiva di tinta- "causa dello scintillio" - la forma tintilar implica che le stelle *"sono causate dallo sfavillio" o *"sono esse stesse causa di sfavillio"? i "le". eleni "stelle", pl. di elen "stella", il soggetto di tintilar. ómaryo "alla sua voce", genitivo di ómarya "sua voce" (come in Vardo "di Varda", la desinenza genitiva -o rimpiazza la finale -a). ómarya è óma "voce" con una desinenza -rya "di lei, di lui". In Quenya, i pronomi - del pari i pronomi possessivi come "mio", "tuo" or "suo" - sono usualmente espressi come desinenze, non come parole separate. Si pensò a lungo che la desinenza -rya significasse solo "di lei", ma in WJ:369 vi sono due esempi di tale desinenza, intendendo "di lui" in un caso e "di lei" nell'altro. Il contesto determina il genere. Tale desinenza occorre una volta di più in Namárië, nel vocabolo máryat "le sue mani"; vedere sotto. airetári-lírinen, "dal canto sacro di regina", sc. "dal canto della sacra regina (= Varda)". Questa è la parola governata dal precedente genitivo, cosicché ómaryo airetári-lírinen significa letteralmente "dal canto della sua voce di sacra regina", o come Tolkien lo tradusse: "nella voce del suo canto, voce sacra di regina". Airetári è tári "regina" con un elemento prefisso airë, qui tradotto "sacro"; Tolkien lo spiegò ulteriormente in PM:364: "L'aggettivo aira era l'equivalente più prossimo di 'sacro'; e il sostantivo airë di 'santità'. Airë era usato dagli Eldar come un titolo all'indirizzo dei Valar e ai maggiori fra i Máyar [Maiar]. Varda dovrebbe essere contraddistinta come Airë Tári. (Cfr.il Lamento di Galadriel, dove si dice che le stelle tremolavano al suono della sacra voce della regina: la prosa o forma normale del quale dovrebbe essere stata tintilar lirinen ómaryo Airë-tário.)" -PM:364.
          Nella versione in prosa in The Road Goes Ever On, Tolkien ordinò le parole come yéni avánier ve lintë yuldar lisse-miruvóreva mí oromardi Andúnë pella Vardo nu luini tellumar, yassen tintilar i eleni ómaryo lírinen aire-tário. *"I lunghi anni sono passati come rapidi sorsi di dolce-idromele negli alti saloni oltre l'Occidente sotto le azzurre volte di Varda, nelle quali le stelle scintillano al canto della sua voce (, la) voce di sacra regina. Notare specialmente che la frase lintë yuldar lisse-miruvóreva "rapidi sorsi di dolce-idromele" è in breve interrotta da mí oromardi "negli alti saloni". L'ordine delle parole nella frase "sotto le azzurre volte di Varda" è molto strano: Vardo nu luini tellumar, "di Varda sotto l'azzurre volte". È stato suggerito che in Quenya, non sia consentito che un genitivo stia tra una preposizione e il sostantivo-frase che governa. Comunque, la versione in prosa di Namárië ha anche ve aldaron rámar "come ali d'albero" con l'ordine delle parole che ci aspetteremmo, non *aldaron ve rámar, così questa non può essere una regola in assoluto. Una modifica consiste in qualcosa di più che non un cambio nell'ordine delle parole: il piuttosto rozzo composto airetári-lírinen "dal canto sacro di regina" è qui dissolto in un genitivo aire-tário "di sacra regina" che governa il sostantivo strumentale lírinen "dal canto", perciò "da (il) canto sacro di regina". Abbiamo già citato ancora un'altra "prosa o forma normale", vale a dire quella che è data in PM:364: lirinen [leggi lírinen] ómaryo Airë-tário, sc. *"da (il) canto della sua voce, di sacra regina".
          La prima parte del poema termina con la domanda sí man i yulma nin enquantuva? "chi riempirà ora per me la coppa": "ora", man "chi", i "la", yulma "coppa", nin "per me" (ni "io" + desinenza dativa -n "per"), enquantuva "riempirà". La parola enquantuva consiste di en- "ri", una radice quat- "colmare" e la desinenza futura -uva. La radice qui appare in forma con nasale infissa: quant-. Invero si è tradizionalmente pensato che la radice del verbo "colmare" fosse quant- o *quanta-, che dovrebbe essere inflessa circa come segue: infinito *quantië "colmare", presente *quanta "colma, è colmato", passato *quantanë "colmato" (cfr. ortanë da orta-), perfetto *aquantië "colmava", futuro quantuva. Comunque, si ritiene ora che la radice non sia affatto quanta-: in WJ:392, nel saggio Quendi ed Eldar, è chiaramente specificato che la radice Quenya è quat-. Ciò sembrerebbe indicare che tale classe di verbi subisce infissione nasale nel tempo futuro. Dobbiamo presumere che la coniugazione non sia quella abbozzata sopra, ma piuttosto quella "forte" del verbo di base: infinito *quatië "colmare", presente *quáta "colma, è colmat" (ed aoristo *quatë, *quati-), passato *quantë "colmato", perfetto aquátië "colmava", futuro quantuva "colmerà" (attestato qui col prefisso en-). L'idea che tale classe di verbi mostri infissione nasale nel futuro può essere posteriore; invero c'è una iscrizione Tengwar di tale linea che sembra da leggersi invece enquatuva (vedere Vinyar Tengwar #21, p. 6).
          An sí Tintallë Varda Oiolossëo "Per ora [la] Vampa, Varda, dal Monte Semprebianco..." an: "per". : "ora", come nella riga precedente. Tintallë "[la] Vampa", un titolo di Varda che accendeva le stelle: la radice verbale tinta- "accendere" con un suffisso -llë, evidentemente una desinenza agentale femminile. Varda "La Sublime, l'Alta", nome della Regina dei Valar, sposa di Manwë. Oiolossëo "dal Monte Semprebianco". Effettivamente non vi sono elementi dal significato di "Monte", ma tutti gli Elfi sapevano che Oiolossë era una montagna. I morfemi sono oio- "sempre", lossë "neve" or "bianco-neve", and -o, che è usualmente la desinenza genitiva ma qui è usata nel senso ablativo "da". Ciò parrebbe un eccezionale uso del genitivo, sebbene la desinenza -o sia realmente discendente da un elemento in Quenya Primordiale HO "da". Verosimilmente, Oiolossëo è usato invece del normale ablativo *Oiolossello poiché quest'ultimo non s'adatta alla metrica del poema. Come risulta, Varda Oiolossëo potrebbe ben essere inteso come **"Varda di Oiolossë".
          ve fanyar máryat Elentári ortanë "...come nuvole le sue mani [la] Regina delle Stelle ha levato": ve: "come". fanyar: pl. di fanya "nuvola". máryat: "le sue mani", sc. "mano" + -rya "suo/sua" + la desinenza duale -t, che denota un paio di mani. Come notato sopra, i pronomi - pure i pronomi possessivi come "mio", "tuo" o "suo" - sono usualmente espressi come desinenze, non come vocaboli separati. Abbiamo già incontrato la desinenza -rya "suo/sua" in ómaryo, genitivo di ómarya "la sua voce". Elentári "Stelle-regina, laRegina delle Stelle" (elen "stella" + tári "regina"). ortanë: il passato di orta- "sorgere, levare" (LR:379, radice ORO). (Già nel 1978, in An Introduction to Elvish p. 37, la radice di tale parola fu concepita come **ortan- con una desinenza passata-ë; tale errata suddivisione era basata sulla teoria che -ë fosse la più o meno universale desinenza passata. Questa teoria era sbagliata, ma sembrava ragionevole dall'assai ridotto corpus allora disponibile.)
          ar ilyë tier undulávë lumbulë: ar "e". ilyë il pl. di ilya "tutto" (LR:361 radice IL), qui usato aggettivamente e dovendo quindi accordarsi con la parola plurale che segue: tier pl. di tië "sentiero" (LR:391 radice TE3). undulávë letteralmente "sotto-lambito" (undu + lávë); lávë è un'inusuale specie di tempo passato, formata dall'allungamento della radice vocalica della radice lav- "lambire" e dall'aggiunta di -ë. lumbulë "ombra". La riga è tradotta "ed ogni sentiero è immerso nella profonda oscurità", letteralmente *"ed ogni sentiero ombra (ha) lambito sotto (su)".
          ar sindanóriello caita mornië i falmalinnar imbë met "e fuori dalla grigia campagna l'ombra si distende sulle onde spumeggianti poste fra di noi": ar "e". sindanóriello l'ablativo di sindanórië, un composto di sinda "grigio" (cf. Sindar = *"Grigi", Elfi Grigi; Sindarin "Grigio-elfico") and nórië "campagna", apparentemente una variante di nórë "terra"; nórië non è altrimenti attestato. caita "si distende", un verbo attestato soltanto qui, sebbene sia evidentemente derivato dalla radice KAY "essere disteso" ricorrente nelle Etimologie. La desinenza -ta è spesso usata per derivare verbi; la desinenza presente -a è invisibile dacché caita termina già in -a. mornië "oscurità" (apparentemente una formazione astratta basata sull'aggettivo morna "nero, scuro"). i "il", falmalinnar "sulle onde spumeggianti". Gli elementi sono falma "onda spumosa o crestata" (primitivo *phalmâ, mia ricostruzione, dovrebbe significare qualcosa come "cosa spumeggiante"), -li per partitivo plurale, -nna per allativo "a" or "sopra", ed una (evidentemente opzionale) desinenza plurale extra -r. Perché il partitivo plurale è usato, o invero qual è la funzione del partitivo plurale, non è stato completamente compreso. Immagino che esso sia usato dove l'inglese avrebbe some + una forma plurale. Combinato con l'articolo i "il" come qui è, può denotare molti: che stiamo parlando di un grande numero di onde. In modo interessante, Tolkien analizza falmalinnar come falma-li-nnar nella traduzione interlineare in RGEO:67 e l'elemento di mezzo glossato come "molti". imbë: "tra". met: il pronome me "noi" con la desinenza duale -t che abbiamo già incontrato in máryat "le sue [due] mani". Met è l'esclusivo "noi", sc. "io e un altro", non l'inclusivo "io e te": Galadriel si riferisce a se stessa e a Varda, non a se stessa e a Frodo, uditore del suo canto (gli si rivolgerà con il "tu" nelle righe finali del canto).
          Nella versione in prosa, tali righe si leggono an sí Varda, Tintallë, Elentári ortanë máryat Oiolossëo ve fanyar, ar lumbulë undulávë ilyë tier; ar sindanóriello mornië caita i falmalinnar imbë met. L'ordine delle parole qui è sempre soggetto-verbo, mentre i verbi spesso precedono i loro soggetti nella versione poetica (cfr. lantar lassi che diviene lassi lantar "cadono le foglie" nella prima riga del poema). Notare specialmente che lumbulë "ombra" qui è chiaramente il soggetto e ilyë tier "ogni sentiero" è chiaramente l'oggetto del verbo undulávë, piuttosto che viceversa. Nella versione poetica, la confusione è impedita solo dal fatto che il verbo è singolare mentre ilyë tier è plurale e perciò non può essere il suo soggetto.
          ar hísië untúpa Calaciryo míri oialë "e la bruma ricopre i gioielli di Calacirya per sempre": ar: "e", hísië: "bruma", untúpa "richiude sotto un tetto", sc. "ricopre". Il prefisso un- è apparentemente la parte che significa "in basso" (cf. nu "sotto"); túpa dovrebbe essere il presente (o forma continuativa) di una radice *tup- "coprire", formata dall'allungamento della radice vocalica e dall'aggiunta della -a. Le Etimologie danno la variante TOP- "coprire", donde tópa- "coprire con un tetto". Calaciryo: "del Calacirya"; come nel caso di Varda > Vardo, la desinenza genitiva -o rimpiazza la finale -a. míri, "gioielli", pl. di mírë "gioiello". oialë è qui tradotto "per sempre"; secondo le Etimologie, la radice OY, è un sostantivo indicante "era perenne" (effettivamente la parola "age" non era leggibile con sicurezza, ma la forma del vocabolo stesso sembra confermare la lettura di Christopher Tolkien). Qui, oialë è usato avverbialmente: "(nel corso di una) era perenne".
          Si vanwa ná, Rómello vanwa, Valimar "ed ora perso, perso da [chi è in] Oriente, è Valimar": "ora", un vocabolo che abbiamo incontrato prima due volte. vanwa "perso, andato", il participio passato irregolare del verbo auta- "andare via, lasciare", la forma perfetta del quale, avánier, occorre anche nel presente poema (vedere WJ:366). : "è", la sola nostra attestazione di tale importante verbo in un testo vero e proprio. LR:374 elenca come la "radice del verbo 'essere' in Q", però. Rómello "da (chi è in) Oriente", ablativo di Rómen "(l') Orientet", la finale -n è elisa laddove la desinenza -llo "da" è suffissa, dacché il gruppo **nll è impossibile. (Alternativamente una vocale può essere stata inserita: *Rómenello.) vanwa "perso" di nuovo. Valimar propriamente nome della Città dei Valar nel Reame Beato; significa "Vali-casa", Vali essendo una variante di Valar (anche in Valinor). Nel Silmarillion, è usata la forma più breve Valmar. In questo canto, Valimar è usata in un ampio senso e sembra includere tutta Valinor.
          Namárie! Nai hiruvalyë Valimar: "Addio! Forse un giorno troverai Valimar!" Namárië! "Addio!" (Suppongo che questo incorpori *márië "bontà, essere benefico", una formazione astratta altrimenti inattestata basata sull'aggettivo mára "buono"; confrontare mornië "oscurità" da morna "oscuro". Cfr. l'inglese Farewell = fare, [andare, N.d.T.] o viaggiare, well [bene, N.d.T.].) Nai: Qui tradotto "forse", ma nai seguito da un verbo al futuro come qui costituisce una formula optativa o "del desiderio". Nell'interpretazione interlineare in RGEO:67, Tolkien tradusse nai come "sia che", e l'intera frase nai hiruvalyë dal senso "sia che tu trovi" (o *"possa tu trovare"). hiruvalyë "tu troverai": hir- radice "trovare" + la desinenza futura -uva + la desinenza pronominale -lyë "tu". Diversamente dall'inglese "thou" (ma come il moderno inglese "you") -lyë può non dare mostra di alcun numero [nel senso di non essere a priori né singolare né plurale, N.d.T.]; se così, potrebbe anche essere il plurale "voi". Secondo PM:42-43, Tolkien scrisse: "tutti questi linguagggi, Umanici ed Elfici, non avevano, od originariamente non ebbero, distinzione tra il singolare ed il plurale dei pronomi in seconda persona." Ma se tale idea fosse valida per tutte (e in particolare le tarde) fasi della concezione di Tolkien dell'Elfico, non possiamo sapere. Valimar ricorre nuovamente, qui l'oggetto di hiruvalyë.
          Nai elyë hiruva. Namárië! "Pure tu forse un giorno [lo] troverai." Nai: "sia che". elyë "tu", il solo pronome indipendente in questo testo. È di certo correlato alla desinenza -lyë nella frase precedente. Qui la forma indipendente è usata in quanto il pronome è enfatico: "Forse tu troverai" - o come Tolkien lo tradusse, "forse pure tu troverai". Si presume che la maggior parte dei pronomi indipendenti sia derivata come elyë:dalla e- prefissa alla corrispondente desinenza pronominale. (Tuttavia, la forma indipendente di -nyë "io" sembra essere inyë piuttosto che *enyë.) hiruva "troverai", come in hiruvalyë, ma qui senza la desinenza -lyë, dacché il pronome è già stato espresso cone un termine separato. Il poema termina in un secondo namárië, "addio!"

Ardalambion